La nuova dialettica tra Bruxelles e Palazzo Chigi

La rielezione di Ursula Von der Leyen a presidente della Commissione Ue, con il voto contrario del partito di maggioranza relativa al governo in Italia, quali scenari apre nella dinamica fra la Unione e il nostro Paese?      

Il neoeletto Parlamento europeo ha rinnovato la nomina, il 18 luglio scorso, della Presidente uscente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, con voto favorevole, a scrutinio segreto, di 401 membri, ascrivibili ai gruppi parlamentari che ne avevano annunciato l’appoggio, dei ‘Socialisti e Democratici Europei’ – PSE (tra cui il Partito Democratico – PD, italiano), dei liberali di ‘Renew Europe’, del Partito Popolare Europeo – PPE (di cui è parte anche Forza Italia), ma anche dei Verdi, con i quali la spitzenkandidat del PPE ha raggiunto un accordo di ampliamento della cd. maggioranza ‘Ursula’ che l’aveva votata nella precedente legislatura.

Nel discorso che ha preceduto il voto, la Presidente della Commissione ha dato una precisa qualificazione politica al suo programma di governo (la Commissione della UE è l’organo esecutivo delle politiche decise dai co-legislatori, che sono il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea), rivolgendosi appunto ai raggruppamenti politici che hanno sostenuto la sua nuova candidatura (ovvero Renew, Ppe, Pse, Verdi): «credo che sia essenziale che il centro democratico in Europa resista. Ma se si vuole che questo centro resti, deve essere all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che le persone affrontano nella loro vita. In caso contrario, si alimenterebbe il risentimento e la polarizzazione e si lascerebbe un terreno fertile per coloro che spacciano soluzioni semplicistiche ma in realtà vogliono destabilizzare le nostre società».

La dichiarata volontà politica della nuova – vecchia – Presidente della Commissione è, dunque, di dare stabilità al governo dell’Europa, attraverso il posizionamento al ‘centro’, con l’espressa esigenza di evitare posizioni estremistiche e populiste, per soddisfare la quale è facile comprendere il suo accoglimento del veto che i partiti che l’hanno appoggiata hanno posto in danno delle ‘destre’, tra cui quella del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei – ECR, guidati dalla leader di Fratelli d’Italia, la Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, accusata, nel dichiarare il proprio voto contrario alla nomina della Von der Leyen, di esporre il nostro Paese alla emarginazione nelle istituzioni europee e di non fare l’interesse nazionale.

Proviamo a capire se l’enfasi posta alle esigenze di stabilità e di recupero di una posizione centrale (come rivendicato, ad esempio, da Antonio Tajani, leader di FI che l’ha appunto votata, come formalmente tutto il PPE) regga alla analisi del programma enunciato dalla Presidente, analizzando i punti salienti del suo discorso prima del voto.

La Von der Leyen ha, tra l’altro, esposto un piano che prevede l’avvio di un nuovo accordo industriale pulito (Clean Industrial Deal) per industrie competitive e posti di lavoro di qualità da adottare nei primi 100 giorni del mandato, con l’obiettivo di mantenere la rotta verso i traguardi fissati nel Green Deal europeo: «la crisi climatica sta accelerando a ritmo serrato. Ed è altrettanto urgente decarbonizzare e industrializzare la nostra economia allo stesso tempo»L’accordo dovrà preparare la strada verso l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% per il 2040, da sancire nella Legge europea sul clima.

Viene altresì citato l’obiettivo della neutralità climatica per le automobili entro il 2035, che, tradotto dal burocratese di Bruxelles, significa eliminazione dei motori termici a combustione fossile, anche secondo «un approccio tecnologicamente neutrale, in cuigli e-fuels avranno un ruolo da svolgere attraverso una modifica mirata del regolamento come parte della revisione prevista».

Si tratta di una sostanziale conferma dell’approccio ideologico di superamento delle energie fossili, per contrastare l’assunto cambiamento climatico, con la perdita volontaria (e unilaterale, a fronte di scelte non condivise a livello globale) della tradizionale strutturazione del sistema industriale europeo, invece bocciata clamorosamente dal voto europeo dello scorso giugno.

Secondo il piano della Presidente, i finanziamenti necessari per la transizione verde, digitale e sociale dovranno essere sbloccati massimizzando gli investimenti pubblici e la leva finanziaria sugli investimenti privati, sviluppando la proposta contenuta nella relazione di Enrico Letta (già segretario del PD e premier italiano) di istituire un’Unione europea del risparmio e degli investimenti, che includa i mercati bancari e dei capitali e indicando la necessità di avere un bilancio meglio focalizzato sugli obiettivi, più semplice nel modo in cui funziona e con maggior impatto nel mobilitare ulteriori finanziamenti nazionali, privati e istituzionali, attraverso, in particolare, l’introduzione di un Fondo europeo per la competitività, come suggerito nella bozza di Relazione in argomento affidata a Mario Draghi, già Presidente della Banca Centrale Europea – BCE e precedente Presidente del Consiglio italiano.

E’ difficile, al riguardo, non leggere in tale parte del programma della Von der Leyen la prospettiva, appunto promossa dai circoli tecnocratici mondialisti, di sviluppare una riforma della Unione Europea-UE in senso federalista, a mezzo del trasferimento a livello unionale di titolarità fiscale, in danno delle competenze esclusive degli Stati membri di imporre la tassazione ai propri cittadini; prospettiva che, al di là dell’equivoco uso politico del termine ‘federale’, volge a un definitivo superamento degli Stati nazionali, ultimo residuo di ‘corpo intermedio’ del mondo globalizzato, verso un Super-Stato europeo autonomo e distinto dai Paesi membri che attualmente contribuiscono, invece, a comporre in modo essenziale la complessa architettura istituzionale della UE.

Nè è, appunto, al di fuori di tale profilo la consapevolezza della conseguentemente necessaria modifica dei Trattati: infatti, un punto specifico del programma riguarda le riforme dei trattati, ove necessario in collegamento anche con la prospettiva dell’allargamento dell’Unione, per il quale la Von der Leyen annuncia che nei primi 100 giorni presenterà revisioni politiche pre-allargamento concentrate su settori specifici; allargamento, però, rigorosamente connesso al rafforzamento delle misure di sostegno al rispetto dello Stato di diritto, quelle stesse che hanno consentito alla Commissione uscente di affermare le condizionalità economiche in danno, ad esempio, di Polonia ed Ungheria, cui è stata sospesa l’erogazione dei fondi del Next Gen EU a causa delle politiche nazionali di restrizione nell’accesso all’aborto – per la prima – e della legislazione magiara di contrasto alla diffusione dell’ideologia del gender nelle scuole.

Né manca la attenzione, doverosa in ossequio ai programmi elettorali del PSE e dei liberali macronisti di Renew Europe, al sostegno dei ‘new rights’: rilanciando l’iniziativa del precedente mandato, ‘un’Unione dell’uguaglianza’, Von der Leyen preannuncia l’incarico specifico a un ’Commissario per l’Uguaglianza’ nell’ambito di una strategia aggiornata sull’uguaglianza Lgbtq, e di volere sviluppare una nuova strategia contro il razzismo e per l’uguaglianza di genere  per il periodo post-2025 con l’adozione di una tabella di marcia per i diritti delle donne da presentare in occasione della prossima Giornata internazionale della donna.

Come si possa qualificare questa esposizione programmatica ‘centrista’ ed equilibrata rispetto alle ‘estreme’ (destre e sinistra comunista escluse dal governo dell’Unione) andrebbe chiesto, forse, proprio ai componenti eletti nelle fila del PPE, il gruppo parlamentare di ‘centro’, che è anche il più ampio del Parlamento, nei cui programmi elettorali è difficile trovare traccia di tali politiche.

Del resto, autorevole conferma ermeneutica in tali sensi la si rinviene nel commento critico di autorevole esponente della sinistra europea, Salvatore Marra, coordinatore dell’Area internazionale Cgil, il quale sostiene: il nuovo «Parlamento è più a destra, lo stesso Partito Popolare si è spostato a destra negli ultimi cinque anni. Per non parlare dei gruppi sovranisti e di estrema destra. Tutti questi partiti hanno posizioni sull’economia, sulla guerra e sul sociale che sono spostate più a destra. Von der Leyen non poteva fare altro che un discorso coerente con questo assetto, da molti punti di vista». «La verità è che sulla transizione climatica le posizioni dei Verdi e quelle di buona parte del Partito Popolare sono inconciliabili. Quindi ci si muoverà ancora una volta mediando sul filo del rasoio, come abbiamo visto negli ultimi anni, con decisioni che non sono vere decisioni», prosegue Marra.

«Il Parlamento – spiega Marra – è sicuramente più diviso e paralizzato perché ospita posizioni polarizzate. Inoltre, sappiamo che il Parlamento europeo non vota una fiducia vera e propria, nel senso che la maggioranza si costruisce su ogni dossier. Anche i partiti che oggi non hanno votato la fiducia potrebbero domani decidere di sostenere o non sostenere un provvedimento piuttosto che un altro. Quindi, la maggioranza andrà costruita sui singoli provvedimenti». «Temiamo che queste istituzioni non siano in grado di effettuare le riforme necessarie, a partire da quelle istituzionali. Tutte le decisioni prese nella Conferenza sul futuro dell’Europa, per esempio, in quanto riforme dell’architettura istituzionale dell’Ue, verranno portate a termine? Non credo, perché ci sono posizioni molto divergenti. E la stessa governance verrà rimessa in discussione».

Ed allora? In una prospettiva di autentica riforma dell’Europa delle nazioni, dal punto di vista italiano era opportuno votare a favore della Von der Leyen, magari per ottenere qualche seggio di maggiore potere nella Commissione UE? O è più corretto auspicare che le dinamiche maggioranze parlamentari di Bruxelles e Strasburgo e il peso politico che l’Italia, Paese fondatore, terzo per demografia nella UE, potrà far valere all’interno del Consiglio dell’Unione Europea, conducano a prestare maggiore attenzione, piuttosto che a mere logiche di potere, alla vita concreta dei cittadini europei?

(dal sito di Alleanza Cattolica)

Renato Veneruso          

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