“Credo (nell’astrologia) non credendoci, come faccio con tante altre cose”: lapidario, Henry de Montherlant (1896-1972) dichiarava il suo essere doppio, il suo credere in tante cose e soprattutto al loro contrario, essendo gli opposti due modi differenti di affermare la verità, come amava credere.
Nel giugno del 1968 pubblicò Le bestiaire céleste, stampato dalle edizioni d’arte Les heures claires di Parigi in una edizione lussuosa con xilografie di Frédéric Delanglade e colorazione a mano.
Il bestiaro celeste (il testo è pubblicato in italiano dal benemerito editore Aragno che tante pregevoli chicche sta sfornando) tratta dell’astrologia, con la rappresentazione, per ogni segno zodiacale, di un animale reale o immaginario, che richiama un periodo dell’anno. Questo tema fu scelto proprio perché Montherlant, molto attratto dalle credenze degli antichi, era interessato all’astrologia.
Lo zodiaco, segno d’alternanza
Per lui, lo zodiaco era una metafora dell’”alternanza”, laddove per alternanza – concetto che ricorreva nel suo pensiero – si intendeva la convinzione che non ci si dovrebbe piegare alle convenzioni né lasciarsi incatenare da sentimenti o azioni, ma accettare il taoista wei-wu-wei, il “muoversi senza muoversi”. Quindi affermava la necessità di non preoccuparsi di smentirsi, di avere coscienza che “la vita di un uomo non è che un’increspatura. Non restiamo mai gli stessi”. Non solo: considerava la natura dello Yin e Yang come se – specularmente – valessero anche “le alternative del giorno e della notte, della vita e della morte, e anche la lotta degli elementi, il cielo azzurro dopo la tempesta, l’estate dopo l’inverno, la vita mantenuta e rinnovata dopo la distruzione”. Carattere non facile, quello di Montherlant, che amava la civiltà romana e si sentiva egli stesso un romano, e amava Giano bifronte, con due visi, uno anziano e l’altro giovane, a rappresentare il passato e il futuro. Il terzo volto, quello dell’eternià, non si vede, non si conosce.
Specialmente nel paganesimo, spiegava, “secondo la cosmogonia del greci, in accordo con la scienza moderna, i principii opposti sono ugualmente necessari, e dall’unione degli opposti risulta l’armonia universale”. Montherlant accetta il destino e ama la vita ma non si trattiene dal dire: ”La morte è per me un’opportunità di vitalità”. Tutto e il contrario di tutto.
Il solstizio di giugno
Nel 1941 le riviste “La gerbe” e “Nouvelle revue française”, dirette la prima da Alphonse de Chateaubriant e la seconda da Pierre Drieu La Rochelle, pubblicarono vari articoli di Montherlant poi raccolti nel libro Il solstizio di giugno (riproposto di recente da Passaggio al bosco), definito “il più discusso libro della letteratura della Collaborazione”. In quest’opera Montherlant auspicava che i tedeschi, idealmente eredi pagani di Licinio, comandante romano sconfitto dal convertito al cristianesimo Costantino, facessero garrire al vento, sul punto più alto di Notre Dame, cattedrale edificata sulle rovine di un tempio fatto costruire da Caio Giulio Cesare, la ruota solare (lo svastica ma anche la croce solare) che campeggiava al centro della bandiera del Terzo Reich. Sarebbe stato il segnale della nascita di un nuovo Ordine. E proprio di quest’Ordine parla in buona parte Il Solstizio di giugno. Sperava fosse almeno quello l’esito della rovinosa guerra fra Francia e Germania. Il 14 giugno del 1940, infatti, dopo essere dilagate fra la Somme e l’Oise, le truppe tedesche entrarono vittoriose a Parigi e sfilarono sugli Champs Elysées. Montherlant era prostrato per l’umiliante e cocente sconfitta della Francia in una guerra durata due settimane e nello stesso tempo rimase folgorato dalla potenza germanica. Un segno premonitore e, per il pagano scrittore francese, una vera e propria rivincita della “ruota solare” sulla cristianità. Tutto merito di un popolo “al quale spetta ora il compito di distruggere la morale borghese ed ecclesiastica dalle rive dell’Atlantico fino ai più lontani confini della Russia”.
Il collaborazionista
Non è un caso che proprio Il solstizio di giugno, libro essenziale per comprendere il pensiero dello scrittore francese ma anche lo spirito di certo collaborazionismo, ha rappresentato il capo d’accusa mosso contro l’orgoglioso scrittore francese. Orgoglioso di essere nobile, orgoglioso della propria razza, di essere cioè francese ed europeo, e apertamenre collaborazionista anche se il suo fu un collaborazionismo estetico, di visione del mondo, interiore, quasi spirituale, e la critica di sinistra lo comprese. Le radici della sua visione del mondo erano negli autori greci e romani piuttosto che negli scrittori e intellettuali moderni. Era un inattuale che combatteva, nel pieno della modernità, richiamandosi ai valori antichi della fedeltà, dell’onore, della forza e dell’identità. E se si vantava di esser nato nella notte fra il 20 e il 21 aprile, Natale di Roma, quando decise di suicidarsi, scelse la data dell’Equinozio d’autunno, il 21 settembre. Un richiamo alla rituaria della religione romana. Un ciclo che si apre e poi si chiude. Paul Morand commentò: “Montherlant è morto all’inizio di autunno, come un eroe solare. La vita d’un filosofo, la morte di un samurai”.
Henry de Montherlant, Il bestiario celeste, Aragno ed., a cura di Giovanni Balducci, trad. di Giuseppe Balducci; pagg. 102, euro 16,00; ordini: info@ninoaragnoeditore.it
Henry de Montherlant, Giulio Cesare. Dialogo con un’ombra, Aragno ed., a cura di Giovanni e Giuseppe Balducci, pagg. 56, euro 13,00
Henry de Montherlant, Il solstizio di giugno, Passaggio al bosco, pagg. 178, euro 16,00, ordini: passaggioalbosco.com