Giornale di Bordo. L’Economist contro la destra-hobbit e il giusto tributo a Cattabiani

L'intellettuale che portò con la Rusconi Tolkien in Italia sognava una cultura libera da steccati e pregiudizi

Giorgia Meloni alla mostra su Tolkien allo Gnam di Roma

Ho letto con molto interesse, e altrettanta malinconia, l’intervento di Lorenzo Ferrara sul “giornalismo poco inglese” dell’Economist, che mi ha fatto rimpiangere il tempo in cui il “Times” usciva con gli annunci economici in prima pagina. In effetti c‘è, nella cultura britannica, un filone di radicalismo antifascista e a volte antitaliano che talora lascia sbalorditi: non posso fare a meno di ricordare le polemiche di Denis Mack Smith contro Renzo De Felice, al tempo della pubblicazione del volume della sua biografia mussoliniana sugli “anni del consenso”. Devo riconoscere però che il mediocre biografo di Garibaldi, quando il grande storico reatino morì, ne riconobbe onestamente i meriti.

Quanto all’articolo di mister John Hooper sulle radici culturali della destra di governo, credo si possa parlare di una polemica raffazzonata, in cui la polemica contro Fratelli d’Italia si salda con una sottile vena di disprezzo per l’Italia. Un discorso a parte meriterebbe la Tolkien-filia di larga parte della destra giovanile italiana.

Il caso Tolkien esplose nella penisola negli anni Settanta, quando un grande letterato e organizzatore culturale come Alfredo Cattabiani, all’epoca direttore editoriale della Rusconi Libri, pubblicò Il signore degli Anelli, che era già uscito, parzialmente e con scarsa fortuna, per i tipi dell’Astrolabio. Prima di ottenere uno straordinario successo nei più diversi ambienti, soprattutto dopo la sua riduzione cinematografica, il capolavoro di Tolkien divenne un libro di culto per i giovani di destra, e mi permetto di avanzare una spiegazione.

I ragazzi del Fronte della Gioventù e dintorni a partire dal 1973 si sentivano emarginati da un mondo che (Lucio Battisti dixit) “non ci vuole più” e cercavano nella Fantasy una forma di evasione in un altro mondo. Non voglio dire che facessero male, voglio solo interpretare uno stato d’animo. Del resto la stessa fortuna di Julius Evola, maturata solo nel secondo dopoguerra, si presta a un’analoga interpretazione: la sua concezione regressiva della storia, la sua rivolta contro il mondo moderno, toccavano le corde di una destra sconfitta, che anche se sperava in “un’alba di luce” aveva subito “un cupo tramonto”.

Non è un caso, del resto, che Il tramonto dell’Occidente di Spengler sia stato tradotto in italiano solo negli anni Cinquanta, anche se il filosofo della storia prussiana piaceva a Mussolini, che però ne apprezzava le opere meno “pessimistiche”. Tutto questo non toglie nulla al valore letterario di Tolkien; è solo una possibile chiave per comprendere le ragioni della sua perdurante fortuna.

Alfredo Cattabiani

Permettetemi però una breve postilla su colui che fu l’artefice della fortuna italiana di Tolkien: Alfredo Cattabiani. Pensatore cattolico formatosi alla scuola di Augusto Del Noce, Cattabiani fu messo in condizioni di lasciare la guida della casa editrice da Rusconi, cui aveva regalato un grande best seller e una scuderia di autori di tutto rispetto, fra cui il futuro premio Nobel Patrick Modiano. Le pressioni della sinistra, che lo detestava, costrinsero l’editore a una scelta dolorosa. Chi nega l’esistenza di un’egemonia culturale marxista dovrebbe riflettere anche su episodi come questo, che per altro sono tutt’altro che episodici.

Per vivere Cattabiani si riconvertì a giornalista e divenne caposervizio per la cultura del “Settimanale”, il periodico moderato che, come suggerisce il titolo, sarebbe dovuto divenire il corrispettivo ebdomadario del “Giornale” di Montanelli. In quella veste lo conobbi (gli ero stato presentato da Giano Accame, caposervizio per l’economia) ed ebbi modo di collaborarci per un anno e qualche mese, prima della precoce chiusura del periodico. Dopo di allora visse di collaborazioni al “Tempo”, alla Rai, a “Prospettive Libri”, su cui mi fece scrivere un paio di articoli, al “Giornale” e di raffinate pubblicazioni a sfondo tradizionalista. Scomparve nel 2003, a Santa Marinella, dove si era trasferito, ad appena sessantasei anni.

L’ultima volta che ci vedemmo fu intorno al 1983 a Roma, nel quartiere del Celio, dove abitava. Mi parve un uomo stanco della politica, che per altro aveva solo lambito, a parte una giovanile partecipazione al famoso convegno all’Hotel Parco dei Principi. Di quel nostro ultimo colloquio mi colpì la sua convinzione che si sarebbe dovuti ritornare al mondo prima delle enclosures, ovvero le recinzioni dei campi aperti, che precedettero in Inghilterra la rivoluzione industriale. Non condivido questa nostalgia, ma penso che, oltre che Tolkien, la destra dovrebbe onorare anche la memoria di Alfredo Cattabiani, senza il quale gli hobbit non avrebbero avuto così presto in Italia diritto di cittadinanza.

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Enrico Nistri

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