Giovani del “Fronte della Gioventù” tra Abba, Tolkien e Gramsci

Ricorrente nel suo racconto è il ricordo di quel drappello di poco disciplinati volontari che, in maniera disinteressata, si lanciarono all’avventura mossi da una spinta ideale e uniti da fratellanza e senso di appartenenza

Un corteo del Fronte della Gioventù

Cairo Montenotte è una graziosa cittadina di quasi 13 mila abitanti adagiata nel cuore della valle che prende il nome dal fiume Bormida; di questa valle Cairo è il centro più popoloso e ne costituisce una sorta di capoluogo.

Benché la Valbormida e la sua “capitale”, dal punto di vista amministrativo, si trovino in Liguria, il forestiero che vi si reca per la prima volta nota immediatamente come il paesaggio, il clima e la cucina non corrispondano a ciò che egli immaginava di trovare in una Regione famosa per il suo mare. Lo stesso andamento della Bormida può disorientare chi giunge a Cairo per la prima volta, provenendo dalla Riviera. Le acque del fiume, infatti, sembrano correre in senso contrario a quello che la natura vorrebbe: anziché essere dirette a sud verso il mare, se ne allontanano, aprendosi la strada a nord verso l’entroterra. E non è soltanto un’impressione! Se un giovane cairese sognatore affidasse alle acque del fiume un messaggio chiuso in una bottiglia, questo – anziché raggiungere in poco tempo il vicinissimo Mar Ligure – percorrerebbe centinaia di chilometri e, passando per il Tanaro e il Po, finirebbe nel lontano mare Adriatico, magari per essere raccolto (con un pizzico di fortuna) da una romantica ragazza di Rosolina.

Il visitatore che entra a piedi a Cairo da sud, passando sotto l’austera porta “Soprana”, si rende sin da subito conto della storia antica e rispettabile della città, testimoniata innanzitutto dai bassi edifici che si affacciano sulla via Roma e sui vicoli che la intersecano. In alto, a dominare il centro storico, si stagliano i ruderi di un castello, appartenuto anche alla nobile famiglia dei Del Carretto. Percorsa tutta la via Roma si entra nella vasta piazza della Vittoria, dove i palazzi e il monumento – ornato da cannoni – dedicato ai caduti nella Grande Guerra testimoniano gli sviluppi urbanistici otto-novecenteschi. Percorrendo ancora poche decine di metri, si giunge in un’ulteriore piazza, più piccola e raccolta, al cui centro è posto un monumento bronzeo dedicato a Giuseppe Cesare Abba.

Questo illustre cairese – oltre che sindaco della città e fondatore di una delle prime Società di mutuo soccorso – fu, in età matura, insegnante, preside di scuola e apprezzato educatore di giovani; da ragazzo amò l’avventura e l’ideale dell’unità d’Italia e, coerentemente, fu garibaldino e componente della spedizione dei mille. Egli passò alla storia principalmente per la sua attività di scrittore: l’Abba fu, infatti, autore di alcune significative opere letterarie, tra le quali le famose Noterelle di uno dei mille, conosciute anche con il titolo Da Quarto al Volturno. In questo apprezzato esempio di memorialistica risorgimentale, seppe descrivere l’impresa delle camicie rosse in maniera vivida, mostrando di avere collocato il ricordo di quella sua generosa esperienza giovanile tra i tesori di tutta una vita.

La stessa disposizione d’animo è alla base del romanzo (anzi, dei romanzi) di Giuseppe Iellamo, pur con tutte le ovvie differenze fra le vicende storiche. Nel suo Il silenzio delle parole, che costituisce il séguito di Uno, nove, nove, tre, Iellamo, con la delicatezza di chi maneggia memorie preziose, rievoca le lotte (per fortuna soltanto) politiche alle quali prese parte da ragazzo, agli inizi degli anni ’90, come militante dell’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano: il Fronte della Gioventù. Ricorrente nel suo racconto è il ricordo di quel drappello di poco disciplinati volontari che, in maniera disinteressata, si lanciarono all’avventura mossi da una spinta ideale e uniti da fratellanza e senso di appartenenza.

Senza mai rivendicare di essere stato dalla parte della ragione e con uno stile non fazioso, l’Autore ricostruisce il punto di vista e la vita della sua comunità militante in quegli anni, descrivendo anche alcuni episodi della battaglia politica allora in corso nelle piazze di Roma e dintorni. Peraltro, chi fosse interessato ai retroscena politici potrebbe riconoscere tra le righe alcuni ragazzi successivamente divenuti protagonisti della Destra ascesa a ruoli istituzionali di rilievo (ministri, sindaci, vertici di organi costituzionali, parlamentari…).

Al di là del contributo alla memoria collettiva, l’Autore ha però voluto trasmetterci qualcos’altro,

Il silenzio delle parole

poiché sullo sfondo realistico degli inizi degli anni ‘90, innesta una storia completamente immaginaria. Esperimenti biologici temerari giungono a esiti (im)prevedibili, dando vita a creature che di umano mantengono solo alcuni aspetti; creature infelici e dalle pulsioni distruttive non facilmente controllabili da parte di quanti le hanno presuntuosamente create: una lugubre vittoria di Pirro dell’ideologia transumanista. A fronteggiare questo grande pericolo, si forma una sorta di “Compagnia” (naturalmente non possono mancare i riferimenti all’epopea tolkeniana), composta – più o meno consapevolmente – dai militanti-amici della sezione del “Fronte”, che trova una serie di imprevisti alleati, tra i quali una rete di hacker di tutt’altro orientamento politico.

Il tema al centro del romanzo non è inesplorato: il timore (che per taluni, forse, è un auspicio) che lo sviluppo tecnologico possa portare al superamento dell’essere umano è diffuso e non insensato. È interessante, però, che l’argomento sia affrontato con il peculiare punto di vista dell’Autore, che ormai ha dismesso il ruolo del militante di partito e cerca di parlare a tutti, guardando a valori fondamentali che travalicano i confini delle diverse sensibilità culturali e politiche.

Campo Hobbit 1977 (foto Parisella)

Secondo uno dei relatori intervenuti alla presentazione del romanzo, l’on. Fabio Rampelli, le pagine di Iellamo contengono anche una chiamata ad agire, a non rimanere inerti; d’altronde, «la speranza è nell’opera», afferma il poeta Vincenzo Cardarelli, citato da Rampelli. Nel Silenzio delle parole, però, come ha scritto condivisibilmente su questo sito Lorenzo Borré, i nostri eroi non sembrano in grado di vincere questa battaglia: le forze del “bene” paiono davvero esigue e inadeguate rispetto a quelle dell’oligarchia economico-scientifica. Ma se l’intelligenza inclina verso il pessimismo, i giovani della “Compagnia” e i loro alleati sono spinti da un “gramsciano” ottimismo della volontà e lottano senza risparmiarsi per difendere quanto di prezioso incontrano, ogni giorno, nelle loro esistenze: la gentilezza, l’amicizia, le foglie che cadono da un albero vivificando la terra… Ed è bello sentirsi dalla loro parte!

G. Iellamo, Il silenzio delle parole, Settimo Sigillo, 2024 (séguito di Uno, nove, nove, tre, Settimo sigillo, 2021)

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Francesco Picozzi

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