Il gaucho di Dino Risi e la “Commedia all’italiana”

Il film racconta la vicenda di Marco Ravicchio (un Gassman mattatore e poliedrico), romano quarantenne, press agent e factotum d’una modesta casa di produzione cinematografica, che parte per Buenos Aires per presentare un film al Festival di Mar del Plata

Vittorio Gasmann ne “Il Gaucho”

Sessanta anni fa apparve nelle sale cinematografiche Il gaucho di Dino Risi, prodotto da Mario Cecchi Gori, con Vittorio Gassman, Amedeo Nazzari, Silvana Pampanini, Nino Manfredi, Maria Grazia Buccella ed un folto cast di attori italiani ed argentini.

Confesso che all’uscita, nel 1964, non vidi quel film. Avevo 15 anni e preferivo le pellicole americane, con più dinamismo. Lo vidi poi per televisione, casualmente. Tre decenni più tardi mi procurai una videocassetta del film, quando già avevo vari anni di residenza per lavoro in Uruguay ed Argentina. Quelle che oggi persistono accumulate su qualche scaffale di casa, assieme ai CD: anche gli ultimi videoregistratori e lettori si sono infatti guastati, in tempi neppure recenti. Ci sono, per fortuna, internet e streaming

La locandina de Il Gaucho di Dino Risi

Il gaucho è la vicenda di Marco Ravicchio (un Gassman mattatore e poliedrico), romano quarantenne, press agent e factotum d’una modesta casa di produzione cinematografica, che parte per Buenos Aires per presentare un film al Festival di Mar del Plata. Circondato da una corte variopinta, una stella del cinema, Luciana, sul viale del tramonto (Silvana Pampanini), che spera di veder finalmente coronato dalle nozze l’annoso corteggiamento d’un facoltoso argentino, due attricette esordienti (Maria Grazia Buccella e Annie Gorassini), disposte ad ogni compromesso pur di affermarsi, uno sceneggiatore intellettualoide, avido, opportunista, dalla sessualità incerta.

Verranno accolti all’aeroporto di Buenos Aires dall’ Ingegner Maruchelli (Amedeo Nazzari) facoltoso emigrato italiano, allevatore, industriale della carne, impetuoso, logorroico, della patria patologicamente nostalgico (tra l’altro porta sempre in tasca una piantina di Roma), che abbonderà in cortesie. Maruchelli, che ha fatto della nostalgia il suo hobby, darà pure un grande ricevimento  con improbabili gauchos suonando e cantando, alla fine del quale il cialtrone Ravicchio sedurrà nel parco la giovane moglie del cordiale ospite, poi negandolo, ovviamente.

Marco naviga in cattive acque, assillato dai debiti, cerca di stare a galla con menzogne ed espedienti, compreso il gioco alla roulette nel gran Casinò di Mar del Plata, che non gli frutta nulla, anzi gli infliggerà una notevole perdita. Confida nell’incontro con il vecchio amico Stefano (Nino Manfredi) che si è trasferito in Argentina da oltre dieci anni. La ricerca lo conduce al quartiere della Boca dove, tra italiani poveri, trova infine l’amico che invano ha cercato di sfuggirgli, vergognandosi della realtà diversa da quella raccontata per lettera, ben lungi dal successo economico e sociale. Credendolo ricco, Marco voleva chiedergli in prestito un’ingente somma di denaro. Ma il suo amico non si è affatto realizzato e si arrabatta come può, vivendo assai precariamente, con una argentina, in un umile conventillo (abitazione collettiva urbana).

Quando Marco, esaurite altre vie, con un sotterfugio chiede all’anfitrione Maruchelli quel denaro, che gli occorrerebbe per riassestare in Italia le sue finanze fallimentari, non ottiene che belle parole di circostanza. Concluso il Festival, senza vincere nulla con la pellicola ‘impegnata’ presentata (con tanto di rampogne del Maruchelli), il gruppetto s’accinge a tornare in Italia con qualche delusione in più. L’ingegnere è un’altra volta all’aeroporto, con vistosi doni d’addio. Lascia bruscamente i compatrioti per scappar via, eccitatissimo, quando è annunciato l’arrivo del volo con Adriano Celentano. Il suo mecenatismo era solo un bizzarro passatempo per sentirsi importante, pensano con scetticismo i partenti, non autentica simpatia ed ancor meno generosità.

Una delle particolarità de Il gaucho fu il suo singolare processo redazionale. Il proposito iniziale di Dino Risi di satireggiare il cinema, seguendo un gruppo di cinematografari sgangherati al Festival di Mar del Plata, situa nell’Argentina il luogo delle riprese. Risi ha solo un mese di tempo e parte per Buenos Aires con lo sceneggiatore (e poi famoso regista) Ettore Scola. A Mar Del Plata nel ’63 Risi aveva ricevuto il premio a miglior regista per Il Sorpasso. In pochi giorni Scola percorre parte dell’esteso Paese, individua i luoghi per le riprese, conosce persone utili a fornire materiali. Il film debutta senza uno scenario definito, con un metodologia improvvisata, con Scola lavorando di gran lena per alimentare i desideri e bisogni di Risi e Maccari. Tali condizioni daranno alla pellicola una fluidità spontanea sorprendente, una progressione drammatica che sorge più dall’evoluzione dei personaggi che da una costruzione narrativa pianificata. La sceneggiatura del B/N di 116′ vedrà affiancati Ettore Scola, Ruggero Maccari, Tullio Pinelli, oltre a Risi; la colonna sonora di Armando Trovajoli e Chico Navarro, la fotografia di Alfio Contini.

L’Argentina

Rappresenta una ‘terra promessa’ dove tutti erano venuti a cercare qualcosa. Risi s’allontana dai caratteri caricaturali iniziali per approfondire tali dicotomie. Il ricco industriale si aggrappa ad una identità italiana che sfuma con lo sradicamento. Stefano vegeta nel Paese dove era giunto per avere successo. L’attrice Luciana, sotte le sue arie sussiegose subirà l’affronto di un pretendente sfuggente, Marco sa di essere atteso da creditori implacabili al ritorno. La strutture atipica del film schiude il diffondersi della malinconia tra gli scoppi di risa, senza addolcire la natura dei personaggi. La storia narra una parentesi estiva, se non incantata illusoria, prima del ritorno alla dura realtà italiana. Uno dei caratteri originali della pellicola è mostrare la diaspora italiana in Argentina (più o meno riuscita nei suoi propositi). La nostalgia della patria perduta dà vita a personaggi esuberanti, coloriti come il Maruchelli (splendidamente interpretato dal grande Amedeo Nazzari), in fondo un déraciné solo, spingendo l’italianità alla parodia. È stato scritto che Il gaucho propone in qualche modo uno scontro di culture. Tra la tipica, furba ed un po’ svergognata dell’area meridionale mediterranea, e quella di un’Argentina emergente, opulenta, nella quale convivono senza aver rapporti tra loro i diversi immigrati italiani, che lì han viaggiato per cercare fortuna. È la storia del ‘miracolo economico’, delle difficoltà, delle alterne fortune – poco importa se in Italia o in Argentina, in ultima analisi – del II Dopoguerra. Ed è anche la narrazione del rapporto dei due tipi di italiani (l’industriale ed il povero Stefano) con la patria lontana, la reale e la immaginaria. Il contrasto emerge anche tra chi la rimpiange acriticamente, e persin nevroticamente, Marucchelli, e chi, Marco, la vive come il legame con un’angoscia infinita, guasconate a parte.

  Risi cede alla tentazione di offrire sequenze documentaristiche di tale Argentina, con un po’ di ‘turismo’ e di ‘folklore’. Una parte forse non molto riuscita. Uno splendido Vittorio Gassman, debordante vitalità, ma senza forza drammatica, ribadendo i suoi celebri ruoli del Mattatore e del Sorpasso, conduce la sua piccola troupe con truculenza e furberie spicciole. L’ipocrisia e l’inganno regnano dalla partenza e durante il Festival: l’Argentina simboleggia una manna (illusoria) della quale approfittare. Il gaucho, con i suoi tratti difformi non rappresenta l’apice del cinema di Risi, allora nel pieno della sua epoca d’oro, ma una creazione che forse merita di essere ricordata. La commedia non conobbe uno straordinario successo. Nino Manfredi ottenne, però, la Grolla d’Oro di Saint-Vincent 1965 per la sua misurata eppur intensa interpretazione. Nell’essenza, il film è un profondo sguardo critico sulle speranze defraudate, sul trionfo dell’egoismo e dell’ipocrisia; alla superficie un brillante realismo formale, l’estetica gioviale del nostro tipico cinema commerciale.

          Dino Risi e la ‘Commedia all’italiana’

È considerato uno dei massimi esponenti della ‘Commedia all’italiana’. Il successo gli arride grazie a Pane, amore e… (1955), con Vittorio De Sica, Sophia Loren, Mario Carotenuto, Tina Pica, Lea Padovani, Antonio Cifariello, sequel dei famosi Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia di Luigi Comencini. Risi s’impone con Poveri ma belli (1956). Gli anni sessanta consacrano il cinema di Dino Risi, che rivoluziona la commedia con Il sorpasso (1962), senza lieto fine, la pellicola forse più legata al suo nome, un raro road-movie all’italiana, sulla Lancia B24 spider, storia di un cialtrone quarantenne (Gassman) impegnato nella iniziazione alla vita di un timido ed impacciato studente (Jean-Louis Trintignant), sullo sfondo dell’Italia del boom economico. Gassman è protagonista anche di La marcia su Roma (1962) e de I mostri (1963), entrambi con Ugo Tognazzi, e de Il gaucho, racconto al vetriolo della fallimentare trasferta argentina di un gruppo di scalcagnati cinematografari, come visto.

La ‘Commedia all’italiana’ designa il filone cinematografico sorto  alla fine degli anni cinquanta. L’espressione fu  coniata parafrasando il titolo del film Divorzio all’italiana di Pietro Germi, del 1961. Più che un vero e proprio genere, esso fu un periodo nel quale erano prodotte numerose commedie brillanti. Una generazione di notevoli soggettisti, sceneggiatori, registi, attori portarono in scena i vizi, le poche virtù, i tentativi di emancipazione, ma anche il degrado etico ed estetico dei connazionali, il cinismo che si diffonde fra le pieghe d’ una società in rapida evoluzione, dalle tante contraddizioni. La ‘Commedia’ ha confini liquidi, cangianti. Tra i registi emersero Dino Risi, Pietro GermiNanni LoyMario Monicelli, Luigi ComenciniSteno (Stefano Vanzina), Antonio PietrangeliEttore ScolaLuigi ZampaLuigi MagniCamillo Mastrocinque. Tra gli sceneggiatori StenoAge e ScarpelliRodolfo SonegoSergio AmideiPiero De BernardiLeo BenvenutiEttore ScolaSuso Cecchi D’Amico.

Secondo vari critici, tre film su tutti lo caratterizzano: I mostri di Risi, Il medico della mutua di Zampa ed I soliti ignoti di Monicelli. L’inasprimento dello scontro sociale e politico nell’Italia degli anni ’70, l’irruzione del terrorismo e di un diffuso senso di insicurezza, finì per spegnere l’ironia che era stata una caratteristica della ‘Commedia all’italiana’, sostituita da una visione plumbea, dalla percezione aspra, drammatica della realtà. Per non parlare della contestuale scomparsa di vari protagonisti di quella irripetible stagione. Quando apparvero le BR, e si rivelarono ben ‘rosse’ al di là di ogni tentata mistificazione fuorviante, loro, i maestri, entrarono in crisi e finì, non casualmente, la stagione della ‘Commedia all’italiana’. Non spazzata via dalla ‘Commedia sexy’ e neppure dall’ ‘irrappresentabilità degli italiani, per la perdita di tutti i caratteri positivi’, come sostenne Monicelli, congedando Un borghese piccolo piccolo (e di fatto chiudendo la ‘Commedia all’italiana’, nel 1977).

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

Exit mobile version