Con “Faccia d’angelo” Delon è nel mito. Quando il personaggio diventa l’interprete

Mai eroe in Indocina, sempre eroe sul grande schermo, Alain è simbolo di un'epoca

Frank Costello interpretato da Alain Delon

Quando la bellezza era un merito, quando la virilità era forza maschile, quando la femminilità era seduzione, quella era l’epoca di Alain Delon.

Un’epoca vicina, ma ormai in estinzione, vittima della modernità progressista, della fluidità, del vuoto a perdere, rispettosamente e inclusivamente ecocompatibile. Un’epoca nemica dei samurai e della faccia d’angelo, capace di evocare il bello e la sua luciferina malignità, nel segno di necessita’ di compiere il destino.
Alain Delon ci ha lasciato in un mondo vuoto, riunendosi a Steve McQueen, Sean Connery, Jean-Paul Belmondo e alla comitiva delle belle canaglie. E’ questo il Delon che piace ricordare: quello che – dopo le manovre con la candida Romy e i fulgori viscontei di Rocco (già eroe della tradizione e del mito ancestrale) e Tancredi (in cui modella la giovanile, ma eterna, arte compromissoria italica) – si manifesta come ambigua e in fondo malvagia, fino al limite del sordido, maschera eterna della bellezza, sovvertitrice e ctonia, in film come Delitto in pieno sole di René Clément, La piscina di Jacques Deray e, soprattutto, Le Samouraï di Jean-Pierre Melville*, in Italia diventato Frank Costello, faccia d’angelo.
In queste prove, corpo, intensità, sguardo convergono come in un prontuario degli stati d’animo, bassi e alti, possessivi e remissivi degni della configurazione destinale tanto trattata da Céline e Drieu la Rochelle.
Tutte le vicende finiscono in sconfitta, la cara, bella sconfitta, ma come dimenticare il conflitto, conflitto pieno di invidia e rancore sociale con Maurice Ronet per il possesso della languida Marie Lafôret e della barca o il sottile confronto corporeo con la folgorante, amata e più volte ripudiata Romy e, infine, la maschera inespressiva di Frank, nonostante Nathalie (la moglie)?
La verità è che Delon si è sempre battuto per l’uomo nella sua singolarità, contro la moltitudine e soprattutto contro l’indifferenzialismo, che vuole annullare il bello, ma anche il male, che pur sono parte essenziale dell’umano, troppo umano. L’esito è la sconfitta, come quando, giovanissimo, fu in Indocina. Ma che sconfitta! Il samurai sa di perdere, ma combatte perché è il battersi che conta. Come gli angeli, il samurai non muore mai.
*Le Samourai di Jean-Pierre Melville è reperibile gratuitamente in copia integrale sul sito Internet Archive-

Francesco Menna

Francesco Menna su Barbadillo.it

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