Sempre più insistenti (sono le 19 ora di New York del 18 luglio) le voci che danno per imminente – addirittura entro un massimo di settantadue ore – il passo indietro di Joe Biden.
(Gli viene chiesto dal 27 giugno, dalla conclusione del famigerato dibattito di Atlanta, e oramai da praticamente tutti i leader nazionali del partito democratico.
Gli viene chiesto sulla base – si dice ma se si guarda alla storia elettorale americana la faccenda non sta affatto in piedi – di sondaggi che lo vedono indietro di all’incirca cinque sei punti che sono invece uno svantaggio da qui al 5 novembre assolutamente colmabile.
Gli viene chiesto da media che in precedenza hanno fatto finta di non vedere le sue difficoltà arrivando a negarle.
Gli viene chiesto da un establishment locale democratico timoroso che una sua sconfitta porti a strascico la perdita di scranni senatoriali e tolga ogni velleità quanto alla conquista di altri seggi camerali).
Ma, dovesse effettivamente uscire di scena il vecchio Joe, come potrebbe farlo?
Dimettendosi e in questo modo cedendo la poltrona alla Vicepresidente Kamala Harris?
Dichiarando che non intende più candidarsi ma desidera portare a termine il mandato e in questo secondo caso lasciando liberi i delegati alla Convention di arrivare in quell’ambito ad una Nomination appunto congressuale come nel partito democratico non accade addirittura dal 1968 (ed incredibilmente anche allora i lavori avevano luogo a Chicago)?
Nel primo caso, Harris – ormai Presidente – sarebbe in netto vantaggio quanto all’ottenimento dell’investitura da parte del partito rispetto ai concorrenti.
Nel secondo, i giochi sarebbero totalmente aperti.