Europei2024. La debacle azzurra con la Spagna e (non solo) il declino pallonaro

L’involuzione della politica e della società italiane nella storia della Nazionale di Calcio dal 1968 a oggi

Luciano Spalletti ct della Nazionale

Imbarazzante. Non trovo parola migliore per descrivere questa nazionale di calcio. Quella che l’altro giorno ha perso con la Spagna (troppo di misura – avrebbe meritato un paio di pallini in più) è probabilmente la peggiore che io abbia mai visto. Inclusa quella che andò in Sud Africa, non so se mi spiego. Ed è inevitabile, quando si tratta degli Azzurri, che la mente vada ai periodi storici segnati dalle vittorie e dalle sconfitte. Le imprese degli Europei ’68, i mitici Mondiali di Messico ’70, sorressero il morale dei nostri emigranti per decenni dopo il leggendario Quattro a Tre. E loro, gli emigranti, che a quel tempo, senza falsi pudori, si chiamavano ancora così, sostennero l’Italia, sospinsero la sua macchina verso il famoso “sorpasso” degli Anni Ottanta, quando per qualche anno ci raccontarono che il Prodotto Interno Lordo italiano aveva sopravanzato quello della Gran Bretagna. Addirittura!

Di quella verosimile esagerazione ci gonfiammo tutti il petto.  Il craxiano Ottimismo della Volontà si sposava alla grande con il Tre a Due di Barcellona al Brasile di Falcao. Era un’Italia che vinceva, che soffriva, che sapeva rialzarsi perché aveva la volontà di farlo. Era un’Italia divisa dalle ideologie, certo, ma ancora capace di ritrovarsi nella sua identità nazionale. I punti di riferimento non mancavano, né nella vita, né in campo. Pertini, l’unico presidente con una personalità da centravanti, Bearzot, che aveva rischiato tutto con Paolo Rossi.

Ed ecco Italia Novanta, la grande occasione mancata di sorpassare il Brasile, e poi i Mondiali del 94, il lucido e folle sogno di Sacchi. C’eravamo quasi.

Poi basta.

Piano piano, la bolla si sgonfia, il bluff del debito viene chiamato e i burocrati prendono il potere. Signore e Signori, ecco a voi la dittatura della Contabilità.

I banchieri fanno i Presidenti della Repubblica e la Cosa Pubblica è ormai solo un affare di soldi. Gli stessi soldi che sono già gli unici padroni del Calcio. E il cuore? Quale cuore? All’ottimismo si sostituisce lo Spread, la noiosa e triste faccia della cancelliera tedesca, che ci regala uno sprazzo di gaiezza solo da dietro, quando Berlusconi, (i cui soldi ci comprano un gran calcio straniero), fa la sua indimenticabile battuta. Ma, ormai, le donne giocano anche loro al calcio e queste cose non si possono mica più dire. Guai a scherzare sui deretani, roba becera, da spogliatoio.

Nel Duemila manchiamo d’un soffio l’Europeo, vittime della beffa di una Francia che tutto è meno che transalpina. E, in extremis, alla fine, l’astuto Materazzi a Berlino ci regala la migliore delle rivalse.

Ma è un fuoco fatuo. La Nazionale non è più la stessa. Come l’Italia. Annega nel frastuono delle Vuvuzela, diaboliche trombette di autentica plastica africana, mentre persino la Nuova Zelanda si fa beffe di noi. Improvvisamente, siamo noi ad annegare, in un mare di migranti e di meschine polemiche su separatismi e crocifissi.

Così, la bussola la perdiamo davvero, salta il calcolo dei prudenti (o masochisti) amministratori e al potere va una squadra di Terza Divisione. L’Italia è in Serie D. 

Non sappiamo più chi siamo, ci incartiamo tra reddito di cittadinanza e voragini grammaticali. A strillare d’orgoglio rimangono solo i gay.

A qualificarci per i Mondiali non ci pensiamo nemmeno più, roba del passato. Basta che vinca il club, il mio, quello con la formazione che non faccio mai in tempo a imparare perché cambia a ogni partita e ogni volta è piena di nomi nuovi, esotici, che si tingono le chiome di giallo. Li vanno a pescare nelle baraccopoli dell’Africa, perché lì sono forti, hanno voglia di lottare, di diventare qualcuno. Mentre i nostri ragazzi, che sono sempre di meno, sono bravini da piccoli, ma poi…hanno nomi troppo facili da imparare, non colpiscono l’immaginario collettivo e li lasciamo all’oratorio o in panchina, anche se pure loro cominciano a tingersi i capelli di giallo.

Ed eccola qui, l’altra sera, l’Italia imbarazzante, il tiqui-taca che non sappiamo fare, il calcio altrui che tentiamo di imitare, dopo la fine delle idee e dei piedi dritti, dopo che coraggio, altruismo e fantasia sono irrimediabilmente svaniti nella lunga attesa di giocare da titolare, annegati in un mare di denaro.

Imbarazzante davvero, soprattutto per loro, poveretti, questi Azzurri grigiastri, involontari simboli del declino di una nazione e di una Nazionale.

Franco Baresi

Franco Baresi su Barbadillo.it

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