Cinema. “Lubo”, la Svizzera neutrale di ieri e gli accusatori di oggi

Il fluviale film-requisitoria di Giorgio Diritti, su abusi contro famiglie nomadi fino al 1974

Dal film Lubo, di Giorgio Diritti

Ingravidare donne svizzere per oltre un decennio tra 1940 e 1950 è il fine di uno “zingaro bianco”, cioè uno jenish (il tedesco Franz Rogowski), che nel 1939 si era visto sottrarre due figlioletti dalla Pro Juventute (versione elvetica delll’Opera Nazionale Maternità e Infanzia), esistita fino al 1974, che affidava piccoli “tolti dalla strada” a famiglie “perbene”. Programma filantropico – la grande crisi economica apertasi nel 1929 non era finita – che si rivelò fonte divari  abusi, fino a coprire, talora, casi di pedofilia.

Nel fluviale film Lubo di Giorgio Diritti – coproduzione elvetico-italiana ispirata a L’inseminatore di Mario Cavatore (Einaudi, 2004) – il titolo cambia rispetto al libro, perché cambia parzialmente la prospettiva. Sullo schermo il personaggo di Lubo Reinhardt feconda solo la moglie di un bancario. Quanto a gravidanze, il vendicatore dovrà attendere il 1951, spostarsi dai Grigioni a Zurigo e a Bellinzona, dove la cameriera italiana (Valentina Bellè) di un albergo, ragazza madre, s’innamora di un cliente che le pare bello e tenebroso.
Se Lubo Reinhardt è un gelido inseminatore che indaga sui figli rapiti, Diritti è un inveterato regolatore di conti socio-politici. La frazione di Svizzera con sensi di colpa l’ha “importato” per riaprire le sue piaghe. Paradossalmente, il meglio del film è nella ricostruzione dell’ambiente sociale, in città non oppresse dall’oscuramento e fra ristoranti immuni dal razionamento. Costumi e interpreti di lingua tedesca – nella prima metà il film è sottotitolato in italiano – evocano il suggestivo, più che deprecabile, passato dell’unico Paese dell’Europa centrale solo sfiorato dalle guerre del 1914 e del 1939, così ben descritto da Neutrale contro tutti di Jean-Jacques Langendorf (Settecolori).
Lubo

L’emulo jenish del conte di Montecristo diventa ricco decapitando un ebreo austriaco: lo deruba dei gioielli che altri ebrei gli avevano affidato per poi passare dall’Austria dell‘Anschluss in Svizzera. Lo decapita e si sostituisce a lui: miscela tra Il talento di Mr. Ripley di Patricia Highsmith, scrittrice americana che visse in Svizzera, e accuse mosse alla Svizzera negli ultimi trent’anni sull’appropriazione di beni di rifugiati.

La professionalità di Diritti avvince fin quasi alla fine. Colpisce poi la sua originalità: più emarginato del ricco ebreo, il suo assassino – un povero – è il buono del film.
*Lubo di Giorgio Diritti, con Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellé, 181′

Eric Cantona

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