Carini non stava in guardia: questo è il caso da risolvere

Improbabile la disattenzione in un'atleta giunta alle Olimpiadi

I pugili “gettano la spugna” (per lo più un asciugamano). L’espressione, entrata nella lingua parlata, è d’altra parte di origine pugilistica. L’atleta italiana Angela Carini è stata battuta dall’algerina Imane Khelif, che celermente, dopo averla chiamata “maschio” (ma è una donna), è stata definita “intersex”, che non so cosa voglia dire di preciso.
Ho riguardato il filmato col pugno fatale, che ha costretto l’italiana alla resa; ho notato che essa non teneva nessuna guardia, facilissimo per chiunque colpirla al volto con una fucilata, come è successo.
Più che sulla natura della Khelif – la quale alle precedenti olimpiadi era stata sconfitta da un’irlandese senza che s’indagasse sulle sue coordinate genetiche – mi sarei soffermato sulla leggerezza – grave per un pugile delle olimpiadi – della Carini. Questo aspetto della vicenda mi insospettisce più che l’altro.
Quanto alla forza “maschile” e sproporzionata dell’algerina, osservo che la forza è una componente, non la sola, dei combattimenti. Non è la sola, ma ci si è tuttavia concentrati su quest’unico elemento. Ci sono pugili picchiatori e pugili eleganti, ci sono incassatori, ballerini e stilisti.
Max Baer – che con due colpi alla prima ripresa aveva ucciso un avversario – prese il titolo che da un solo anno era di Primo Carnera, atterrandolo più volte (ma la regola delle tre volte per decretare il ko tecnico non era ancora in uso), benché fosse meno alto del forzuto colosso friulano e avesse le braccia assai più corte.
Ciò per dire che la forza (e aggiungerei la disparità fisica, almeno in parte) nel pugilato non è tutto e può essere perfino poca cosa. Max Baer, prima di sconfiggere l’eroe di Mussolini, aveva vinto col tedesco Max Schmeling, l’analogo hitleriano (ma non nazista) di Carnera, combattendo con una stella di David cucita sui pantaloncini

Carlo Romano

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