Le fiabe e i Miti? Non solo una geografia dell’immaginario

Paola Cortellesi discetta di letteratura fantastica e di fiabe. Ma dimostra di saperne poco. Proviamo a fare il punto

Una delle opere mitologiche di Giorgio De Chirico
Un’opera di De Chirico

Paola Cortellesi, attrice e regista, discetta di fiabe in un’aula universitaria con un approccio woke e dimostra di non sapere quali sono le basi di una fiaba, di una favola, che cosa è il mito. Facciamo un po’ il punto. Mettiamo le idee a posto. E’ vero, qualcuno si chiede se nel terzo millennio, nell’età di internet, dell’intelligenza artificiale e delle comunicazioni più rapide, ha senso parlare di fiabe e favole. Cioè racconti che ignorano la modernità e affondano la loro narrazione nella notte dei tempi, i cui autori quasi sempre sono ignoti proprio perché si tratta di un genere tradizionale non legato alla “produzione letteraria” ma piuttosto a storie che hanno fondamenti antichi. Noi crediamo di sì vista l’importanza che hanno.

Miti e riti primitivi

Storici, demologi, etnografi, studiosi tradizionali affermano che gli elementi basilari delle fiabe risalgono a miti e riti primitivi e le fiabe e le favole avrebbero una valenza metastorica che prescinde e soprattutto supera la dimensione storica. Infatti questo genere di narrazione non ha mai riferimenti temporali. Il richiamo, piuttosto, è a un “ciclo d’iniziazione”, alle “espressioni della morte”. Le fiabe, soprattutto quelle che hanno elementi magici, sono pertanto il ricordo di una antica cerimonia, quella del “rito d’iniziazione” che veniva celebrata nelle comunità antiche.

Durante questo rito si compiva il passaggio dall’infanzia all’età adulta. I ragazzi erano sottoposti a varie prove per dimostrare di essere in grado di superare le avversità dell’ambiente e di essere maturi al punto da poter entrare a far parte della comunità degli adulti.

Un rito di passaggio nel quale si celebrava la morte dell’infanzia. Questa morte temporanea preludeva, quindi, all’età adulta e quindi a tutta una serie di responsabilità e obblighi di cui si facevano carico di fronte alla comunità.

Ma qual è la differenza tra fiabe e favole? Le fiabe sono racconti fantastici su fate, orchi, giganti e uccelli misteriosi; le favole hanno al centro della narrazione animali antropomorfizzati. In queste ultime lo scopo allegorico e morale è più evidente. Entrambe, comunque, contengono un chiaro richiamo ai miti che fanno parte della Tradizione.

Quindi, non sono semplici novelle, storielle, racconti. C’è, anzi, una diretta filiazione dal mito e dalle leggende che al mito si rifanno. Come affermava Mircea Eliade: il mito è la narrazione di una storia sacra che esprime un avvenimento accaduto nel tempo primoridale, nel tempo delle origini. Grazie a esseri soprannaturali una realtà si è verificata. E vale per il cosmo, per una specie vegetale, una istituzione, ecc. I personaggi dei miti sono esseri soprannaturali noti per ciò che hanno fatto nel tempo prestigioso delle origini. I miti rappresentano – e testimoniano – l’irruzione del sacro nel mondo. Il mito e il sacro sono elementi sempre presenti.

Fiabe e favole rappresentano quindi rappresentazioni simboliche (il simbolismo è il linguaggio mitico per eccellenza) fra le più calzanti per indicare verità metafisiche e comportamenti archetipici delle comunità.

Non è un caso che i fratelli Grimm, che raccolsero molte fiabe e favole della loro tradizione e molte le trassero dal Cunto de li cunti di Giambattista Basile che collezionò fiabe e favole in Campania e soprattutto in Basilicata, sostenevano l’origine divina delle fiabe e le interpretavano come l’ultima espressione di forme tradizionali dell’antichità. E oggigiorno avviene che vengano tramandate nonostante il popolo non ne comprenda i rimandi simbolici e mitici. Tanto che se un’attrice moderna ne parla scivola in riferimenti protofemministi…

Fiabe ed esoterismo

Ma le fiabe e le favole hanno anche una componente esoterica rilevante. Tanti sono stati gli studi in merito ed è bene sottolineare che hanno livelli di lettura differenti la cui comprensione dipende da chi legge e dalle sue conoscenze. Si tratta quindi di letture possibili su più piani. E alcuni di questi livelli sono davvero profondi e ricchi di insegnamenti. Non si tratta di storielline solo per bambini. Tutt’altro. Dalla lettura di una narrazione il bambino può comprendere il racconto, l’uomo colto che conosce il simbolismo, coglie messaggi ulteriori.

Se poi gli apologhi di Esopo sono semplici, non altrettanto si può dire per le favole di Fedro o di Flavio Aviano. E non deve essere un caso se dal punto di vista della formazione e dell’educazione Quintiliano consigliava agli educatori dei piccoli romani di narrare loro le aniles fabellae (le favole delle vecchierelle) per passare poi alle fabulae esopiche. Del resto, nella tradizione occidentale fabula ha il significato di “parola” (favella) deriva da far- fares (raccontare) e dimostra forse che erano esistenti favole e fiabe già prima della nascita della scrittura.

E’ facile immaginare che prima di Esopo alcune narrazioni passavano di generazione in generazione solo oralmente. Del resto le favole rappresentano un filone a sé nell’ambito della letteratura che ricomprende molte raccolte greche, romane e del Medioevo (queste ultime spesso a imitazione di quelle antiche). In particolare, nel periodo umanistico-rinascimentale il genere favolistico si è sviluppato notevolmente. Da Marsilio Ficino a Leon Battista Alberti, da Lorenzo Valla a Gregorio Correr a Giovanni Pontano.

Usi, costumi e morale

In quel periodo le favole e le fiabe venivano arricchite da apporti e richiami di filofia platonica e neoplatonica, con un ampio uso del mito nella filosofia. Le favole servivano anche per mostrare e insegnare gli usi e i costumi degli uomini e quindi la loro morale, una sorta di campionario del sistema di vita nella comunità. A volte avevano riferimenti anche dal punto di vista religioso: alcuni racconti esprimevano la voce degli Dei e così favole e fiabe si trasformavano in “racconti inventati che rappresentavano la verità” e si arricchivano via via di elementi della filosofia ermetica ed esoterica.

Insomma, queste narrazioni spingevano gli uomini a guardare al di là dal mondo, per andare oltre la semplice rappresentazione fisica. E proprio per questo la fiaba e la favola hanno una valenza fisica e una metafisica. Quella fisica è evidente in tutte le narrazioni: rocce, ponti, cavalli, spade, scarpe, rane, oltre ai personaggi della vita quotidiana come i contadini, la mamma, la nonna, i fratelli ecc. Quella metafisica riguarda tutto un mondo particolare: le divinità d’acqua, eremiti, fate, orchi, elfi, diavoli, hobbit e streghe. E a metà ci sono le commistioni fra gli uni e gli altri: unguenti che fanno guarire o che rendono invisibili le persone, bastoni che si muovono da soli, rane che si sposano con i principi ecc.

La fiaba e la favola, quindi, ripropongono il senso di narrazioni che affondano il loro senso nei miti dell’antichità.

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Manlio Triggiani

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