L’abbaglio british sulla libertà di stampa in Italia e su fenomeno Meloni

Il Guardian sbanda mentre l'Economist celebra Giorgia, Ursula e Marine Le Pen

La copertina di Economist

Un’altra puntata della serie come ci vedono i Brits. The Guardian, 12 maggio 2024 sull’Italia di Giorgia Meloni: “La politica della democrazia illiberale”, il titolo dell’editoriale.

Nel sottotitolo: “Uno sciopero dei giornalisti presso l’emittente statale invia un segnale inquietante in uno dei più importanti Stati dell’Unione Europea”.

Mentre nel testo si evince: “Secondo Reporter Senza Frontiere l’Italia è crollata nelle classifiche internazionali. Un fattore cruciale nel suo rapporto è stato il desiderio del suo governo di svendere un’agenzia di stampa controllata dallo stato a un barone della stampa – uno che guarda caso è un deputato nella sua coalizione di governo. Mentre la coalizione della destra radicale consolida la sua presa sul potere, ci sono molte altre ragioni per temere per il futuro della libertà di espressione e dell’imparzialità dei media.

Un filosofo dell’Università La Sapienza di Roma diventerà l’ultimo intellettuale a comparire in tribunale, dopo essere stato accusato di diffamazione da un esponente del governo. In un talk show, Donatella Di Cesare ha descritto il linguaggio utilizzato dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida (cognato della Meloni), di stampo neonazista. Secondo le draconiane leggi italiane sulla diffamazione rischia una sostanziosa pena detentiva.

Non è un caso isolato. La stessa Meloni sta portando avanti un caso di diffamazione aggravata contro uno storico di 81 anni. Ha anche portato in tribunale Roberto Saviano e ha denunciato i giornalisti del quotidiano di sinistra Domani.

Anche nel settore radiotelevisivo il quadro è desolante. Per decenni il controllo dell’emittente statale Rai è stato un premio politico ai governi entranti. Ma l’amministrazione Meloni sembra abusare spietatamente dei suoi nuovi poteri. Il direttore generale Giampaolo Rossi, è uno stretto alleato della Meloni, ammiratore di Viktor Orbán e, un tempo, apologeta di Putin.

Giornalisti esasperati hanno iniziato scioperi, per le condizioni di lavoro, ma anche in risposta a presunte interferenze editoriali da parte del governo. Enrica Agostini, giornalista politica senior, ha affermato che in 25 anni alla Rai di non aver mai sperimentato pressioni e censure come adesso. Nel frattempo, ad aprile, uno dei principali autori italiani, Antonio Scurati, ha accusato la Rai di censura dopo che un invito a tenere un discorso sull’antifascismo per celebrare la Festa della Liberazione è stato ritirato all’ultimo minuto.

L’alta stima della Meloni per Orbán, sedicente campione della “democrazia illiberale”, è nota. Da quando è entrata in carica, a differenza di Orbán, si è posizionata in modo rassicurante nel mainstream politico europeo. Ma in patria, la determinazione del suo governo nel vigilare sulla pubblica piazza e nel criticare con prepotenza, deriva dal programma di Orbán. Anche i musei e altre istituzioni culturali sono stati sottoposti a pressioni inappropriate. Scurati, messo da parte, ha raggiunto la fama internazionale attraverso il suo romanzo M: Son of the Century, basato sull’ascesa di Benito Mussolini. Ma in un’intervista successiva alla vittoria elettorale del partito Fratelli d’Italia nel 2022, ha distinto tra fascismo del XX secolo e destra radicale moderna, osservando: “Il vero pericolo [ora] non riguarda la sopravvivenza della democrazia, ma la sua qualità”. E qui termina l’editoriale del The Guardian.

Mancando dall’Italia da anni, ignoro se l’attuale governo illiberale, secondo The Guardian, coltivi una democrazia di dubbia qualità, e ignoro se si stanno esercitando pressioni improprie sugli organi di stampa. Affiora invece alla mente la memoria nitida di un regime durato decenni, basato su un dominio culturale dei media soffocante e tirannico dalle antiche radici marxiste leniniste. Stupiscono pertanto gli allarmi attuali di una stampa ancora di parte, che in quelle radici forse non si riconosce più ma di cui non sa liberarsi. Una stampa che non tollera dissenso e idee contrarie a quelle che per decenni hanno tenuto banco, all’insegna dell’omologazione propugnata dalla vigile sinistra. Le recenti analisi dicono che la destra in Europa è vincente, ma a casa nostra, i media fedeli a schemi obsoleti, se ne sono accorti? A confermarlo un editoriale del paludato The Economist, 1-7 giugno 2024 che si prende la briga di mettere in copertina tra due “protagoniste” di profilo, proprio Giorgia Meloni, in primo piano, “trionfante”, invecchiandola un poco, forse, senza tuttavia attenuare la sua forza espressiva. Il titolo di copertina: “The three women who will shape Europe.” Per quelli che l’inglese non lo digeriscono: “Le tre donne che plasmeranno l’Europa”, e, pare che l’ago della bilancia sia proprio lei, Meloni, del cui “appoggio” Ursula Von Der Leyen e Marine Le Pen hanno bisogno. “La signora Meloni tiene le sue carte vicine al petto” continua The Economist, espressione idiomatica per dire: comportarsi con cautela, senza rivelare informazioni sulle proprie vere intenzioni. E se lo dice il giornale britannico…

Lorenzo Ferrara

Lorenzo Ferrara su Barbadillo.it

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