Segnalibro. D’Annunzio, la massoneria e le barricate di Parma di agosto del 1922

All'Insegna del Veltro pubblica un libro di Morini che fa chiarezza sugli scontri fra forze di sinistra e squadristi fascisti

Gabriele D'Annunzio a Fiume
Gabriele D’Annunzio a Fiume

Fu Gabriele d’Annunzio a progettare un colpo di mano con legionari fiumani e squadristi fascisti per la conquistare dell’Italia con una marcia su Roma. Mise a punto questa “gualdana rivoluzionaria” e sottopose il piano a Benito Mussolini verso la fine del 1920. Ben più politico, il futuro Duce sostenne che non era fattibile, al momento, poiché era necessario assicurarsi l’astensione da ogni intervento da parte dei socialisti e dei popolari. Cosa non sicura da garantirsi. Per i popolari, sarebbe stato necessario far sapere che la connotazione politica del progetto rivoluzionario era repubblicana. Non solo: bisognava coinvolgere alti ufficiali, specie della Marina militare, trovare un accordo con la CgdL. Non se ne fece nulla. Passarono circa due anni e il poeta-soldato decise, nel 1922, di presentarsi all’altare della patria con alcuni manipoli di suoi fedeli, legionari e reduci del primo conflitto mondiale e farsi conferire la carica di dittatore, ma solo per tre mesi, il tempo necessario, secondo il Vate, per pacificare le varie componenti politiche. D’Annunzio avrebbe provveduto a cooptare nel “governo” Mussolini e altri politici. Il sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris condivideva il colpo di mano e dette il proprio assenso. Ma accadde che Gabriele D’Annunzio cadde dalla finestra della sua villa al culmine di una lite con un’amante e si ferì seriamente. Tutto fu rimandato…

Le intese fra D’Annunzio e Mussolini erano particolarmente difficili, specie in città come Parma, dove l’Alleanza del lavoro, che raggruppava vari sindacati di sinistra, aveva indetto per i giorni seguenti uno sciopero contro le violenze fasciste. La notizia circolò prima della proclamazione ufficiale e Mussolini dette l’allarme alle squadre d’azione sostenendo che se l’esercito non avesse fatto fallire lo sciopero, sarebbero intervenuti gli squadristi. Il ministro Taddei dette l’ordine di difendere gli scioperanti da attacchi eventuali di fascisti. Questo spiega perché gli scioperanti resistettero fino al 6 agosto con barricate erette in più parti della città di Parma. Per molto tempo gli antifascisti hanno spacciato questa resistenza per una vittoria contro i fascisti ma, come osserva Franco Morini nell’interessante libro D’Annunzio, la massoneria e le barricate di Parma, citando lo storico del sindacalismo rivoluzionario, Umberto Sereni, a Parma c’era una situazione particolare: Alceste de Ambris aveva messo la città sotto protezione di D’Annunzio e Mussolini non voleva rovinare gli equilibri con il poeta. Perciò gli squadristi, nonostante l’intervento di Italo Balbo, che arrivò il 4 agosto ed esautorò il quadrumvirato fascista, non vollero forzare la situazione. Ma ci fu anche un dato che pesò non poco: i fascisti farinacciani contrastavano le decisioni dei fasccisti balbiani e talvolta ci furono anche scontri fra loro. Insomma, le barricate dell’Oltretorrente, quartiere parmense allora dichiaratamente rosso, non furono fatte smobilitare ma Balbo ottenne che il potere venisse preso dall’esercito. Ottenne questa decisione del prefetto e così fece smobilitare gli squadristi.

Un libro interessante, questo di Morini, che mette a punto dettagli e chiarisce aspetti non del tutto scontati della mobilitazione di sinistra e dell’intervento dei fascisti. Di particolare rilievo anche la presenza della massoneria, che ebbe il suo ruolo, in entrambe le fazioni.

Morini, D’Annunzio, la massoneria e le barricate di Parma (prefazione di Franco Cardini; Ed. all’insegna del Veltro, pagg. 123, euro 18,00)

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Manlio Triggiani

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