La storia. Quello che non torna nell’eccidio di Kindu, dove morirono 13 militari dell’AM

Gli interrogativi sono tanti e ci si chiede come fu possibile tutto ciò. Visto il teatro operativo instabile e violento, quali accorgimenti vennero adottati affinché le operazioni fossero svolte in sicurezza?

La prima pagina della Nazione sulla strage degli aviatori italiani in Congo

Corre l’anno 1961 allorquando un’Italia laboriosa e tranquilla, che tra l’altro festeggia i 100 anni della sua Unità Nazionale, sobbalza su stessa quando il 16 novembre viene raggiunta da una tragica notizia: cinque giorni prima, 13 militari dell’Aeronautica Militare, 5 ufficiali ed 8 sottufficiali in forza alla 46ª Aerobrigata di stanza a Pisa-San Giusto, impegnati in Congo in una missione internazionale di pace sotto l’egida dell’ONU, sono stati uccisi e brutalizzati da alcuni rivoltosi militari congolesi.

Dopo la catastrofe del Secondo Conflitto Mondiale, protagonista di un’autentica crescita sociale ed economica, l’Italia del Centenario si accinge a vivere un periodo di prosperità chiamato boom economico. Certo, è una Nazione che ha i suoi problemi, ma il benessere è talmente evidente che, di lì a poco, perfino alcuni film testimonieranno quel clima di agiatezza: pensiamo a «Il sorpasso» (1962) diretto da Dino Risi ed a «Il boom» (1963) scritto da Cesare Zavattini, diretto da Vittorio De Sica.

L’Italia del Centenario è una Nazione sostanzialmente unita, che crede nel senso dello Stato. Per celebrare l’anniversario è stato istituito un apposito comitato per le celebrazioni composto da 42 personalità di vario orientamento e differenti competenze. Il comitato è presieduto da Giuseppe Pella, insigne economista, noto esponente democristiano più volte ministro. È il giusto riconoscimento ad una personalità fedele agli ideali del Risorgimento, dotata di forte senso dello Stato e di una robusta Cultura della Nazione. Se Trieste nel 1954 è tornata all’Italia lo si deve anche a Pella.

II Governo che nel novembre 1961 guida l’Italia, in carica dal 27 luglio 1960, è un monocolore democristiano retto da Amintore Fanfani sostenuto dalla Dc, appoggiato esternamente da Psdi, Pri e Pli; ministro della Difesa è Giulio Andreotti. I vertici militari? Capo di Stato Maggiore della Difesa è il generale di corpo d’armata di Artiglieria, Aldo Rossi; Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica – dal 1° settembre 1961 – il generale di squadra aerea Aldo Remondino, pluridecorato al Valore, veterano di varie guerre. In questo contesto arriva la drammatica notizia dell’eccidio perpetratosi a Kindu.

La missione

La missione all’estero per la nostra Aeronautica è cominciata nel 1960 quando il Congo (oggi Zaire), ottenuta la indipendenza dal Belgio, vive un periodo turbolento costellato da una sanguinosa guerra civile. Tutto ciò lascia presagire come, la missione di pace Onu, si presenti più complicata del solito. La 46ª Aerobrigata ha il compito di fornire aiuti alla popolazione del luogo.

L’Aeronautica Militare Italiana, forte dei successi conseguiti nella buona ed avversa sorte nei suoi primi trentotto anni di vita, suscita ammirazione in campo internazionale anche per una solida tradizione nel campo delle missioni umanitarie. Infatti non è passato inosservato quanto svolto dall’Arma azzurra nel recente passato: l’ospedale da campo di oltre 100 posti-letto aerotrasportato in Corea del sud nel 1951 durante il conflitto (1950-1953) fra quest’ultima (anticomunista) e la Corea del Nord (comunista); il ponte aereo Napoli-Il Cairo in occasione della crisi di Suez (ottobre-novembre 1956), meglio conosciuta come la II Guerra arabo-israeliana; la missione a Libreville (Africa equatoriale) nel 1959, con trasporto di medicinali offerti dal popolo italiano all’ospedale del dottor Albert Schweitzer.

Veniamo alla tragedia che ancora oggi presenta degli aspetti controversi.

I 13 militari, decollati da Libreville a bordo di due velivoli C-119 denominati rispettivamente India 6002 (nominativo radio “Lyra 5”) ed India 6049 (nominativo radio “Lyra 33”) sono diretti a Kindu, provincia orientale del Kiwu, per rifornire una guarnigione malese dell’ONU ivi dislocata.

Giunti a destinazione ed esperiti i previsti adempimenti, i militari dell’Arma azzurra raggiungono la mensa dell’Onu dove vengono massacrati da circa duecento soldati congolesi guidati da un colonnello.

I Caduti sono:

Ma un’altra tragedia si abbatte sull’Italia il 17 novembre. Sempre nell’ambito della Missione di Pace Onu in Congo, un velivolo C-119 dell’Aeronautica Militare precipita nei pressi di Kimona. Un incidente in cui perdono la vita il capitano Elio Nisi, i marescialli Giovanni De Risi, Tommaso Fondi e Giuseppe Salimbeni in forza alla 46ª Aerobrigata. I corpi vengono rinvenuti pochi giorni dopo; si salvano il maresciallo Salvatore Giammona, i sergenti Mario Ferrari e Luigi Fredducci, tre funzionari dell’Onu. Solo nel febbraio 1962 vengono rinvenuti in due tombe comuni nel cimitero di Tokolote, poco distante da Kindu, i corpi dei 13 militari. Prima di raggiungere l’Italia, presso l’aeroporto di Leopoldville, l’Onu ed il Governo congolese tributano gli onori solenni ai 13 Caduti italiani. Officiate dall’Ordinario Militare, monsignor Arrigo Pintonello, le esequie hanno luogo nella cattedrale di Pisa il 12 marzo: una Nazione commossa ed incredula, alla presenza delle massime autorità, in testa il Capo dello Stato, Giovanni Gronchi, abbraccia i propri figli ed i famigliari affranti. Portano la loro solidarietà anche le famiglie dei militari scomparsi nell’incidente aereo del 17 novembre 1961.

Nonostante siano trascorsi oltre sessant’anni dall’eccidio, la vicenda non è stata chiarita del tutto ed i familiari delle vittime non hanno avuto giustizia. Gli interrogativi sono tanti e ci si chiede come fu possibile tutto ciò. Visto il teatro operativo instabile e violento, quali accorgimenti vennero adottati affinché le operazioni fossero svolte in sicurezza? Colui che da più parti fu ritenuto il capo dei rivoltosi e responsabile dell’eccidio, il colonnello congolese Albert Pakassa, dapprima arrestato, venne in seguito liberato dalle autorità del suo Paese. Certo è che quel minimo di verità che si sarebbe potuta sapere venne definitivamente seppellita nel settembre 1965 quando il Pakassa, che a quanto pare aveva una non indifferente libertà di movimento, dimorando in Egitto, venne assassinato al Cairo da un giovane connazionale, in circostanze poco chiare. Diretto ad Algeri, un anno prima era stato arrestato a Parigi, e la Francia se ne infischiò della richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. Solo i familiari dei 13 Martiri di Kindu hanno proseguito nella ricerca della verità ma, alquanto pare, con scarsi risultati.

Nella seduta della Camera del 17 novembre 1961, da più parti erano stati invocati aiuti immediati e concreti per le famiglie. 

Solo” nel 1994 i Caduti di Kindu sono stati ricompensati della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.

“Solo” nel 2006, con la Legge 20 febbraio n. 91 sono state originate le “Norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961”, finalmente con le reperite “coperture finanziarie”.

Anche per i Martiri di Kindu, oracoli di pace, ha trovato compimento quanto da Qualcuno affermato nelle Sacre Scritture: “nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.

Riposano nel Sacrario Militare ad essi dedicato, presso l’Aeroporto Militare di Pisa sede della 46ª Brigata Aerea.

 

Michele Salomone

Michele Salomone su Barbadillo.it

Exit mobile version