Sublimazione della bontà e fratellanza universale nella problematica religiosa di Eça de Queiroz. Prima parte

Brunello Natale De Cusatis: "La compassione e un certo tipo di naturalismo panteista dai contorni buddisti, saranno le coordinate di riferimento dell’ultimo Eça de Queiroz e che gli ispireranno, in un’ottica di amore universale e rivoluzione sociale insieme"

Molto si è detto e scritto, in particolare nel corso della seconda metà del secolo scorso, attorno alla problematica religiosa di Eça de Queiroz [cfr. FERREIRA, 1993: 815-828)]. Problematica, tuttavia, che non può essere affrontata né compresa senza rapportarsi a un discorso più generale concernente le critiche e gli attacchi che Eça e con lui l’intera Geração de 70 – nonostante l’eterogeneità di pensiero che caratterizzò i suoi appartenenti – mossero alla società portoghese del tempo, in tutti i suoi aspetti, tanto religiosi quanto politici, economici e culturali. Tutto ciò col fine dichiarato di scuotere il Portogallo epocale da un lungo e deleterio letargo, stimolandolo a confrontarsi, nelle parole di Antero de Quental, con le «tre grandi nazioni pensanti», Germania, Inghilterra e Francia [cfr. QUENTAL, 1973: 290]. Era questo, d’altronde, l’intento degli stessi organizzatori e firmatari delle «Conferências Democráticas do Casino» (1871), il cui programma prevedeva la necessità di:

«Collegare il Portogallo al movimento moderno, facendo sì che si nutra con gli elementi vitali di cui vive l’umanità civilizzata; / Cercare di acquisire consapevolezza dei fatti che ci circondano, in Europa; / Creare interesse nell’opinione pubblica quanto ai grandi temi della Filosofia e della Scienza moderna; / Studiare le condizioni della trasformazione politica, economica e religiosa della società portoghese» [cit. in ARAÚJO, 1993: XVII].

 

Occorre anche dire come tali esigenze fossero state avvertite negli ambienti letterari portoghesi già molto prima delle «Conferências Democráticas do Casino», se è vero com’è vero che Alexandre Herculano nel 1838 aveva definito lo Stato portoghese «un anonimo cadavere» [cit. in SERRÃO, 1977: 48]. Inoltre sarebbe stato sempre Herculano, dall’alto del suo indiscusso prestigio, a rendere in qualche modo incandescente in Portogallo – lui liberale e cattolico – il dibattito attorno all’intolleranza della Chiesa e al conservatorismo religioso. Pubblicando prima, nel 1850, tre opuscoli apertamente anticlericali – Eu e o clero, Considerações Pacíficas, Solemnia Verba – in risposta agli attacchi ricevuti da una parte del clero portoghese, che non gli aveva perdonato l’omissione del leggendario miracolo di Ourique dalla sua História de Portugal [cfr. HERCULANO, 1985: 39-99], e successivamente, nel 1866, il volume Estudos sobre o Casamento Civil, vero e proprio libello contro coloro che si opponevano all’introduzione nel Paese del matrimonio civile, e in cui lo storico dimostrava come, fin dai primissimi tempi del Cristianesimo, esistesse fra l’uomo e la donna, accanto al matrimonio religioso, anche un tipo di accordo o vincolo civile – il tutto poi analizzato, dallo stesso Herculano, alla luce delle leggi e consuetudini del Portogallo epocale [cfr. IDEM, 1866].

Tale dibattito avrebbe comportato – da parte di coloro che si situavano, in diversa misura e da liberali o da socialisti, nel campo avverso a un tipo di cattolicesimo intransigente e reazionario – la rivendicazione del primato dell’istituzione-Stato sull’istituzione-Chiesa in tutte le manifestazioni o relazioni sociali, incluse quelle concernenti la famiglia coi suoi vincoli (vedi matrimonio) e il ruolo della stessa religione.

Ben presto il dibattito si spostò su un terreno più esacerbatamente ideologico, soprattutto nel corso degli anni ’70, con la diffusione delle idee positiviste, e quando il renanismo aveva già iniziato a fare proseliti. Cosicché, nel campo prettamente religioso o, ancor meglio, socio-religioso si verificò una contrapposizione fra i sostenitori di un cristianesimo tradizionale, con il rifiuto di qualunque innovazione di stampo rivoluzionario, e fra i sostenitori di un cristianesimo umanitaristico, con l’accusa alla Chiesa di aver manipolato e, quindi, in qualche modo falsato, il vero messaggio evangelico, improntato sulla giustizia sociale.

Eça de Queiroz, nonostante avesse ricevuto una educazione cattolica tradizionale, si schierò dalla parte dei cristiani rivoluzionario-umanitari. Non poteva essere altrimenti, considerando il vaglio critico profondo cui sottopose, a partire dai tempi di Coimbra, tutti i suoi convincimenti, per così dire, ereditati. Proprio questo vaglio critico profondo sarebbe andato risvegliando in lui, nel corso degli ultimi anni di vita soprattutto, quella attrazione per il religioso rimasta per certi versi sopita, quando non proprio – si direbbe – camuffata sotto il manto di un anticlericalismo che, pur se razionalmente motivato, oltre a non invadere mai il campo dogmatico, nulla aveva di irriverente e offensivo nei confronti della credenza e del culto.

Cosicché, possiamo affermare che la problematica religiosa di Eça de Queiroz si sviluppa sostanzialmente lungo due versanti. Abbiamo un primo versante, quello anticlericale appunto, in cui, ricorrendo alla caricatura e all’ironia, lo scrittore denuncia – all’interno di un quadro più generale che investe le condizioni socioculturali della borghesia portoghese epocale – un apparato ecclesiastico che, a causa di un comportamento assai spesso amorale, libertino, ipocrita e opportunistico, finirà sia per tradire la vera essenza della sua propria missione evangelica sia per ostacolare, come diretta conseguenza, il cammino dell’uomo in direzione di un’esperienza spirituale sana e ben lontana dal semplicistico e assai diffuso bigottismo. In questo senso, Eça avrebbe scritto nell’aprile del 1872 ne As Farpas:

 

«Il bigotto la bigotta, nella religione, non rispettano la divinità, rispettano il sacerdote. Non adorano Dio, adorano il sacerdote. […] È il sacerdote che li confessa, li comunica, li sottopone a penitenza, li addottrina, li guida. Sicché, pian piano, tutto il potere, tutta la saggezza, tutta la santità vengono attribuiti al sacerdote» [QUEIROZ, E., s. d.2: 347-349 (348)].

 

L’altro versante, di natura personale e sociale insieme, è quello caratterizzato da una certa inquietudine religiosa, che porterà Eça, nell’ultima fase della vita, a smussare, insieme ad alcune posizioni critiche marcate, il suo esacerbato pessimismo, con una visione del mondo circostante ora fattasi in qualche modo più benevola e tollerante.

La conferma dell’esistenza, nella problematica religiosa queirosiana, di tale versante intimistico, la rinveniamo nelle parole della figlia dello scrittore, Maria Eça de Queiroz, che, nell’organizzare e pubblicare, nel 1966, Folhas Soltas, scriverà:

 

«Abbiamo voluto riunire nel presente volume queste pagine lievi che molti, di certo, troveranno strane – poiché si ostinano soltanto a evidenziare in Eça de Queiroz l’aspetto satirico. / Questi non hanno approfondito la sua anima, né il suo cuore. / […] / Nella tumultuosa ispirazione della sua giovinezza, pubblica i libri vendicatori Padre Amaro, Bazilio, Relíquia – quando più maturo, ci regala il portentoso studio di una società con Os Maias. / Più tardi, forse perché la vita familiare gli aveva addolcito l’animo, s’intrattiene nel cantare la montagna e il “vano scorrere dei ruscelli”. [Più tardi], nella maturità, [scrive] vite di santi, in cui la ricompensa divina paga il salario al buon lavoratore» [QUEIROZ, M. E., 19702: 300-301].

 

Per certi versi, tale cambio di direzione da parte di Eça coinciderà con la presa d’atto – come lo scrittore stesso annota, nel 1893, in Positivismo e Idealismo – del sorgere di una «generazione nuova», la quale, reagendo «contro il positivismo», «sente la necessità del divino», ossia, avverte una

 

«rinnovata ansia di scoprire, in questo complicato universo, qualcosa di più della forza e della materia […]; di trovare un principio superiore che promuova e realizzi nel mondo quella fraternità dei cuori e quella eguaglianza dei beni, che né il giacobinismo né l’economia politica possono già realizzare; e di trovare finalmente qualche garanzia del prolungamento dell’esistenza, sotto qualsiasi forma, oltre la tomba» [QUEIROZ, E., 19706: 191].

 

La «fraternità dei cuori», la bontà, la compassione e un certo tipo di naturalismo panteista dai contorni buddisti, ecco quali saranno le coordinate di riferimento dell’ultimo Eça de Queiroz e che gli ispireranno, in un’ottica di amore universale e rivoluzione sociale insieme, pagine di grande bellezza e profonda commozione, quali quelle di Frei Genebro (1894) [cfr. IDEM, 19692], di Adão e Eva no Paraíso (1896) [cfr. IDEM, 19693], di O Suave Milagre (1898) [cfr. IDEM, 19694] e delle tre Lendas de Santos (1891?-1897?) [cfr. IDEM, 19701].

Il 10 maggio 1884, in una lettera inviata da Angers a Oliveira Martins, confidando all’amico, in un eccesso di sconforto velato d’ironia, di ritenere sé stesso e i suoi romanzi fondamentalmente francesi, Eça avrebbe scritto:

 

«Dei portoghesi conosco solo l’alta borghesia di Lisbona – che è francese – e che deve pensare alla francese, sempre che un giorno inizi a pensare. Com’è interiormente il portoghese di Guimarães e di Chaves? Non lo so. Padre Amaro è più presagito che osservato. E per probità di artista, credo che mi limiterò a scrivere racconti per bambini e vite dei grandi Santi» [IDEM, 19831: 227].

 

Per nostra fortuna, Eça non avrebbe dato seguito al proposito di rinunciare a scrivere romanzi. Se lo avesse fatto ci avrebbe privato della piacevole lettura di capolavori quali A Relíquia, Os Maias, A Ilustre Casa de Ramires, A Cidade e as Serras, tutti pubblicati – e, parte di essi, anche concepiti e scritti – dopo il 1884. Allo stesso tempo, tuttavia, non sarebbe abortita l’idea di scrivere agiografie e racconti per bambini.

Nel 1885, Eça pubblicò nel volume Um Feixe de Penas la prima versione di O Suave Milagre, col titolo Outro Amável Milagre, che, sia per la brevità del testo sia per lo stile semplice e fluido impiegato, può essere ritenuto a tutti gli effetti un racconto per bambini (cfr. CARVALHO, 1885: 93-100) (1).

Quanto all’interesse di Eça per l’agiografia e l’agiologia, sappiamo dalla Introdução di Jaime Batalha Reis alle Prosas Bárbaras come nell’estate del 1891 lo scrittore già stesse lavorando alla «vita diabolica e miracolosa di San Frei Gil» [cit. in REIS, 1969: 46]; poi, tuttavia, interrotta, nel 1893, per «dedicarsi a Sant’Onofrio» – come risulta da una lettera indirizzata, il 17 aprile di quell’anno, ancora una volta a Oliveira Martins:

 

«Non credo che tu conosca questo illustre solitario, perché non v’è certezza che sia mai esistito. Non dalla sua vita, che non ha, ma dalle agiologie, sono riuscito a ricavare un centinaio di pagine, una piccola plaquette, per abituare il pubblico a questo neo-flos-sanctorismo» [QUEIROZ, E., 19832: 256].

 

Entrambe queste lendas agiografiche – tramandateci manoscritte così come quella di San Cristoforo e poi raccolte e pubblicate postume, insieme a quest’ultima, nel volume Ultimas Páginas (1912), curato da Luís de Magalhães [cfr. IDEM, 1912] – sarebbero rimaste incomplete. La lenda su Sant’Onofrio lo è oggi solo in minima parte, grazie soprattutto all’ultima ricostruzione del testo realizzata, nel 1970, da Helena Cidade Moura [cfr. IDEM, 19703; MOURA, 1970]; al contrario della lenda su San Frei Gil di Vouzela, che s’interrompe bruscamente più o meno a metà, com’è facile dedurre dal raffronto fra il piano tracciato della vita del Santo che precede questa lenda e il testo originale della stessa [cfr. QUEIROZ, E., 19704: 233-234].

Cosicché, quella su San Cristoforo è l’unica delle tre lendas agiografiche queirosiane a esserci pervenuta completa [cfr. IDEM, 19702]. Ed è proprio rapportandomi a essa che proseguirò nella mia analisi, anche se è bene che si dica come tale scelta sia dovuta non a ragioni editoriali, ossia, inerenti alla completezza o meno dei tre testi in oggetto, ma al fatto che è nel São Cristóvão, come scrive António Sérgio, «che Eça ha concretizzato la sua aspirazione più intima, il suo ideale più alto: l’Azione del santo rivoluzionario o del rivoluzionario santo» [SÉRGIO, 1971: 109-110].

Questo non vuol dire che San Frei Gil di Vouzela e Sant’Onofrio ci vengano presentati da Eça, nelle loro rispettive azioni, come esenti da meriti. Tutt’altro. Entrambi, in quanto Santi, sono segnati da un destino soprannaturale e, quindi, possiedono i loro attributi divini.

Gil, dopo aver stipulato un patto con il Diavolo che gli consente di andare in giro per il mondo e vivere un’esistenza all’insegna della ricchezza, del potere, dell’avventura e dei godimenti più sfrenati, alla fine – scrive Eça nel «Piano dell’Opera» – «rinnega la sua vita e torna in Portogallo, per albergare in un convento» [QUEIROZ, E., 19704: 234]. Il Diavolo, però, non desiste e inizia a tentarlo con «tentazioni spaventose, che lui combatte per il tramite della pazienza e bontà». Frei Gil desidera una volta per sempre liberarsi del Diavolo, ma perché ciò possa avvenire occorre che lui compia «un atto che lo renda meritevole nel far sì che la Vergine rompa il patto». Realizza l’atto, «dedicandosi a um bambino o a um vecchio malato». Ottenuta dalla Vergine la rottura del patto, «raggiunge la pace, la felicità, e conosce finalmente la vita perfetta, che è una dolce vita conventuale, nella quiete di una valle. / Muore in santità» [IDEM].

Onofrio, all’età di vent’anni, sull’esempio di Sant’Antonio Abate, scelse di vivere da eremita in una caverna situata «in cima a un monte, tutto di roccia rossastra e nudo, senza neppure una ginestra o un muschio che ne addolcisse l’asperità» [IDEM, 19703: 161]. Lì dovette non solo affrontare e combattere le sue paure e le molte tentazioni del Demonio, che gli si presentava sotto molteplici mentite spoglie, ma anche «soffocare» le sue tante affermazioni d’orgoglio che, a seguito di una vita condotta all’insegna della solitudine e delle mortificazioni mistiche, spesso lo assalivano. Questo orgoglio si sarebbe mostrato in tutta la sua smisuratezza nel momento in cui Onofrio, lasciato dopo trent’anni il suo eremo, iniziò a operare caritatevolmente e miracolosamente in mezzo agli uomini. Chiosa Eça: «Per il bene che si semina negli altri, dentro di noi solo raccogliamo orgoglio – e ogni opera dovuta alla nostra carità demolisce l’opera della nostra umiltà» [IDEM: 215]. Consapevole di possedere «il dono di sanare la carne malata, calmare le anime» ma anche delle «spaventose tentazioni d’orgoglio» cui andava incontro «nell’esercitare il miracolo», Onofrio era tormentato dal dubbio se ritornare a vivere la vita di eremita o continuare la sua opera di apostolato [cfr. IDEM: 223]. Un giorno, incontrò una donna con in braccio un bambino ancora in fasce gravemente malato. Una voce dentro di lui lo spronava a intervenire; allo stesso tempo, però, avvertiva il pericolo dell’orgoglio in agguato. Che fare? Preso da una disperata e insopprimibile pietà, strappò il bambino dalle braccia della donna e, sollevatolo al cielo, iniziò a gridare:

 

«– Mio Dio, dammi il mio salario. Per settant’anni ti ho servito. Per te ho sofferto tutti i tormenti del deserto! […] Dammi il salario che mi spetta! Che questo bambino guarisca qui fra le mie mani, e avrò ottenuto la mia paga. Dopo, se vuoi, abbandona la mia anima!» [IDEM: 227].

 

Avvenuto il miracolo, ecco che, «furiosamente», in Onofrio, «emerse d’immediato la certezza della sua santità» [IDEM]. L’«irrimediabile Orgoglio» aveva ancora una volta invaso la sua anima. «Solo annientando il suo animo, avrebbe potuto distruggere il Male che in lui albergava» [IDEM: 228]. Prostrato e tremante, intravide davanti a lui una forma tutta bianca e splendente. Al che, conclude Eça,

 

«muto, già del tutto raggelato, lentamente diede un passo verso di essa – e venne meno, cadendo sul seno di Gesù Cristo, Nostro Signore, che lo strinse dolcemente fra le sue braccia, e lo portò con sé in Cielo, nello splendore dorato del pomeriggio» [IDEM: 229].

 

Note

(1) Um Feixe de Penas è una raccolta organizzata per fini caritatevoli – la creazione di un asilo per ragazze abbandonate – da Maria Amália Vaz de Carvalho. Formata da testi sia in prosa che in versi, in essa collaborarono, fra gli altri, Camilo Castelo Branco, Antero de Quental, Oliveira Martins e Guerra Junqueiro. Quanto specificatamente al racconto queirosiano, lo stesso è riportato anche nelle sue Obras [cfr. QUEIROZ, E., 19695].

 

(continua)

 

Bibliografia di riferimento

– AMORE, Agostino, 1948-1953. Cristoforo, in: Enciclopedia Cattolica. 12 voll. Ente per l’Enciclopedia Cattolica/Casa Editrice G. S. Sansoni, Città del Vaticano/Firenze: 921-923 (vol. IV).

– ARAÚJO, Joaquim de, 1993. Ensaio de Bibliografia Anteriana, in: Antero de Quental. In Memoriam. Edição fac-similada. Prefácio de Ana Maria Almeida Martins. Editorial Presença e Casa dos Açores, 2.ª edição, Lisboa: I-XCVI.

– BRANCO, Fernando Castelo, 1993. Franciscanismo de «A Cidade e as Serras», in: MATOS, A. Campos, 1993 (Organização e coordenação de), Dicionário de Eça de Queiroz, cit.: 443-446.

– CARDINALI, Antonietta, 1961-1970. [Cristoforo] Culto e iconografia, in: Bibliotheca Sanctorum. 13 voll. Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense/Città Nuova Editrice, Roma: 354-364 (vol. IV).

– CARVALHO, Maria Amália Vaz de, 1885 (Coligido por). Um Feixe de Penas. Tipografia de Castro Irmão, Rua da Cruz de Pau, 31, Lisboa.

– CATTABIANI, Alfredo, 1993. Cristoforo, in: IDEM, Santi d’Italia. Rizzoli, Milano: 311-316.

– CHARBONNEAU-LASSAY, Louis, 1994. Il simbolismo dell’Asino nella tradizione popolare, in: IDEM, Il Bestiario del Cristo. La misteriosa emblematica di Gesù Cristo (tit. orig. Le Bestiaire du Christ). 2 voll. Prefazione di Luca Gallesi. Saggio introduttivo di Stefano Salzani e PierLuigi Zoccatelli. Edizioni Arkeios, Roma: 341-343 (vol. I).

– CORTESÃO, Jaime, 1970. Eça de Queirós e a Questão Social. Portugália Editora, Lisboa.

– DA VARAZZE, Iacopo, 1995. Legenda Aurea. A cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone. Giulio Einaudi editore, Torino: 543-548.

– FERREIRA,  António Matos, 1993. Religião, Cristianismo, Jesus, in: MATOS, A. Campos, 1993 (Organização e coordenação de), Dicionário de Eça de Queiroz, cit.: 815-828.

– HERCULANO, Alexandre, 1866. Estudos sobre o Casamento Civil por ocasião do opúsculo do Sr. Visconde de Seabra sobre este assumpto. Typ. Universal, Lisboa.

– HERCULANO, Alexandre, 1985. Opúsculos. Volume IV. Edição crítica. Organização, introdução e notas de Jorge Custódio e José Manuel Garcia. Editorial Presença, Lisboa.

– MATOS, A. Campos, 1993 (Organização e coordenação de). Dicionário de Eça de Queiroz. Editorial Caminho, 2.ª edição revista e aumentada, Lisboa.

– MOURA, Helena Cidade, 1970. Nota Final, in: QUEIROZ, Eça de, 19701, Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos, cit.: 313-314.

– QUEIROZ, Eça de, 1912. Últimas Páginas. (Manuscritos Inéditos). São Cristóvão. – Sto. Onofre. – São Frei Gil. – Artigos Diversos. Livraria Chardron de Lello & Irmão, Porto.

– QUEIROZ, Eça de, 19691. Obras de Eça de Queiroz. Contos. Segundo versões revistas pelo autor e publicadas em Gazeta de Notícias, Atlântico, Revista Moderna, Almanaque Enciclopédico, Almanaque [sic. Brinde] do Diário de Notícias e Feixe de Penas. Fixação do texto e notas de Helena Cidade Moura. Edição «Livros do Brasil», Lisboa.

– QUEIROZ, Eça de, 19692. Frei Genebro, in: IDEM, 19691, Obras de Eça de Queiroz. Contos, cit.: 105-117.

– QUEIROZ, Eça de, 19693. Adão e Eva no Paraíso, in: IDEM, 19691, Obras de Eça de Queiroz. Contos, cit.: 119-153.

– QUEIROZ, Eça de, 19694. O Suave Milagre, in: IDEM, 19691, Obras de Eça de Queiroz. Contos, cit.: 245-255.

– QUEIROZ, Eça de, 19695. Outro Amável Milagre, in: IDEM, 19691, Obras de Eça de Queiroz. Contos, cit.: 257-264.

– QUEIROZ, Eça de, 19696. Obras de Eça de Queiroz. Prosas Bárbaras. «Introdução» de acordo com o texto revisto pelo seu autor em 1922. Folhetins de acordo com o texto da «Gazeta de Portugal» e da «Revolução de Setembro». Fixação do texto e notas de Helena Cidade Moura. Edição «Livros do Brasil», Lisboa.

– QUEIROZ, Eça de, 19701. Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos. Edição baseada em manuscritos e cópias de manuscritos. Fixação do texto e notas de Helena Cidade Moura. Edição «Livros do Brasil», Lisboa.

– QUEIROZ, Eça de, 19702. S. Cristóvão, in: IDEM, 19701, Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos, cit: 5-154.

– QUEIROZ, Eça de, 19703. Santo Onofre, in: IDEM, 19701, Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos, cit: 155-229.

– QUEIROZ, Eça de, 19704. S. Frei Gil, in: IDEM, 19701, Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos, cit: 231-291.

– QUEIROZ, Eça de, 19705. Obras de Eça de Queiroz. Notas Contemporâneas. Segundo versões contemporâneas do autor publicadas em diversos jornais e revistas. Fixação do texto e notas de Helena Cidade Moura. Edição «Livros do Brasil», Lisboa.

– QUEIROZ, Eça de, 19706. Positivismo e Idealismo, in: IDEM, 19705, Obras de Eça de Queiroz. Notas Contemporâneas, cit.: 185-196.

– QUEIROZ, Eça de, 19831. Correspondência. 1.° Volume. Leitura, coordenação, prefácio e notas de Guilherme de Castilho. Imprensa Nacional/Casa da Moeda, Lisboa: 225-227.

– QUEIROZ, Eça de, 19832. Correspondência. 2.° Volume. Leitura, coordenação, prefácio e notas de Guilherme de Castilho. Imprensa Nacional/Casa da Moeda, Lisboa: 255-257.

– QUEIROZ, Eça de, s. d.1. Obras de Eça de Queiroz. Obras Póstumas. Uma Campanha Alegre. De «As Farpas». Precedida de uma advertência do autor, em Outubro de 1890. Edição «Livros do Brasil», Lisboa.

– QUEIROZ, Eça de, s. d.2. [Cap.] LXXVII. Abril 1872, in: IDEM, s. d.1, Obras de Eça de Queiroz. Obras Póstumas. Uma Campanha Alegre. De «As Farpas», cit.: 347-349.

– QUEIROZ, Maria Eça de, 19701. S. Cristóvão – O Gigante, in: QUEIROZ, Eça de, 19701, Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos, cit.: 295-298.

– QUEIROZ, Maria Eça de, 19702. Santo Onofre – O Solitário, in: QUEIROZ, Eça de, 19701, Obras de Eça de Queiroz. Lendas de Santos, cit.: 299-301.

– QUENTAL, Antero de, 1973. Bom Senso e Bom Gosto. Carta ao Excelentíssimo Senhor António Feliciano de Castilho, in: IDEM, Obra Completa. Prosas da Época de Coimbra. Edição crítica organizada por António Salgado Júnior. Livraria Sá da Costa, Lisboa: 281-295.

– REIS, Jaime Batalha, 1969. Introdução, in: QUEIROZ, Eça de, 19696, Obras de Eça de Queiroz. Prosas Bárbaras, cit.: 5-46.

– SÉRGIO, António, 1971. Notas sobre a imaginação, a fantasia e o problema psicológico-moral na obra novelística de Queirós, in: IDEM, Obras Completas. Ensaios. Tomo VI. Edição crítica orientada por Castelo Branco Chaves, Vitorino Magalhães Godinho, Rui Grácio e Joel Serrão e organizada por Idalina Sá da Costa e Augusto Abelaira. Clássicos Sá da Costa, Lisboa: 53-120.

– SERRÃO, Joaquim Veríssimo, 1977. Herculano e a Consciência do Liberalismo Português. Livraria Bertrand, Lisboa.

 

[Questo articolo – qui rivisto e suddiviso in due parti – è stato per la prima volta pubblicato in portoghese, e con il titolo A vertente intimista e a fraternidade universal na problemática religiosa de Eça de Queiroz, nella rivista cartacea «Nova Águia – Revista de Cultura para o Século XXI» (Sintra – Portogallo), N. 32 – 2° Semestre 2023, pp. 27-35.

Tutte le traduzioni dei testi dal portoghese sono a mia cura].

 

Brunello Natale De Cusatis

Brunello Natale De Cusatis su Barbadillo.it

Exit mobile version