Aspide. Irene ribelle in “Prima e dopo” di Alba de Céspedes

“Marcia in modo magnifico”, scriverà all’autrice l’editore Mondadori nel 1954, dopo aver letto la bozza. E noi, nel nostro piccolo, concordiamo appieno

Alba de Céspedes

Recentemente ripubblicato da Cliquot, che meritoriamente persevera nell’intento di ridar lustro a scrittrici italiane misconosciute o etichettate, con un pizzico di condiscendenza, come “letteratura al femminile”, “Prima e dopo” di Alba de Céspedes (acquostabile qui) potrebbe essere una sorta di corrispettivo femminile – peraltro in anticipo di qualche anno – de “La vita agra” di Luciano Bianciardi.

A parità di contesto storico (l’Italia del dopoguerra e del boom economico), però, laddove il Luciano del romanzo in questione, largamente autobiografico, è mosso da una cupio dissolvi e da un’iconoclastia tutte virili, alla Irene di de Céspedes tocca misurarsi anche e soprattutto con gli aspetti più triviali e ordinari della sua vita di “irregolare”, e questo non solo in quanto figlia degenere di una famiglia borghese un po’ bunueliana, ma, prima ancora, in quanto donna.

Il confronto con Erminia, domestica ignorante, ma a modo suo acuta (intuisce, ad esempio, che per campare meglio la chiave è odiare i propri padroni e rubare loro tutto il possibile, piuttosto che fraternizzarci ed entrare in una confusa zona grigia, fatta di ammirazione e di interrogativi), costringe Irene a riflettere su se stessa e sulla propria condizione di solitudine – autoimposta, certo -, accantonando quel primo impulso animale che le faceva dire: “Sai che ti dico? Che vorrei prendere la mia vita come un pacco, metterla sulle braccia di qualcuno e dirgli: ‘pensaci tu’ ”. E invece non è possibile, “ci siamo rovinate con le nostre mani. Ogni mattina te la ritrovi addosso, questa maledetta vita, e devi ricominciare a ragionare. Pietro dice che la ragione ci libera, ma non è vero: la ragione ci rimette sempre di fronte a noi stessi. Bello scherzo!”. “Prima e dopo”, dunque, non è “La guerra di Piero” cantata da de Andrè, bensì “la guerra di Irene”, sporca e disordinata, insomma, céliniana, com’è, alla prova dei fatti, ogni guerra e finanche ogni piccola battaglia personale, perché Pietro, pur condividendo alcuni dei dilemmi della protagonista, in quanto uomo, può rifugiarsi in qualcosa che alle donne è, almeno in parte, precluso: l’astrazione.

Prima e dopo di Alba de Céspedes

E se, in prima battuta, la trama del romanzo e i rapporti tra i protagonisti possono sembrare un po’ stereotipati, ciascuno di essi invece cela in sé un mondo di sconfinata profondità, questa sì, tutta femminile: si pensi al rapporto conflittuale di Irene con la madre (che riflette la difficile relazione della protagonista con il femminino stesso), di cui dice “Noi non eravamo due persone singole, travagliate, dubbiose, come mio padre e Marta, o egoiste come Luciana, eravamo due mondi, ognuno armato delle proprie ragioni”, o appunto al rapporto, ben lungi dall’essere soltanto lavorativo, con Erminia, a cui Irene parla “come parla a tutti”, e con cui si scambierebbe volentieri di posto per una sera. E anche il rapporto di Irene con se stessa è pieno di stratificazioni, complesso, combattuto: cerebrale e testarda, confesserà a sé e al lettore, mettendosi con ciò al riparo dall’eccessiva sicumera: “[…] eppure continuavo ad essere ipocrita come allora; infatti non era per principi morali che avevo tante volte rinunziato. Era solo perché non potevo tollerare che qualcuno sorridesse con ironia, vedendo la mia vita in contrasto con le mie idee. Che cos’era, dunque, questa famosa dignità? Orgoglio, sempre orgoglio: un peccato che non riuscivo a vincere”. Quasi una Satana miltoniana in gonnella, Irene, che preferisce “regnare all’inferno che servire in paradiso”, e tuttavia di tanto in tanto trova il tempo per arrendersi all’altro, o alla sua fantasticheria che tutti noi gli sovrapponiamo, al grido di “ci sentivamo ricche ogni volta che ci innamoravamo, tornavamo ad essere povere quando l’amore finiva”.

“Marcia in modo magnifico”, scriverà all’autrice l’editore Mondadori nel 1954, dopo aver letto la bozza di “Prima e dopo”. E noi, nel nostro piccolo, concordiamo appieno.

Camilla Scarpa

Camilla Scarpa su Barbadillo.it

Exit mobile version