L’eterno ritorno dei Cccp, note ribelli al MiAmi festival di Milano

L'emozione per il ritorno di una band fuori dagli schemi, che spiazza quando incrocia note e geopolitica

Cccp nel concerto di Milano

Milano. Tra frammenti di tecniche/sotto prodigi incerti/un affanno continuo/radio accese…”: sotto il segno dell’angoscia per il tempo variabile e della spasmodica attesa di aggiornamenti da parte degli organizzatori del MiAmi, festival di Rock.it giunto ormai alla sua diciottesima edizione, si è tenuto giovedì scorso il concerto della reunion dei CCCP al Carroponte, a Milano.

“Se l’obbedienza è dignità, fortezza/La libertà una forma di disciplina/Assomiglia all’ingenuità la saggezza/Ma non ora non qui, no non ora, non qui…”: già, perché chi, sano di mente, si sarebbe acquartierato sotto il palco in anticipo di due ore nonostante le seimila strampalate norme di sicurezza che vietano qualsiasi cosa, dagli ombrelli non pieghevoli ai tappi delle bottigliette di plastica, se non noi? Forse Salvini “ha fatto anche cose buone” attaccando la normativa europea che impone di produrle con il tappo attaccato…

“Non si svende non si svende/neanche se non funziona/niente saldi di speranze/niente saldi di esistenze”: nonostante le polemiche su questa reunion, sorta di appendice in terra italiana delle due date berlinesi di questa primavera (“Vi prego fratelli, rimanete fedeli alla terra” ammoniva lo Zarathustra di Nietzsche, e anche “alla linea”, chioserebbe Lindo Ferretti, fedele alla sua RozzEmilia, anche se sempre più paranoica, nella postmodernità), i biglietti, nemmeno particolarmente economici, sono finiti sold-out in quattro e quattr’otto.

“Mutazioni possibili/progenitori falsi/un nodo nella gola/schermi accesi…”: dribblati con eleganza situazionista tipicamente post-punk e sorrisi di circostanza gli strascichi delle polemiche sulla comparsata pseudo-provocatoria di Andrea Scanzi sul palco di Berlino e sulle dichiarazioni pro-Meloni rilasciate dal sempre eccentrico Giolindo al medesimo scribacchin… ehm, giornalista, si è entrati nel vivo della serata. D’altra parte, dai tempi di “Palestina” a quelli delle dichiarazioni pro-Israele (anche se, come avrebbe detto Andreotti nel “Divo” e come ha spesso spiegato lo stesso Ferretti, “la situazione era un po’ più complessa”) ne è passata di acqua sotto i ponti…

Lindo Ferretti sul palco d Milano

E anche da quando i CCCP insieme ad Amanda Lear, nell’‘88, venivano trasmessi dalla Ra, intenti a cantare la splendida “Inch’Allah ça va”, purtroppo grande assente in queste serate. Peccato, perché un testo più filosoficamente pregnante di quello è difficile trovarlo, altro che “Le particelle elementari” di Houellebecq… “Mais ces progrès dont notre âge se vante/Dans tout ce grand éclat d’un siècle éblouissant/Qu’est-ce que vous voulez que ça me foute!/L’atmosphère n’est plus la même/Et je m’embête, je m’embête… […] L’homme s’évanouit, n’a pas de lendemain/Avec les yeux fermés je ne sais pas ce qui se passe/Il me faut la chaleur humaine pour bien grandir/ Est-ce que c’est dangereux?/ On m’a volé mon âme/On m’a volé l’amour…”.

“All’erta sto come un russo nel Donbass/come un armeno nel Nagorno Karabakh…”: sulle questioni geopolitiche qualche segnale confortante proviene però dal nuovo verso inserito ad hoc in “Radio Kabul” già durante le date berlinesi. Se non vogliamo considerare in questo senso anche la cover di Kebabträume dei Deutsch-Amerikanische Freundschaft cantata da Zamboni…

“Spara Jurij spara/spera Jurij spera!”: introdotto da un’inedita cover di Lindo Ferretti e Annarella di “Bang bang” di Cher, arriva il culmine del concerto. Parte il pogo selvaggio, poco rispettoso delle scricchiolanti giunture del pubblico, equamente ripartito tra soggetti ampiamente in andropausa, pubblico femminile e sedicenti intellettuali artritici (come chi scrive, peraltro). “Una cosa divertente che non farò mai più”, direbbe David Foster Wallace. Sparuti addetti alla sicurezza tentano di riportare la calma ingiungendo con scarsa convinzione agli astanti balzellanti di “stare sereni”. L’ultimo che ha sentito una frase simile, Enrico Letta, non ha fatto una gran fine, ci pare di ricordare…

“A noi piace un casino confondere le idee/ Però ci piacerebbe molto di più farvi ballare, ve lo garantisco…”: poteva mancare tra i bis “Io sto bene”, che nel live a Pankow era introdotta da questa mirabile dichiarazione d’intenti, realizzata, seppure con qualche anno – o decennio, che importa di fronte all’eternità del tempo? –  di ritardo? Io non credo!

“Commovimento d’animo/Spirito di partito/Movimento parziale/Stimolante paralisi…”: oramai il concerto volge al termine, con la sua adunata non troppo oceanica e la commozione, quella sì, fluviale.

“Che vuoi farci, è la vita/è la vita, la mia…”: è l’ora dell’addio. “Si spengono le luci, gli amici se ne vanno” e… nonostante tutto, “sono (ancora) un ribelle, mamma!”.

Camilla Scarpa

Camilla Scarpa su Barbadillo.it

Exit mobile version