Come “Sopravvivere al pensiero unico”: il breviario di Luigi Iannone

A causa del “wokeismo”, sostiene l'autore, stiamo sprofondando in un mondo che disconosce le identità, antropologica, sessuale, etnica

Come sopravvivere al pensiero unico di Luigi Iannone

L’ultima fatica letteraria di Luigi Iannone, Sopravvivere al pensiero unico. Breviario contro il conformismo delle nostra epoca, nelle librerie per l’editore Historica Giubilei Regnani (pp. 132, euro 14,00), è un libro di sicuro rilievo. L’autore, nelle sue pagine, presenta al lettore la condizione di miseria esistenziale, politica e spirituale, in cui versa l’Occidente (più probabilmente l’intero mondo) gravato dal “wokeismo” e dalla “cancel culture”. Il testo è impreziosito dalla prefazione di Marcello Veneziani. In essa, il noto saggista, rileva che, di fronte a tale situazione, di fronte alla Cappa (titolo di un recente volume di Veneziani) ideologica che imperversa su di noi, non resta che trovare ricovero sicuro nella dimensione del pensiero critico e rimanere fedeli all’assunto: «fai in modo che ciò su cui tu non puoi far niente, nulla possa fare su di te» (p. 9).

A causa del “wokeismo”, sostiene Iannone, stiamo sprofondando in un mondo che disconosce le identità, antropologica, sessuale, etnica. In nome della dismisura, valore perseguito dalla società capitalistico-cognitiva in ogni ambito,  si tende a perdere di vista, non solo il senso del limite, ma anche la memoria condivisa. Il soggetto contemporaneo è un narciso il cui mondo interiore, destrutturato dalla cancellazione del passato imposta dall’ “intellettualmente corretto”, è ridotto a vivere dimidiato in un eterno presente privo di effettiva profondità: «Siamo di fronte a un evidente logoramento dei fondamenti condivisi […] al trionfo di un relativismo che, per una singolare bizzarria, edifica ed impone dogmi moralistici in un contesto […] nel quale “libertà illimitata e dispotismo illimitato non sono più in opposizione ma si sono fusi”» (pp. 11-12). Il pensiero unico vorrebbe emancipare l’individuo, ma attraverso l’assolutizzazione del desiderio, ha finito per renderlo schiavo. L’uomo occidentale, a causa del “lavaggio del cervello” cui è stato sottoposto durante le  fasi evolutive della “cancel culture”, ha finito per odiare se stesso, la sua tradizione, divenendo oicofobico.

Hanno colto nel segno, a nostro parere, Alain Badiou e Giovanbattista Tusa: oggi pensiamo dalla fine della storia occidentale, all’interno di una realtà atomizzata, pulviscolare e virtuale. In tale contesto, negli ultimi decenni, si sono manifestati episodi eclatanti che testimoniano la volontà dei “padroni del vapore” di  rigettare il nostro passato, tacitando il ruolo di personaggi o di opere ritenute non compatibili con la vulgata wokeista: distruzioni o imbrattamenti di statue dedicate a personaggi coinvolti nel colonialismo dell’uomo bianco, tagli di libri non conformi, anche se opera di insigni letterati, epurazione del lessico abitualmente in uso in nome del gender. Insomma: «il fondo magmatico in cui si naviga è quello della manipolazione costante e a più livelli della realtà» (p. 16). Sotto il profilo esistenziale, la situazione attuale,  riferisce Iannone, fu anticipata profeticamente da Ernst Jünger. Nella realtà contemporanea: «“il progresso si scontra con il panico, il massimo comfort con la distruzione, l’automaticismo con la catastrofe”» (p. 19). Viviamo in un sistema di sorveglianza attiva, continua, accompagnata da rigida censura nei confronti delle idee non conformi. Il linguaggio, con l’utilizzo dello “Schwa”, è divenuto testimonianza della volontà di trascrivere in “ortografia corretta” i rapporti di forza vigenti all’interno della civilizzazione “tecnomorfa”.

La riduzione linguistica è strumento atto a inibire, a priori, il possibile sorgere del pensiero divergente: essa è supportata dall’idea dell’incombere sul presente del fascismo eterno. Il non conforme subisce, pertanto, la: «reductio ad Hitlerum di (cui disse) Leo Strauss» (p. 30). Il quadro di riferimento valoriale proprio della “cancel culture” va rintracciato nella religione dei diritti: essa «porta al crepuscolo dei doveri e la lotta all’intolleranza sfocia nel regime della sorveglianza» (p. 33). Tale cultura è inscritta, fin dagli albori, nell’humus dal quale sorsero, con la rivoluzione, gli USA. La cancellazione della memoria accompagnata dalla fine del pensiero   ha reso gli individui atti ad accogliere ogni novità, presentata, attraverso l’eterodirezione sociale, quale essenziale conquista per le sorti dell’umanità. Si sta realizzando l’incubo di cui ebbe sentore Pasolini. Viviamo in una società: «incardinata sul consumismo e su un globalismo piatto che apre al mutamento antropologico» (p. 68). Le appartenenze sessuali vanno negate in nome della fluidità. Questo è il frutto, preparato in un lungo iter,  del connubio instauratosi, a   partire dalla seconda metà del secolo XX , tra marxismo e liberalismo progressista, come riconobbe, tra i primi, Augusto Del Noce. La “cancel culture” è, in questo senso, espressione radicale e terminale dei movimenti neo-gnostici. Alla pars destruens del libro di Iannone, centrata sulla descrizione della realtà contemporanea,  fa seguito la pars construens . Nei due momenti, l’autore si avvale di numerosi riferimenti bibliografici che non appesantiscono il testo, la cui lettura risulta, pertanto, agevole e stimolante.

Negli ultimi capitoli Iannone si chiede: Che fare? Preso atto che ormai la direzione di comando ha assunto tratto orizzontale e virtuale, modalità che di fatto ha sterilizzato una possibile azione delle istituzioni propriamente politiche, anche in forza della capacità mimetica del  potere attuale, Iannone, dopo aver presentato le tesi di Ugo Spirto e Augusto Del Noce, inerenti al ruolo della tecnica quale volano del mondo capitalista, sostiene non essere possibile, allo stato presente delle cose, richiamarsi ad un sovranismo statuale puro.  Bisognerebbe puntare, di contro, tanto sulla competizione tra Stati, quanto sulla cooperazione tra essi: «in un continuo equilibrio tra difesa delle specificità e rispetto della convivenza sociale tra diversi» (p. 117).  Perché tale percorso abbia successo risulta imprescindibile riavvicinarsi al Sacro. Il Sacro e il valore del tràdere, infatti, non possono mai essere  sradicati e de-strutturati completamente dall’interiorità dei singoli e dei popoli. Con de Benoist è possibile asserire che nella Tradizione: «L’essere diviene: siamo sempre noi stessi e non siamo mai gli stessi» (p. 123).  Tradizione indica custodia del fuoco vitale, non delle ceneri del passato. Per ritrovarci in essa bisogna: «abbandonare il culto dell’io (oggi imperante) e invertire le priorità» non naturali del “wokeismo”. Un risveglio, nonostante tutto, ancora possibile…                       

Giovanni Sessa

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