Dalla vita con Romain Gary alla biografia di Pierre Loti

Lesley Blanch veniva dal jet-set, Jean Seberg da Hollywood: realtà romanzesche del '900

A fine ‘800 i libri di Pierre Loti (1850-1923), spesso ambientati nel vicino e nel lontano Oriente, hanno grande successo. Incontrano il gusto per l’esotismo e i viaggi di piacere in località remote.

Quando muta il clima culturale, Loti finisce nell’ombra. Opportuna dunque la traduzione di Pierre Loti. Ritratto di un fuggitivo di LeslieBlanch (Medhelan, pp 467, € 30).

Inglese (1904-2007), prima moglie di Romain Gary (1914-1980), Lesley appartiene al jet set, ma è capace in età avanzata di mettere a fuoco un inclassificabile come Loti, forse perché ne condivide la passione per i viaggi, la sensualità, l’amore per l’Oriente e l’anticonformismo.

Seguendo Gary, viaggiatore in quanto diplomatico, Leslie soggiorna nei Balcani, in Messico, Turchia, Nord Africa e Stati Uniti. Amica di Gary Cooper, Laurence Olivier e Sophia Loren, lavora intanto per il cinema. Muore ultracentenaria, a Mentone, la sola cittadina occupata dal Regno d’Italia nel giugno 1940, come aveva raccontato Italo Calvino in un racconto autobiografico relativo agli anni del liceo a Sanremo. Con lui, in gita scolastica Eugenio Scalfari, figlio di un croupier.

Gary aveva preso presto un’altra strada rispetto alla Blanch, lasciandola per Jean Seberg (1938-1979), attrice americana dall’intensa e travagliata carriera. Diciottenne, era Giovanna d’Arco in Santa Giovanna di Otto Preminger (1957); poi, sempre con Preminger, aveva girato – con David Niven, Deborah Kerr e Walter Chiari – Buongiorno tristezza (1958), dal romanzo di Françoise Sagan. E nel film era lei a interpretare la Sagan.

E’ solo però grazie a Jean-Luc Godard che Jean Seberg entra nella storia del cinema con Fino all’ultimo respiro (1960), tratto da un soggetto di François Truffaut. In quel periodo Jean Seberg conosce Gary (1914-1980), allora console a Los Angeles; insieme tornano in Francia e si sposano in Corsica nel 1963, nonostante il quarto di secolo che li separa.

Jean Seberg viene perseguitata dall’Fbi per il sostegno alle Pantere Nere. A quarant’anni, imbottita di alcol e di barbiturici, muore su un’auto parcheggiata in un strada di Parigi.

Un’immagine del film-tv “L’Enchanteur” di Philippe Lefebvre (2024). A destra, Charles Berling nel ruolo di Romain Gary

A Seberg e Gary allude Il visone bianco di Adélaïde de Clermont-Tonnerre (Mondadori, 2011), che si apre con la giovane Ondine che a Nizza, dai giornali, apprende il suicidio della madre, la scrittrice Zita Chalitzine, amante del romanziere Romain Kiev e poi collaboratrice del quotidiano milanese Il Giornale: l‘hanno trovata in una Mercedes, avvolta in una pelliccia di visone bianco.

La realtà della vita di Gary sconfinava spesso nel romanzesco. Si veda il contributo proprio di Adélaïde de Clermont-Tonnerre al catalogo (Gallimard) della mostra parigina su Romain Gary (Beaubourg, 2014). Contributo tradotto su Fogli di via, rivista di Carlo Romano.

Qui è rivelato come una giornalista del settimanale Paris Match, Laure Boulay, allora ventenne, tra 1978 e 1979 avesse capito come Gary – da certi critici dato per finito – era anche “Emile Ajar”, per gli stessi critici un astro nascente. Da questo episodio deriva ora L’Enchanteur di Philippe Lefebvre (2024), film-tv con Charles Berling e Clair de la Rue du Can.

Ma torniamo a Lesley Blanch. Animo orientale, lei è capace di dimenticare (qualità preziosa!); pensa e scrive – negli anni del suo post-Gary – di Pierre Loti. Forse era attratta dagli autori il cui nome aveva quattro lettere.

Fatto sta che con le pagine della Blanch ci perdiamo nella vita di un intrepido marinaio, amante appassionato di ragazze dal fascino misterioso, viaggiatore indefesso, ammiratore dell’Islam, buon pianista e abile disegnatore, insofferente alla mondanità ma anche Accademico di Francia a quarant’anni…

Nella biografia della Blanch, Pierre Loti ha la capacità di sfuggire in un altrove sempre sorprendente. Ha una personalità molteplice, tanto che risulta difficile fissarne un’identità peculiare;si traveste come mezzo di fuga da un sé di cui è insoddisfatto: ora sceicco, ora notabile turco, ora principe albanese, ora contrabbandiere basco, ora acrobata di circo… Era un modo per distinguersi dal progresso, cui preferiva le tradizioni.

Francesco Bergomi

Francesco Bergomi su Barbadillo.it

Exit mobile version