Gianfranco de Turris ricorda Julius Evola a 50 anni dalla scomparsa

L'intervista concessa alla casa Edizioni Mediterranee che ha ristampato l'opera omnia del pensatore tradizionalista

Julius Evola con Gianfranco de Turris

Ancora attuale e scomodo. E’ Julius Evola filosofo, artista, esoterista, pensatore del nostro tempo. Tra le personalità culturali più contrastate e sottoposte a pregiudizio, è ancora oggi tra i filosofi italiani più tradotti e noti in ambito internazionale. A mezzo secolo dalla scomparsa del filosofo romano, resta viva l’attenzione nei confronti del suo pensiero e delle opere, ancora così attuali e per questo – forse – ancora considerate scomode in un periodo molto particolare come quello che stiamo vivendo.

Per commemorare il cinquantennale della scomparsa di Julius Evola abbiamo lasciato alle parole di Gianfranco De Turris – presidente della Fondazione Evola e direttore della collana Opere di Julius Evola per Edizioni Mediterranee – il ricordo del filosofo:

Lei ha incontrato varie volte Julius Evola, può dipingere un ricordo del filosofo? Cosa la colpiva maggiormente della sua personalità?

“Ho conosciuto e frequentato molto Evola, spessissimo – di certo, molto di più di tanti altri che oggi millantano in questo senso. Mi portò per la prima volta da lui Adriano Romualdi, era un amico di famiglia, forse quando avevo iniziato a collaborare a L’Italiano, il mensile diretto dal padre Pino. Il fatto è che, a mezzo secolo dalla sua scomparsa, parecchi di quelli che oggi parlano di Evola non lo hanno conosciuto e ne hanno un’immagine falsata, evidentemente costruita su dicerie. La cosa che mi ha sempre colpito – e non è la prima volta che lo dico – è il fatto che capiva subito le persone con cui aveva a che fare, che aveva di fronte, che aveva fatto entrare a casa sua, e si comportava di conseguenza. Nei miei confronti non ha mai avuto un atteggiamento arrogante e spocchioso sulle sue doti morali. Non si è mai mostrato come un “maestro”, ma si comportava come una persona normalissima, amichevole, che raccontava anche barzellette, parlava di fumetti, guardava la televisione. Spesso, la commentava a posteriori con me. In cattedra, come si sol dire, francamente non l’ho mai visto.
Già allora, quando lo frequentavo, mi interessava il fantastico. Ricordo che un giorno gli portai un’antologia lovecraftiana che fecero Fruttero e Lucentini, intitolata I mostri all’angolo della strada, che a lui però non interessava perché non vi vedeva uno spessore iniziatico, al di là della dimensione puramente narrativa. Mentre Gustav Meyrink gli interessava moltissimo – ha tradotto quasi tutti i suoi romanzi –, così come aveva citato Algernon Blackwood in una nota di Introduzione alla magia.
Mi colpiva il fatto che fosse una persona ironica e autoironica. Esiste, pubblicata e ormai anche in rete (e spesso piratata), una foto di Evola seduto di fronte alla sua scrivania con in mano un tagliacarte e accanto un giovane de Turris con i baffi, foto scattata probabilmente nel 1970-1971 insieme a diverse altre, poi usate in varie occasioni, fra cui Testimonianze su Evola del 1973, dalla fotografa Giulia Marini che con l’editore Gianni Canonico erano insieme a me. In quella occasione, con il tagliacarte brandito disse: «Ecco lo Kshatriya!». Me lo ricordo come fosse oggi. Anche questo era Julius Evola…”.

Che ricordo ha del suo ultimo incontro con il filosofo?

“L’ho incontrato l’ultima volta alla fine del dicembre 1973, sei mesi prima che morisse. O meglio, è l’ultimo incontro che ho in mente – non mi ricordo di averlo visto in seguito, non ho una memoria percettiva di questo fatto. Siamo andati a trovarlo io e Sebastiano Fusco, con un registratore, un panettone e una bottiglia di spumante. Gli facemmo una lunghissima intervista, pubblicata, quasi per un senso di rispetto nei confronti della sua memoria, soltanto dieci anni dopo, nel 1985, nella seconda edizione ampliata di Testimonianze su Evola, edito ovviamente da Mediterranee. L’intervista era, diciamo, quasi integrale perché c’erano molte divagazioni che non abbiamo riportato. Evola era perfettamente lucido, stava bene, ha detto molte cose di grande interesse sull’iniziazione e su altre questioni. Poi, purtroppo, c’è stato un improvviso crollo nella sua salute, e nei mesi successivi – devo essere molto sincero – non ricordo di averlo incontrato”.

A suo parere il pensiero di Evola, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, risponde alle domande che la nostra società si pone?

“Io credo che la cosa più importante per un lettore “comune” – non certo per un filosofo o uno specialista di altre materie – sia quella delle linee esistenziali da mantenere nel mondo in cui viviamo. Non solo in quello di quando certe pagine furono scritte, ma anche nell’attuale, che ovviamente è peggiorato. Sotto questo aspetto, a mio parere Cavalcare la tigre è il libro più utile, perché dà tutte le indicazioni per “sopravvivere alla modernità”. Ricordiamoci la bellissima immagine che Evola usa, dicendo che «la vita è come un viaggio in treno durante le ore di notte». Ci si trova al buio, si parte e poi si arriva non si sa esattamente dove e quando. Sicché bisogna essere attrezzati per far fronte a tutte queste evenienze, che sono le più disparate”.

Qual è la prima opera di Evola che ha letto? E qual è quella cui è più legato?

“La prima opera che ho letto dev’essere stata una di quelle pubblicate da Volpe: forse Gli uomini e le rovine, da lui ristampata nel 1967. Forse letta dopo l’uscita di Julius Evola, l’uomo e l’opera di Romualdi, pubblicata sempre da Volpe nel 1968 per i suoi settant’anni. O forse fu Rivolta, uscita per le Mediterranee nel 1969. Quella cui sono più legato è appunto Cavalcare la tigre, non solo per le ragioni già dette ma anche esistenzialmente: è quella che più mi ha colpito, perché mi ha illuminato su tutti gli aspetti della vita quotidiana. Si parla di omosessualità, si parla di matrimonio, di società, si parla di suicidio e di molte altre cose, dandone una spiegazione non “ideologica” ma razionalmente tradizionalista, se così possiamo dire. Credo sia un libro che ognuno dovrebbe leggere ogni dieci anni, per vedere cosa in noi ha retto al passare del tempo”.

C’è un aneddoto che ricorda del suo rapporto con Julius Evola?

“C’è sicuramente un episodio molto curioso, che risale ai tempi di Playmen, un mensile “per uomini”, come allora si diceva, nella cui redazione c’erano quasi esclusivamente giornalisti di Destra. Il direttore era Luciano Oppo, figlio del critico d’arte Cipriano Efisio Oppo. Uno dei redattori era Enrico de Boccard, che conoscevo benissimo. A un certo punto decisero di pubblicare un estratto di Cavalcare la tigre, se non ricordo male la parte dedicata alla “contestazione” o qualcosa del genere (era il 1968). Allora gli dissi: «Forse la potrebbero intervistare…». «Impossibile, non mi intervisteranno mai» rispose lui. «Scommettiamo un quadro che la faccio intervistare su Playmen?». L’intervista uscì (fra Baroni ci si intende, commentai fra me e me…) ed Evola mi donò quel dipinto di enorme suggestione, forse il più bello realizzato dopo la mostra del 1963, cui Elisabetta Valento in Homo faber ha attribuito il titolo di Cosmos.
Ma Evola mi donò anche un altro quadro, questa volta sua sponte…”.

Di quale si tratta?

“La genitrice dell’universo, anche qui secondo il nome dato all’opera sempre da Elisabetta Valento. Me l’ha donata per ringraziarmi di aver curato le Testimonianze su Evola, nel ’73, per il suo settantacinquesimo compleanno. Io in realtà gli avevo chiesto un altro quadro, quello con la donna rossa, Donna afroditica, ma lui mi disse che lo aveva già promesso ad altri. Così andai a ritirarlo, sarà stato a settembre-ottobre del ’73. Mia moglie rimase giù – allora ci si poteva fermare in macchina lungo corso Vittorio Emanuele – mentre io salii. Stava già sul cavalletto, fece qualche ritocco con una matita copiativa agli occhi della figura, e io glielo feci firmare e datare”.

Dal 1994 lei dirige per Mediterranee la collana delle “Opere di Julius Evola”. Qual è la prima che è uscita? E quali saranno le prossime?

“L’iniziativa era stata pensata per i venti anni dalla sua morte, per dare autorevolezza editoriale e contenutistica ai suoi testi chiedendo saggi introduttivi a personalità italiane e straniere della cultura e aggiungendo molto materiale documentario. Il primo libro uscito in quella collana – che ha ospitato anche curatele di Evola, come il Tao Te Ching – è stato Metafisica del sesso, mentre i prossimi saranno la ristampa anastatica di Rivolta contro il mondo moderno, nella edizione di Hoepli del 1934, diversissima dalle edizioni successive, tutte ampiamente riviste dall’autore, la nuova edizione di Ricognizioni, da tempo esaurito e uniformato nelle Opere, e la raccolta di tutti i testi pubblicati nella Mitteleuropa da Evola negli anni Trenta e Quaranta e delle sue conferenze rintracciate negli archivi tedeschi, ancora ignote in Italia, a cura di Emanuele La Rosa”.

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Gianfranco de Turris

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