Focus/1. Ecologia contro illuminismo: limiti del liberalismo e del marxismo 

Il partito verde ha colto gli effetti, ma non le cause originarie della crisi ambientale

Ecologia profonda

Prima parte dell’intervento di Giannozzo Pucci, storico esponente dell’anima “indiana d’America” dell’ecologismo italiano, all’assemblea costituente della Federazione dei Verdi (Chianciano, 21-23 gennaio 2000). Apparso su Diorama letterario n. 232, gennaio 2000. Per gentile concessione dell’Autore e dell’Editore.

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Sono dieci anni che non partecipo a un’assemblea nazionale e non mi sono mai iscritto ai verdi da quando, aTrani, l’assemblea della Federazione delle Liste Verdi rinunciò a statuto confederale e sovranità locali per scegliere la forma partito, unificandosi coi Verdi Arcobaleno. La decisione non fu una semplice sconfitta politica, cambiò i connotati del movimento ecologista come presenza elettorale.

Avendo vissuto quell’episodio, pensai che la degradazione dei verdi in partito radical-diessino, impegnato a rincorrere gli effetti dell’inquinamento industriale, senza sfiorarne le cause filosofiche, politiche ed economiche,avrebbe espulso dai verdi legali e istituzionali le ispirazioni ecologiche con le loro libertà nuove e creative. Un partito verde, egemonizzato da altre filosofie e impotente ad attirare le energie più sensibili e inaspettate, avrebbe inabissato le novità ecologiche in ambiti e direzioni extraistituzionali.

Dopo dieci anni qualcosa dell’impressione di allora si è realizzata. Innanzitutto la ovvia crisi del partito e poil’emergere negli ambiti più diversi di riflessioni ed esigenze del pensiero ecologista. Abbiamo toccato con mano lanon traducibilità della novità ecologica nelle categorie della politica in assenza di un legame con la teologia, con i popoli indigeni del mondo, con l’etica e con la più antiche tradizioni della nostra civiltà.

Negli stessi dieci anni è cambiato il panorama della politica italiana.

Allora restava qualche autorevolezza alle ideologie politiche marxista, liberale, alla destra legata all’eredità delfascismo e persino al mondo cattolico come bacino di voti e reticolo sociale, anche se ormai indebolito dalla lunga esistenza sulla rendita. Ma la quasi totalità degli uomini che militavano in queste scuole di pensiero erastata affascinata e convertita dalla degenerazione morale che il popolo italiano ha subito dagli anni ’60 coldiffondersi dei consumi e dell’edonismo di massa.

Mattei, Fanfani, Vanoni, La Pira

Nel 1990 sopravvivevano ancora, nelle pieghe delle pubbliche amministrazioni, i resti di quella particolarevisione politica italiana sviluppatasi nell’area di governo per merito di una parte del mondo cattolico, a partiredalla Costituente, e sconfitta verso la metà degli anni ’60, dopo l’uccisione di Enrico Mattei (1962), la fine delgoverno Fanfani (1963), la morte di Ezio Vanoni (1964) e la conclusione dell’esperienza di La Pira come sindaco di Firenze (1965).

Queste personalità erano state pilastri dell’unico disegno italiano, che ha veramente coinciso con l’identità del Paese e che comprendeva, all’interno, la difesa delle piccole attività economiche e lo sviluppo della pienaoccupazione attraverso gli investimenti pubblici: una reinterpretazione italiana della politica economica diKeynes, e in politica estera il contributo all’autonomia dei popoli del sud del mondo, a partire dall’area mediterranea, aiutandoli a partecipare da sovrani allo scambio internazionale attraverso un pagamento più equo delle loro ricchezze naturali e la lotta ai profitti iniqui delle multinazionali dell’energia.

La debolezza del programma fu l’aver accettato acriticamente l’industrializzazione, cioè il modello produttivo e tecnologico congeniale al capitale finanziario internazionale, dando un contributo sostanziale alla diffusione di massa in Italia del consumismo. Ma questi stessi uomini avevano avuto anche il merito di rilanciare a livello filosofico e pratico l’importanza delle comunità e del lavoro autonomo come garanzia della libertà delle persone, insieme alla deontologia governativa di difesa delle attività economiche più deboli e umane, valori tipici della millenaria tradizione cattolica.

Nel 1990, le partecipazioni statali e un residuo di politica estera nel Mediterraneo e nell’est, a favore dei paesi meno fortunati, esistevano ancora insieme a leggi e regolamenti nazionali a favore delle piccole attività agricole e artigianali. Il sistema elettorale proporzionale garantiva una dimensione parzialmente comunitariaanche nella vita istituzionale, congeniale col nostro carattere. Oggi tutto ciò non esiste più.

La finanza internazionale 

La disgregazione dell’Unione Sovietica e Tangentopoli hanno spazzato via non solo l’autorità delle ideologie ottocentesche, ma anche i residui migliori del progetto politico dell’Italia anni ’50. Resta in piedi una forma diliberismo radicale, da «si salvi chi può», di rivendicazione di puri diritti, il più congeniale col costumeedonistico-consumista e con gli interessi della finanza internazionale, che ha beneficiato della svendita delle migliori aziende pubbliche italiane.

Con l’entrata in scena del problema ecologico c’è però, indipendentemente dal comportamento dellerappresentanze parlamentari verdi, un elemento di discontinuità rispetto ai dogmi dell’illuminismo. Lo ripeto più esplicitamente. Anche se  gli eletti verdi nelle istituzioni fossero stati tutti sudditi delle filosofie marxiste o radicali, la crisi ecologica da sola spazza via i postulati fondamentali di quelle ideologie e dell’approccio scientifico alla realtà, riproponendo per l’interpretazione del mondo la maggiore consistenza delle antiche tradizioni greco-romane ed ebraico-cristiane.

La scienza moderna è derivata da un principio d’.indifferenza della natura come fonte di norme materiali e morali per la condotta umana, sostituita dalla ragione come unica garanzia di verità e dallo stato come unica legittima fonte normativa. Il problema ecologico è la prova inoppugnabile che la ragione, da sola, non produce verità o scoperte al di là del bene e del male e che la natura è più ricca di quanto qualsiasi teoria scientificasia in grado di comprendere, mentre gli Stati hanno prodotto molte leggi illegittime, perché in contrasto con i diritti fondamentali dei popoli e con le leggi di natura.

Le ideologie post-illuministe (liberalismo, marxismo e fascismo) hanno condiviso la fede nella forma produttiva industriale come progresso assoluto, capace cioè di rispondere ai principali bisogni umani con l’abbondanzadi beni di consumo e attraverso la trasformazione della natura in materia prima per il processo produttivotecnologico.         

Padroni dei mezzi di produzione

Il movimento luddista, unica forma di lotta di lavoratori che volevano continuare, come artigiani, a esserepadroni degli strumenti di produzione e della libertà di lavoro e perciò si opponevano al tipo di macchine che li avrebbe trasformati in proletari, fu sconfitto da uno Stato che scelse contro la libertà del lavoro, con l’approvazione contemporanea o successiva di tutte le parti politiche dalla destra alla sinistra. La differenza fra loro ha riguardato solo i modi per garantire la distribuzione delle merci, ma non la forma industriale.

Destra e sinistra sono sempre andate d’accordo anche nel riconoscere cittadinanza politica solo agli individui da una parte e allo Stato dall’altra: perciò tutte le aggregazioni tradizionali, le comunità famigliari, di villaggio, di mestiere ecc, dovevano essere soppiantate dallo Stato a da organizzazioni a esso somiglianti o preparatorie, come i partiti, i sindacati ecc. La riscoperta dell’importanza essenziale dei cicli ecologici porta con sé la comprensione che la natura è un’universalità di esseri in comunicazione tra loro e che questi legami e rapporti sono il contenuto della libertà personale. Il modo di produzione industriale, che distrugge i legami comunitari, trasforma tutti in individui e tutto in merci, è nemico di una dimensione ecologica, non può essere convertito, ma va gradualmente espulso  e ridotto entro limiti etici che salvaguardino la natura contro latrasformazione in tecnologia.

Anche la democrazia politica di massa, se non rispetta il principio di sussidiarietà, trasforma tutti in individui isolati e inermi davanti allo stato e ai grandi gruppi economici, e anche se trova il modo per consultare ciascuno con un referendum al giorno, i cittadini saranno ostaggi inermi di un meccanismo che li avrà allontanati dall’ambiente comunitario essenziale alla formazione della loro volontà, all’interno di una tradizione civile e culturale capace di collegare tale volontà con i valori delle generazioni passate e future. 

 

Giannozzo Pucci

Giannozzo Pucci su Barbadillo.it

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