“A destra niente di nuovo”: il saggio-pungolo di Iacona

Un'opera da leggere come una riflessione senza filtro sul mondo non conformista tra cultura e potere

È nelle librerie, per i tipi di Youcanprint, un nuovo volume del saggista Marco Iacona. Ci riferiamo al testo, A Destra niente di nuovo, quasi un diario di bordo (per ordini: info@youcanprint.it, pp. 133, euro 14,00). Si tratta di un pamphlet innervato da stimolante vis polemica e da accattivante verve ironica. I bersagli cui Iacona riserva i propri strali sono il mondo della destra italiana, in particolare quella culturale e, soprattutto, il comune sentire e il modus vivendi peculiari del nostro tempo. Fabio Granata, autore della prefazione, rileva che il rapporto di Iacona con la destra è: «rapporto di odio/amore, come quello di un amante tradito e deluso» (p. 3). L’ obiettivo cui mira l’autore è sinteticamente colto dallo stesso prefatore: «bisognerebbe avere nuovamente la capacità di immaginare un mondo “nuovo” […] capacità di cogliere la grandezza e la fecondità del “senso” tragico del vivere» (p. 5). Giudizio pienamente condiviso da chi scrive.

   L’incipit del volume fotografa la situazione della destra nell’attuale frangente storico, rilevando la palese contraddizione esistente tra i suoi riferimenti ideali e la prassi politica: «Una destra tolkieniana che vorrebbe annientarlo l’anello del potere, anti-occidentalista, anti-americana […] che porta i sorrisini buoni al democratico Joe Biden» (p. 9). Una destra che politicamente si muove assecondando esclusivamente le proprie ragioni di esistenza, meglio di permanenza nella camera dei bottoni. La stessa parte politica, a muovere dal 1994 berlusconiano, ha rinunciato a se stessa, alla propria storia e ai propri valori di riferimento. Anche tra coloro che allora criticarono tale scelta, vi sono personaggi che  paiono aver sposato pienamente l’appiattimento liberal-conservatore della destra meloniana, nel nome di un “realismo” politico che, alla lunga, si rivelerà improduttivo. Disattenta (a voler essere generosi!) al mondo della produzione intellettuale, la destra ha proposto, dal dopoguerra a oggi, una cultura centrata su letture scolastiche degli stessi autori, incapace di cogliere le radicali trasformazioni in atto nella società iperindustriale (la definizione è del filosofo Stiegler). Eppure, molti dei suoi autori di riferimento potrebbero giocare un ruolo essenziale nel dibattito intellettuale, essendosi fatti latori, nell’epoca della secolarizzazione, del possibile ritorno del sacro. Purtroppo: «Si principia da un divino si finisce in un divano» (p. 10).  Per tali ragioni, Iacona ritiene di dover guardare altrove.

  Si rivolge ai maestri di disincanto e sprezzatura, guarda a Sgalambro, Svevo, Joyce e Campo, animato da una scepsi propositiva, nella convinzione espressa proprio dalla Campo che: «La bellezza, innanzitutto, interiore prima che visibile, l’animo grande che ne è radice e l’umor lieto» (p. 12), possano indurre il Nuovo Inizio. Recupera, attraversandone sinteticamente il pensiero, l’élitismo di Pareto e Mosca, nella convinzione sgalambriana che il Mundo pessimo, abbia sempre alle spalle la dimensione polemologica, consustanziale alla vita. Del resto, ricorda l’autore, lo stesso Evola apprezzò Il mito virtuista e la letteratura immorale di Pareto, che permise al tradizionalista di evincere una delle ragioni della “dissoluzione” del mondo contemporaneo in Cavalcare la tigre: il pansessualismo. Nella società contemporanea a dominare è il “tipo femminile”. Lo comprese, nel romanzo Cecilia o la disattenzione, Zolla. In quelle pagine prefigurò l’orizzontalità dell’epoca contemporanea, la riduzione del mondo a Uno. Perfino le ferie vengono “organizzate” dall’Apparato. Un mondo di pauperismo spirituale di cui si accorse l’ “antifascista” Pavese nella   nostalgia “pagano-padana” della vita comunitaria dei contadini delle Langhe, che contrappose, nelle sue opere, all’in-solitudine (alla solitudine dell’epidermico stare-assieme degli abitanti delle città). Iacona, compie un excursus nell’evolismo, definisce il pensatore “filosofo-non filosofo” (Evola filosofo lo fu, eccome, forse malgré lui e gli “evolomani”), ritiene che egli sia un tabù: «per aver scommesso sulla politica […] per aver fatto “malissimo” i calcoli con la filosofia pratica» (p. 25).

  Giudica negativamente le mostre dedicate ai suoi quadri, compresa quella recente del Mart, nata da un idea di Vittorio Sgarbi, che Evola avrebbe giudicato alla stregua di un: «chiassoso Marinetti» (p. 31). Riconosce il tratto fenomenologico attraverso il quale Evola, in Cavalcare, ripropose la “Nuova Oggettività” che non poteva condurre nella modernità, esclusivamente umana, a una soluzione politica, semmai individuale e filosofica. Da ciò è disceso che a destra: «Più o meno ben aggregati i conservatori si agitano, gli anti-moderni vivono isolati al comando di se stessi» (p. 33).

Discutendo l’idea di Impero in Dante (e in Evola), Iacona colloquia con Cardini, Volpi, Alliata di Villafranca, Principe. Giunge a questa conclusione: «Dante figura…italiano tra non-italiani, o non-italiano tra italiani» (p. 59), un italiano inutile, come Prezzolini. In fondo, Dante mirò, al pari di Gentile a ri-fondare uno spirito nazionale degno di tal nome: «Un’Italia, un popolo e una tradizione custodibili (custoditi) in ogni individuo e finalmente un vero unico Stato» (p. 61). Nella figura del fisico Ettore Majorana, misteriosamente scomparso, viene colta una propensione peculiarmente siciliana, tesa alla: «fuga dell’individuo moderno dallo spirito della modernità» (p. 67), verso l’altrove. Tale peregrinazione nella cultura nazionale prosegue nella Trieste di Saba, giunge ad Asti, a Vittorio Alfieri in lotta con le storture del proprio tempo e con la cornice, puramente estetica, nella quale allora viveva la nostra letteratura. La libertà cui anelava l’astigiano è oggi offesa dalla governance espropriatrice della sovranità popolare. Sovrano non è il popolo in quanto, come scrisse il filosofo Andrea Emo, la democrazia liberale è epidemica, si “sovrappone” al popolo.

  Lo avevano compreso Svevo, nell’apocalisse che chiude la Coscienza di Zeno, e lo scettico Montale. Il pensiero critico è oggi tacitato dal sistema educativo mirato a formare produttori e consumatori, comunque al servizio del Gestell. I fantasmi dell’antifascismo imperante e dell’  anticomunismo, evocati in modalità ectoplasmatica, servono alle bisogna del potere: «Ma il pensiero è nato come pensiero del possibile» (p. 117), teso a recuperare la vichiana coincidenza di “vero e di fatto”. Il possibile induce all’Azione, così come, rileva l’autore, la concentrazione in se stessi, perfino l’atto della preghiera, che ci sottrae alla falsa comunicazione social omnipervasiva.

  Un libro, quello di Iacona, di cui certo si possono non condividere alcuni giudizi o toni a volte esasperatamente polemici, ma che, comunque, inviata a riprendere i sentieri interrotti del pensare. Anche a destra. Non è poca cosa…   

Giovanni Sessa

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