Accordi e disaccordi Evola-Guénon sulla Tradizione

I due pensatori avevano elementi di contatto ma anche divergenze marcate. Qui spiegate con riferimenti ai rispettivi testi

Evola e Guenon

Quando sentiamo parlare di Tradizione, i primi due nomi che ci vengono in mente ovviamente sono quelli di René Guénon e Julius Evola. Il secondo, soprattutto, in numerosi suoi scritti ha riconosciuto il proprio debito intellettuale verso il primo. Eppure, a ben guardare, non sono poche le differenze tra questi due grandi personaggi del Novecento. Non vi è alcun dubbio che, da un punto di vista dottrinario, il concetto di Tradizione ben esplicitato da Guénon nei suoi scritti sia stato integralmente accettato da Evola.

Per lo scrittore nato a Blois la Tradizione è quella dottrina metafisica pura, immutabile nel tempo, da cui derivano tutte le tradizioni storicamente esistite ed esistenti. Ma le divergenze tra i due insorgono quando si passa dalla metafisica e metastoria alla realtà concreta. Per esempio, riportiamo un breve estratto di un libro scritto da Evola, “L’arco e la clava”:

“Per quel che riguarda il dominio storico, la Tradizione va riportata a ciò che si potrebbe chiamare una trascendenza immanente. Si tratta dell’idea ricorrente, che una forza dall’alto abbia agito nell’una o nell’altra area o nell’uno o nell’altro ciclo storico, in modo che valori spirituali e superindividuali costituissero l’asse e il supremo punto di riferimento per l’organizzazione generale, la formazione e la giustificazione di ogni realtà e attività subordinata e semplicemente umana. Questa forza è una presenza che si trasmette, e questa trasmissione, corroborata proprio dal carattere, sopraelevato rispetto alla contingenze storiche, di detta forza, costituiva appunto la Tradizione”.

Qui il punto principale della Tradizione è il concetto di forza mentre negli scritti di Guénon l’attenzione è posta principalmente sulla Tradizione come conoscenza iniziatica. Non a caso, mentre il libro più conosciuto di Evola è intitolato “Rivolta contro il mondo moderno”, lo scrittore francese qualche hanno prima aveva dato alle stampe un libro dal titolo, molto simile, di “La crisi del mondo moderno”.  Si potrebbe dire che entrambi erano consapevoli della malattia da debellare, il mondo moderno, ma avevano posizioni differenti sulla modalità per curarla. E infatti anche le loro scelte personali di quegli anni sono ben differenti. Mentre appunto Evola dava alle stampe Rivolta e cercava poi, in qualche modo, un’opera di rettificazione tradizionale nei confronti dei fascismi allora imperanti, Guénon nel 1930 decide di trasferirsi al Cairo, in Egitto, per dedicarsi completamente al sufismo islamico. Una decisione dettata dalla convinzione che la Tradizione fosse ormai quasi del tutto scomparsa in Occidente mentre residue vestigia erano ancora presenti in Oriente.

Le divergenze

Cerchiamo adesso di capire perché Evola invece prese la decisione opposta. La risposta è molto semplice: egli era un vero Romano, secondo l’accezione più antica possibile. Nell’antica Roma, infatti, non vi era un Dio unico ad antropomorfo ma vi erano diverse figure, definite numina, che rappresentavano le diverse potenze divine, diffuse negli elementi naturali come il fuoco ed il fulmine. Poi col passare del tempo queste numina hanno assunto la forma di divinità personificate, basti pensare a Giove, ma era semplicemente un espediente per meglio identificare quelle potenze divine e soprannaturali. Quindi mentre per Guénon non vi era più alcuna possibilità di “restaurazione tradizionale” in Occidente, per Evola invece essa era sempre possibile, anche in una situazione di apparente assenza di Tradizione. Parafrasando un epiteto utilizzato dal filosofo russo per definire Evola, in un libro a lui dedicato, egli era un “tradizionalista senza Tradizione”. A prima vista può sembrare paradossale come definizione ma coglie precisamente nel segno. Per il pensatore siciliano non si trovava di andare alla ricerca degli ultimi residui di Tradizione sparsi nel mondo ma, bensì, di provocarne nuovamente l’esistenza. Da qui il suo interesse per l’esoterismo, le pratiche magiche e quelle dottrine orientali più improntate sull’azione che la conoscenza, come il tantrismo.

Non si trattava solo di differenti equazioni personali. E’ risaputo che Evola si considerasse uno kshatriya e che privilegiasse l’aspetto guerriero della vita su quello ascetico-contemplativo. Ma era dovuto anche al fatto che egli sentisse ancora un forte legame con la propria tradizione romana, a differenza del Guènon che nei suoi scritti mai parlava della tradizione classico greco-romana, ritenendo che il cattolicesimo fosse ormai l’unica tradizione occidentale ancora vivente. Ricordiamo, per inciso, che invece Evola definì il cristianesimo “sincope della tradizione romana”. Attenzione, non si trattava però di una banale disputa religiosa del tipo paganesimo contro cristianesimo. Era qualcosa di molto più profondo, si trattava di prospettive molto differenti tra loro. Evola una volta ha scritto:

“Non esiste un mondo relativo e un mondo assoluto, ma uno sguardo relativo ed uno assoluto”.

E il suo sguardo, nonostante la dovuta riconoscenza verso Guénon per avergli fatto conoscere il mondo della Tradizione, era certamente differente da quello del metafisico di Blois.

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Alessandro Cavallini

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