Il progetto di un mondo migliore degli illuministi salentini

Un saggio di Hervé A. Cavallera sulle intuizioni di un gruppo di pensatori che prefigurò «una anticipazione dello Stato sociale, ma con l’accortezza di non incorrere negli sprechi»

L’illuminismo italiano ha avuto uno dei suoi luoghi dell’elezione nella Napoli di Antonio Genovesi, durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759), successivamente re di Spagna con il nome di Carlo III. Se l’illuminismo milanese ebbe, con Verri e Beccaria, tratto eminentemente pragmatico, quello meridionale fu più speculativo, attento, in particolare: «a dare più alta forma al gran Regno, affinché fosse a tutti estesa la pubblica felicità» (p. 5). L’azione di riformismo illuminato messa in atto da Carlo, fu proseguita da Ferdinando. La continuità fu garantita dall’opera di solerti intellettuali salentini sui quali porta la propria attenzione Hervé A. Cavallera nella sua ultima fatica. Ci riferiamo a, Il progetto di un mondo migliore. Il contributo degli illuministi salentini, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Grifo (pp. 277, euro 20,00). Si tratta di una raccolta di saggi, completata in Appendice da tre ulteriori studi dell’autore, Onorario dell’Università del Salento e curatore dell’opera omnia di Giovanni Gentile, dedicati a personaggi e aspetti specifici dell’illuminismo leccese.

   Il Regno di Carlo è ricordato dagli storici soprattutto per il Codice carolino, pubblicato solo nel 1789. Benedetto Croce ha scritto a proposito di quel frangente storico: «quei venticinque anni furono di risoluto progresso […] certamente nuovi mali non si aggiunsero agli antichi, e gli antichi furono attenuati, e il paese respirò» (p. 58). Fu introdotto il catasto onciario, nella speranza di rendere più equa la distribuzione del carico fiscale ma i risultati non furono del tutto convincenti, fu   consentito  tassare alcune proprietà della Chiesa, fu ridotto il numero degli ecclesiastici e limitata la loro immunità con la costituzione di un tribunale misto. Fu, altresì, vietata l’istituzione a Napoli dell’Inquisizione, onde garantire la libera circolazione delle idee. In tutto ciò giocarono un ruolo essenziale alcuni ministri dell’illuminato sovrano. Tra essi, Tanucci, docente di diritto civile a Pisa e il principe Bartolomeo Corsini, nipote di papa Clemente XII. In tutto ciò, un ruolo di primo piano  lo giocò Antonio Genovesi, sodale degli illuministi salentini.

   Genovesi iniziò una brillante carriera universitaria, grazie all’appoggio di Celestino Galiani, in seguito generale dell’ordine dei celestini. Lettore di metafisica, pubblicò il proprio Elementa metaphysicae, grazie all’approvazione ricevuta dal Regio revisore, Giuseppe Orlandi, illuminista di Tricase. Ottenne, infine, l’insegnamento di “Commercio e Meccanica”, di fatto la prima cattedra di Economia Politica in Europa. Soltanto il sapere e le conoscenze, a suo dire, avrebbero potuto risollevare le sorti morali ed economiche del nostro Mezzogiorno. Allo scopo, sarebbe stato necessario diffondere l’istruzione pubblica di base, promuovere le arti, l’artigianato, l’agricoltura e l’operosità: «Genovesi auspica l’uniformità del sistema formativo, uniformità che non può non ottenersi quando lo Stato se ne sarà assunto il compito, punendo gli indolenti» (p. 21). Sottolinea, inoltre, nei propri scritti, il ruolo capitale dell’insegnante, vero strumento di riforma socio-morale. Suo amico fu Giuseppe Orlandi, lo si è visto, fratello di Celestino divenuto vescovo di Molfetta nel 1775 e che nel 1773 partecipò al Conclave seguito alla morte di Benedetto XIV. Con la soppressione dell’ordine dei Gesuiti si fece latore della richiesta al Real Governo di Napoli e al Papa, dei locali lasciati liberi dalla Compagnia di Gesù in Napoli.

   Suo fratello Giuseppe fu docente di Fisica sperimentale: «dette al suo insegnamento un taglio [….] secondo l’impostazione newtoniana» (p. 24), convinto com’era che solo la sperimentazione scientifica e la diffusione della cultura avrebbero potuto trasformare la vita civile. Da Revisore regio dei libri, autorizzò la stampa della Lettera apologetica (1750) di Raimondo di Sangro, principe di San Severo e Gran Maestro della massoneria. Era affiliato alla loggia del principe. In tale loggia si teorizzava attorno all’: «Umido Radicale, l’insieme delle potenzialità vitali latenti che languiscono all’interno dell’individuo, in attesa che l’Arte pervenga a liberarle» (p. 52). Orlandi era convintamente cattolico, perché allora aderì alla massoneria? Da cosa nascevano i suoi interessi esoterici? Lo spiega Cavallera: «gli andavano strette le obbedienze a norme prestabilite […] di cui si erano fatti coriferi gli alti prelati napoletani […] La vocazione per l’esoterismo ne è stata una conferma» (p. 54). Nel 1744, Orlandi pubblicò la sua opera capitale, Sectionum conicarum tractatus. Un anno prima aveva già ottenuto un consulto di grande responsabilità, riguardante la staticità della cupola di S. Pietro. Dopo la condanna della massoneria napoletana, al fine di lasciarsi alle spalle le polemiche cittadine, fu nominato vescovo di Giovinazzo e Terlizzi.

  Altro illuminista salentino fu Giovanni Presta da Gallipoli (1720). Studente di medicina a Napoli conobbe il Galiani. Rientrato nel Salento fece parte del movimento riformatore di quella terra. Si occupò del miglioramento delle culture agricole, in particolare dell’olio. I suoi trattati in tema, risentano della sua erudizione classica, ma sono aperti al nuovo. La pratica agricola tradizionale, memoria storica dei contadini del Sud, avrebbe dovuto essere integrata al fine del conseguimento di una migliore qualità dei prodotti. Pose così particolare attenzione alle tecniche produttive, agli strumenti di lavoro, all’uso della pietra leccese, introducendo anche la coltivazione del tabacco. Sulle stesse posizioni va collocato Ferdinando Maria Orlandi, nipote dei due vescovi. Si occupò di un’industria tipica di Tricase: la concia e lavorazione delle pelli. Veniva, allo scopo, utilizzato il tannino estratto dalle ghiande della quercia falanide. Tale tradizione produttiva andava incrementata e migliorata attraverso la costituzione di apposite scuole.

   In tema, le sue posizioni erano prossime a quelle di Giuseppe Palmieri da Martignano (1721), che si batté quale Direttore del Supremo Consiglio delle Finanze del Regno di Napoli: «per la liquidazione del regime feudale e per la riforma di codici e istituti» (p. 29). Al fine di migliorare  le condizioni socio-economiche del popolo non bisognava puntare sulla sola redistribuzione della proprietà terriera, ma sarebbe stato necessario badare: «alle spese di anticipazione saggiamente fatte» (p. 30). Inoltre, lo sviluppo era, a suo dire, legato alla creazione di infrastrutture che consentissero ai braccianti di vivere degnamente sui fondi: «una anticipazione dello Stato sociale, ma con l’accortezza di non incorrere negli sprechi» (p. 31). Un programma di riforme, quello degli illuministi salentini, che la Rivoluzione francese di fatto bloccò, forse testimonianza di un “altro” illuminismo.

* Hervé A. Cavallera , Il progetto di un mondo migliore. Il contributo degli illuministi salentini, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Grifo (pp. 277, euro 20)

Giovanni Sessa

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