Judith Wright, dall’Australia una leggenda poetica a difesa della natura

tudiò a Sidney e poi in Europa; allo scoppio del secondo conflitto bellico, ritornò in Australia dove portò avanti la sua battaglia ambientalista e dove sono nate le sue opere

Judith Wright

Judith Wright è stata una poetessa che si è battuta per la salvaguardia e la conservazione dell’ambiente rurale australiano e si è interessata alla realtà degli aborigeni per la difesa dei loro diritti.
Nacque a Armidale, nel Nuovo Galles del Sud nel 1915, studiò a Sidney e poi in Europa; allo scoppio del secondo conflitto bellico, ritornò in Australia dove portò avanti la sua battaglia ambientalista e dove sono nate le sue opere.

Sposò un filosofo e scrittore che poi divenne suo marito e che fu l’ispiratore delle poesie ‘Da donna a uomo’ da cui emerge la nuova e coraggiosa prospettiva della donna nel rapporto d’amore. Autrice anche di libri per bambini e di altre opere, ci preme qui mettere in evidenza l’aspetto ambientalista. Il paesaggio australiano, le sue montagne, (specie il monte Tamborine), i suoi deserti, le sue foreste pluviali furono al centro della sua arte, lo sfruttamento del territorio fu tenacemente denunciato così come il mancato rispetto verso le popolazioni indigene. Judith era convinta che il linguaggio e la poesia avessero il potere di unire profondamente l’uomo e la natura. Come critico letterario e autrice di antologie riservò uno spazio anche ai primi scrittori che, da immigrati, provenivano da altri continenti e agli autori aborigeni. Quando morì, nel 2000, volle che le sue ceneri fossero sparse intorno al cimitero di Tamborine fra il suo verde e le sue cascate e regalò al governo australiano una fascia di foresta pluviale perché creasse in quel luogo un parco nazionale.

Leggenda

Riporto qui di seguito una poesia in cui, attraverso un racconto fantastico, Judith Wright ci trasferisce il suo amore per la natura e la resistenza che deve essere insita in ciascuno di noi per dominare le forze avverse, per superare le difficoltà, anche quelle che sembrano insormontabili. Persino la natura, sembra che, poi, ci ricompensi con la grande generosità di cui è capace.
Il garzone del fabbro uscì con una carabina e con un cane nero che gli correva dietro. Ragnatele gli invischiarono i piedi,
fiumi l’ostacolarono,
rami spinosi gli si avventarono agli occhi per accecarlo,
e il cielo diventò un infausto opale,
ma lui non ci badò.
«I rami li so rompere, so passare i fiumi a nuoto, neutralizzare con lo sguardo qualunque ragno sulla mia strada»,
disse al cane e al fucile.
Il garzone del fabbro si diresse verso i recinti con il vecchio cappello nero in testa. Montagne gli sbarrarono il cammino,
rocce gli franarono addosso,
e il vecchio corvo gracchiò: «Presto morirai».
E la pioggia venne giù a barili.
Ma lui disse soltanto:
«Le montagne le so scalare, le rocce le so scansare, so sparare a un vecchio corvo in qualunque momento»,
e proseguì verso i recinti.

Come fu giunto alla fine del giorno, il sole cominciò a tramontare, la notte scaturì, pronta a ingoiarlo,
come una canna di fucile,
come un vecchio cappello nero,
come un avido cane nero alle sue calcagna.
Poi il piccione, la gazza, la colomba cominciarono a gemere,
e l’erba si piegò per fargli da cuscino.
Gli si spezzò il fucile, gli volò via il cappello, il cane era sparito, e il sole tramontava.
Ma davanti alla notte si stagliò l’arcobaleno sulla montagna, proprio come il suo cuore presentiva.
Corse come una lepre,
si arrampicò come una volpe;
lo prese con le mani, coi suoi colori e il freddo – come una sbarra di ghiaccio, un getto di fontana, come un anello d’oro.
Il piccione, la gazza e la colomba si alzarono in volo a contemplarlo,
e l’erba si rialzò sulla montagna.
Il garzone del fabbro si mise in spalla l’arcobaleno al posto del fucile rotto.
Le lucertole uscirono a vedere,
i serpenti gli fecero largo, e l’arcobaleno
rifulse risplendente come il sole.
E il mondo disse: «Nessuno è più prode, nessuno più baldo, nessun altro ha fatto
nulla di simile». Lui tornò a casa al colmo della baldanza, con l’oscillante arcobaleno in spalla.

Come si può cogliere dalla lettura di questa poesia, il garzone, visto l’arcobaleno sulla montagna, risplendente come il sole, lo raggiunge con molta difficoltà ma con determinazione e coraggio e lo mette sulle sue spalle al posto del fucile (quale messaggio stupendo!); poi prosegue il suo cammino. E’ un invito per ciascuno di noi a battersi strenuamente perché nel mondo si raggiungano i colori della pace, dell’armonia e della bellezza.

Emilia Grimaldi

Emilia Grimaldi su Barbadillo.it

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