I tre ex della banda della Magliana sono buoni. I tre carabinieri sono cattivi. Adagiodi Sollima è un film indirettamente, ma programmaticamente, a gloria della Polizia di Stato. Allo spettatore, le auto azzurre e bianche, quando s’intravvedono, paiono isole in una guerra. L’unica auto (civetta) dei carabinieri è invece veicolo di tortura.
Sollima pare alludere alle Ford Falcon, verde militare, degli squadroni della morte. Anziché Buenos Aires di mezzo secolo fa, vediamo la Roma ‘22, tra canottiere e mezze maniche, contrastanti coi lustrini di un ministro, sovrappeso e travestito.
Succede così che un cieco (Valerio Mastrandrea), indifferente a ripetute mancanze di corrente, vorrebbe morire in pace. Invece viene “sparato” e soffocato. Un canceroso (Pierfrancesco Favino), ligio a una compagna in età, deve a sua volta ricordarsi di essere stato un assassino, per salvare un minorenne, figlio di un finto rimbambito, terzo reduce (Toni Servillo) della banda della Magliana. Il minorenne è infatti coinvolto nel ricatto al ministro (chi ha memoria, capirà a chi si allude).
Il passato che non passa è una situazione logora. Ma Stefano Sollima sa trarre sangue – è il caso di dirlo – dalle rape del soggetto, sostenendo il ritmo, senza renderlo frenetico e arginando il fastidio sia del déjà vu, sia delle immagini riprese da un drone.
Mancano i sottotitoli per i dialoghi, ma fuori Roma gioverebbero.