Solo per Rep e’ una notizia l’amicizia di Almirante con il figlio di Matteotti

I loro incontri erano cominciati alla Camera dei Deputati (Matteo Matteotti vi era stato eletto dal 1946, Giorgio Almirante dal 1948) ma erano continuati e, anzi, si erano infittiti col passare del tempo in coincidenza con la lenta emarginazione che il figlio di Matteotti subì per opera della sinistra

Giorgio Almirante, segretario nazionale del Msi

Sì, Almirante era amico del figlio di Matteotti, Matteo. Quella di Repubblica non è una notizia sconvolgente. I loro incontri erano cominciati alla Camera dei Deputati (Matteo Matteotti vi era stato eletto dal 1946, Giorgio Almirante dal 1948) ma erano continuati e, anzi, si erano infittiti col passare del tempo in coincidenza con la lenta emarginazione che il figlio di Matteotti subì per opera della sinistra.

Dice su Repubblica la figlia di Matteo, Laura, che ricorda Almirante a casa loro “anche due volte a settimana” per prendere il tè.

Non ricordo con precisione questo ritmo dei loro incontri. Ricordo invece, e bene, che quando Almirante lanciò la campagna per la raccolta di firme per una petizione per il ripristino della pena capitale secondo quanto prevista dal Codice Penale Militare di Guerra in tempo di pace, il figlio di Giacomo Matteotti su tra i primi a firmarla.

Era il 4 gennaio 1981 e Almirante parlò a Napoli.

L’Italia era stremata dal terrorismo, quello rosso, quello nero e quello bianco, in una parola: di regime. E si sentiva non protetta dalle istituzioni che alimentavano la spirale dell’odio e del sangue. Ma questo lo apprendemmo con dovizia di particolari più tardi. E ancora aspettiamo materiali documentativi per completare le risposte tuttora mancanti.

La iniziativa missina fece ovviamente un gran rumore. Rumore nella pubblica opinione, non certo nel sistema informativo.

I giornaloni che alzavano ogni mattina il dito accusatorio contro il cosiddetto terrorismo nero si mobilitarono subito per silenziare” e condannare sin dall’inizio la campagna missina, peraltro non riuscendovi.

Le firme in pochi mesi superarono addirittura il milione, una cifra oggi inimmaginabile.  

Fra i tanti ricordo Il Messaggero, allora di proprietà della famiglia Perrone, che si era schierato a spada tratta in difesa degli assassini di Primavalle (famiglia Mattei) e si era mobilitato contro l’iniziativa missina. Una parente non secondaria della famiglia risultò parte del commando.

Il sequestro di Aldo Moro spinse un ultramoderato come Ugo La Malfa ad invocare nel suo discorso alla Camera il ripristino della pena di morte per fermare il terrorismo che era arrivato a colpire i vertici dello Stato.

Padre Raimondo Spiazzi, teologo “di fiducia” di Paolo VI, sostenne che in presenza delle tragedie interminabile del Paese il ricorso alla pena capitale era del tutto compatibile con il pensiero della Chiesa.

Aldo Fabrizi, il grande attore romano protagonista di “Roma città aperta” di Rossellini, aderì anch’egli.

Un alto esponente della Resistenza in Piemonte, Massimo Mila, divenuto uno dei più qualificati musicofili italiani e critico musicale della Stampa, aderì alla petizione andando a firmare in un banchetto collocato in piazza Castello a Torino.

Insomma il Paese ribolliva di paura per il terrorismo e di rabbia per la insipienza delle autorità.

E non era questione di destra o sinistra.

Occorreva dare un segnale forte, fortissimo. Occorreva far capire alle istituzioni impastoiate nelle loro beghe di potere che era finito il tempo dell’attesa e della fiducia.

Sicuramente l’iniziativa missina segnò l’avvio di questa reazione popolare.

Della quale si fece protagonista gente coraggiosa e intellettualmente onesta come Matteo Matteotti ma soprattutto il milione di cittadini che firmò.

Nell’amicizia di Almirante verso Matteo Matteotti credo che ci sia stato dell’altro.

C’era sicuramente quella, mai negata, simpatia di Almirante verso il mondo socialriformista e autonomista che da Nenni arrivò a Craxi passando attraverso alcuni personaggi non di primissimo piano ma pur sempre molto autorevoli, come Ruggero Ravenna, Italo Viglianesi, Luigi Fontanelli e altri.

Insomma una amicizia che veniva da antiche fonti dottrinarie, sociali e nazionali e che non era stata deturpata dalla tragica fine di Giacomo, il padre di Matteo, sulla cui morte ha sempre gravato l’ombra di Re Vittorio Emanuele III e del suo rapporto con la Sinclair Oil Corporation.

Massimo Magliaro

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