Perche’ rileggere «Storia della colonna infame» di Alessandro Manzoni

Riscoprire il fascino cristiano dell’antirivoluzione. Approda in libreria una nuova edizione del libro, con un saggio introduttivo dello storico Adriano Prosperi che ne revisiona l’interpretazione e le finalità

Alessandro Manzoni

Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni

Cosa lega titoli in apparenza così disparati, quali “Appendice storica”, “Appendice” e “Storia della Colonna infame”? Quello di essere stati i titoli dati, dal 1823 al 1840, da Alessandro Manzoni, il padre della lingua italiana contemporanea, al medesimo saggio storico. Grazie all’ultimo (e definitivo) titolo scelto, la “Storia della Colonna Infame” è divenuta la testimonianza letteraria sulle tragedie alle quali porta una giustizia assetata di vendetta sommaria e desiderosa, unicamente, di compiacere gli istinti della popolazione. Una giustizia dietro la quale si celano i soliti burattinai, abili nello strumentalizzare, a proprio vantaggio, l’isteria omicida di scaricare sui malcapitati di turno, chiamati con espressione veterotestamentaria “capri espiatori”, le ingiustizie generate dall’affastellarsi indisturbato (e condiviso senza differenze di ruolo o ceto) di disonestà, angherie, corruzione di ogni genere. Nella Milano falcidiata dalla peste nel 1630, “in un secolo in cui la medicina aveva ancor così poco imparato”, i titolari del potere cittadino sono inermi dinanzi al dilagare del morbo, che ogni giorno lasciava una scia interminabile di sofferenze e di morte.

Come placare gli animi di chi invoca vendetta, così illudendosi di riavere indietro quanto è andato irrimediabilmente perduto? In sette, intensissimi capitoli, dal valore pionieristico per la singolare compresenza di approfondimento storico e nitore espositivo, l’intellettuale milanese ricostruisce, passo dopo passo, le sventurate vicende del funzionario di sanità Guglielmo Piazza e del ‘barbiere’ Gian Giacomo Mora, accusati, il primo, di avere diffuso e il secondo, di avere preparato l’unguento malefico che aveva diffuso la pestilenza nella città meneghina. Dopo avere subito torture, processi-farsa e interrogatori predeterminati, i due ‘untori’ verranno condannati a morte e la casa-bottega del barbiere rasa al suolo: al suo posto verrà edificata una colonna, denominata infame a monito di quanto in essa maleficamente ‘creato’. Ecco approdare in libreria, nella rinomata collana della “Nuova Universale Einaudi”, una nuova edizione della “Storia della Colonna infame” di Alessandro Manzoni (Einaudi, Torino 2023, pp. LXXVIII + 129, Euro 21). Le settantotto pagine dell’introduzione sono curate da uno dei maggiori storici italiani dell’Età Moderna, il normalista Adriano Prosperi. Già il titolo dato alla prefazione indica quella profonda revisione interpretativa del libro manzoniano, di cui tanti avvertivano la necessità. «La minaccia nascosta» di Prosperi è come un saggio nel saggio: potrebbe essere letto benissimo in autonomia, rispetto allo scritto di cui dev’essere la prefazione.

Non vorremmo apparire i soliti apologeti di Montanelli come maestro del bastian contrario, suggeriamo tuttavia di leggere la prefazione solo dopo aver letto lo scritto di Alessandro Manzoni. Perché mai? La risposta non lasci interdetti: perché il saggio dello storico Adriano Prosperi è scritto talmente bene e sprigiona una tale forza persuasiva nelle argomentazioni trattate, da non lasciare spazio a forme di riflessione individuale su una delle opere tra le più importanti e meno conosciute della letteratura civile in lingua italiana degli ultimi due secoli. L’esegesi anticomplottista dello scritto manzoniano, strenuamente argomentata dal Prosperi, non ammette contradditorio alcuno. Qualora siate vagamente infatuati dal “Quanon” o critichiate Soros siete avvertiti: il lavoro prefatorio vi ferirà senza darvi, giusto per restare in tema, alcun unguento lenitorio. La conoscenza della «Colonna infame» del Manzoni dovrebbe essere patrimonio comune a tutti i parlanti nella “Lingua del Sì” di origine dantesca. Concepita dallo studioso milanese come parte fondante e inseparabile dei Promessi Sposi, al contrario, evidenzia senza fare una grinza il Prosperi, «Le edizioni scolastiche per gli studenti italiani, numerose come la sabbia del mare, misero loro in mano solo il romanzo». 

L’ossificazione della vulgata interpretativa sui Promessi Sposi risale per lo meno al 1973, quando Italo Calvino coniò la definizione del capolavoro manzoniano come «il romanzo dei rapporti di forza». Il prefatore sottolinea, riguardo al metodo di lavoro del Manzoni, tanto il valore esemplare attribuito alla storia francese del Settecento quanto la continua ricerca della verità storica, acquisita tramite lo studio rigoroso delle fonti documentarie. Merito principale del curatore è quello di aver recuperato e ricomposto, in un quadro organico, quanto era rimasto fuori dalle glosse critiche dei decenni precedenti. Gli epiloghi generati dall’individuazione del capro espiatorio formano un’orrenda catena di sangue, propagatasi attraverso le epoche storiche più disparate. Nel 1321, l’occitano Guillaume Agassa confessava, in una deposizione, di avere preparato un unguento velenoso, composto da un’ostia consacrata frammista a code di serpente, rospi, lucertole, ramarri, pipistrelli ed escrementi umani, per avvelenare le acque potabili del borgo di Pamiers. Nello stesso anno, il reo confesso verrà arso vivo nella piazza centrale della cittadina francese, come pericoloso untore. Lo sterminio di una famiglia per motivazioni non dissimili, avvenuta alla periferia di Palermo nel Febbraio del 2024, non permette di relegare l’attuazione di letali pratiche pseudopurificatrici in un Medioevo di comodo, tutto maghi e fattucchiere, in realtà mai esistito.

Negli oltre sette secoli che dal Medioevo alla contemporaneità hanno cesellato il nostro Occidente, e di riflesso il mondo intero, tanto la Santa Romana Chiesa quanto la società civile stanno vincendo, insieme, la cruenta battaglia contro la superstizione e la magia, pratiche gradualmente (e fortunatamente) bandite dall’ufficialità della vita civile, ma ancora tristemente diffuse nei mille mondi paralleli che operano dietro i riflettori. Siamo debitori anche nei confronti del genio cristiano di Alessandro Manzoni, se in questi decenni possiamo fare crasse risate, allorquando rivediamo in televisione gli irresistibili Lino Banfi e Johnny Dorelli nel film «Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio». La memoria storica di quanto patito nel Seicento da Gian Giacomo Mora e da Guglielmo Piazza, ci ricorda che la strumentalizzazione dell’isteria collettiva non è stata sempre roba da risate pecorecce per lungometraggi comici. Opere come quelle del cattolico Alessandro Manzoni spronano il lettore, ieri come oggi, a non abbassare mai la guardia.        

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Marco Leonardi

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