Intorno alla destra afascista di Fdi (vista da Tarchi)

La dicotomia conservatorismo/progressismo delimita sempre più il campo della competizione nella politica italiana

Le tre età della Fiamma di Marco Tarchi per Solferino

L’ascesa di Fratelli d’Italia a maggior partito del panorama politico nazionale e della sua leader Giorgia Meloni alla guida dell’esecutivo attira sempre più l’attenzione di osservatori e mass media.

Alla luce dei mutamenti di stretta attualità, si colloca in un contesto particolare l’esigenza – espressa da Marco Tarchi nel libro-intervista “Le tre età della Fiamma – La destra in Italia da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni”, edito da Solferino e curato insieme al giornalista e scrittore Antonio Carioti – di aggiornare l’analisi avviata con lo stesso interlocutore nel 1995, in occasione della pubblicazione di “Cinquant’anni di nostalgia – La destra italiana dopo il fascismo”.

Un lungo silenzio ha relegato ai margini della comunità accademica i pochi studiosi disposti ad approfondire sotto l’aspetto scientifico la natura di un mondo reietto e scomodo. Tranne rare eccezioni, una produzione aprioristicamente critica e non di rado offensiva ha soppiantato quella agiografica e altrettanto schierata delle piccole case editrici vicine agli ambienti della destra.

Neofascismo

La rivisitazione delle vicende del Movimento Sociale Italiano muove dalla premessa di un’estrema eterogeneità delle rivendicazioni del fascismo repubblicano, in parte attratto dalla propaganda comunista e dalla stella polare della socializzazione dei mezzi di produzione, che controbilanciarono per un breve periodo i miti dell’idea corporativa e del culto dello Stato.

Osservatori tutt’altro che indulgenti verso l’esperienza del ventennio hanno riconosciuto in larghi strati della popolazione un legame d’immedesimazione psicologica con alcuni suoi valori e la tendenza a riproporli sotto forme più aderenti ai tempi nuovi, mentre ha acquisito credibilità la tesi di Giuseppe Parlato sul ruolo svolto da Pino Romualdi (introdotto nei servizi statunitensi, in alcuni settori imprenditoriali, in parte delle gerarchie ecclesiastiche e in frange della massoneria) nel processo di gestazione del nuovo soggetto politico.

Il partito della Fiamma mosse i primi passi con il “complesso dell’orfano”, si chiuse a riccio – malgrado la scelta legalitaria – per sopravvivere in mezzo all’ostilità dei partiti dell’arco costituzionale e prestò il fianco alla divaricazione crescente tra l’atteggiamento di un elettorato sostanzialmente d’ordine e quello dei quadri e dei funzionari di partito.

La propensione al compromesso e la scelta di non risolvere il dilemma tra identità e collocazione strategica fu una delle caratteristiche salienti della segreteria di Michelini, che offrì alla Democrazia cristiana un sostegno alternativo per impedire la nascita di esecutivi aperti ai socialisti. In tale ottica l’appoggio al governo Tambroni, da più parti ritenuto uno spartiacque decisivo per le sorti della politica nazionale, viene ridimensionato quale scelta che consolidò l’immobilismo e favorì la linea della maggioranza missina, nell’eccezionalità delle circostanze convulse che determinarono l’annullamento del Congresso di Genova su pressione della piazza.

Il ritrovato vigore dell’“antifascismo militante” trovò forme e modalità per esprimersi nel clima arroventato della contestazione e delle tensioni sociali, in una cornice – quella della strategia della tensione – verosimilmente mirante a stabilizzare equilibri consolidati e a riflettere l’immagine squalificante della teoria degli opposti estremismi. Rovesciando l’iconografia ufficiale, Tarchi sostiene che il meccanismo della violenza politica degli “anni di piombo” fu innescato dalla sinistra radicale e trovò poi una risposta uguale e contraria dall’altra parte.

Il ritorno di Almirante alla segreteria certificò nel frattempo l’incapacità dei gruppi extraparlamentari di destra di produrre mobilitazioni significative. Abilissimo nell’adoperare un doppio linguaggio, il massimo esponente missino da un lato alzò i toni dello scontro alimentando gli interrogativi sul livello di compromissione con le frange estremiste; dall’altro puntò alla piena legittimazione utilizzando registri stilistici del tutto differenti sia nell’arena parlamentare che nei dibattiti televisivi.

Trova così spiegazione l’atteggiamento di una dirigenza che, discostandosi dal proprio elettorato, liquidò le prospettive golpiste all’interno e mantenne un contegno diverso rispetto ad alcuni regimi che si stavano affermando all’estero. Allo stesso tempo l’unica operazione di respiro strategico – la formula della destra nazionale – rimase incompiuta perché fu stroncata dallo scudo-crociato, unica forza “abilitata” a stabilire il livello di credibilità delle formazioni politiche a seconda della distanza che le separava dal centro.

Un altro tratto inscritto nel codice genetico missino, quello dell’anti-intellettualismo, fu solo in parte bilanciato dai fermenti che spinsero i giovani ad ispirarsi, in periodi circoscritti, alla dimensione “altra” di Codreanu e di Primo de Rivera, al “romanticismo fascista” e al mito dell’”Europa nazione” come terza forza alternativa alle due superpotenze mondiali.

I progetti di evoluzione intrapresi per un’organizzazione ideologica alternativa alle realtà di sinistra si tradussero nelle esperienze metapolitiche della Nuova destra e negli sforzi di rinnovamento, talvolta confusi e destinati all’insuccesso. L’apertura alle “contaminazioni” con culture diverse, la sensibilità verso tematiche sconosciute o sottovalutate (comunitarismo, rifiuto dello stile di vita americano, riscoperta della letteratura fantastica, ambiente, femminismo e musica alternativa) divennero centrali nel corso dei raduni dei Campi Hobbit.

Le tesi orientate a creare luoghi di aggregazione per sperimentare “nuove sintesi” basate su una forte critica dell’individualismo, sull’esaltazione delle differenze in un contesto non gerarchico, sul recupero della partecipazione popolare e sulla rivalutazione delle appartenenze collettive non attecchirono però in profondità nel mondo neofascista. Si rivelarono in altre parole infruttuosi i tentativi, racchiusi nell’espressione “gramscismo di destra”, di mutuare un metodo che considera prioritario l’impegno culturale e prevede la penetrazione delle idee nella formazione della mentalità collettiva partendo soprattutto dal basso. 

Punto di coagulo del malcontento fu la minoranza di Pino Rauti, sostenitore di uno “sfondamento a sinistra” imperniato sulla giustizia sociale e sul riscatto morale, contraddetto dalla permanenza di qualche traccia del nostalgismo fascista.

Postfascismo

Dinamiche esterne al Movimento Sociale sfociarono nelle aperture di Craxi dettate dalle motivazioni tattiche di allargare lo spazio a destra e diminuire il peso specifico della Democrazia cristiana e nell’ostilità di ambienti accademici politicamente orientati al processo di revisione storiografica avviato da Renzo De Felice.

Le due segreterie di Gianfranco Fini agirono inizialmente nel segno della continuità con il passato, in un contesto già contraddistinto dalla scelta dell’opposizione interna di rassegnarsi alla normalizzazione e allo scioglimento delle correnti sancito nel Congresso del 1982. L’annotazione sugli scarsi risultati ottenuti dalla scelta estemporanea di dialogare con il Front National di Le Pen, cavalcando l’onda della sicurezza e dell’identità nazionale contro l’immigrazione (in discontinuità con i contatti avviati in precedenza con Ordre nouveau e con il Parti des forces nouvelles), è propedeutica alle riflessioni sulla mancanza d’iniziativa politica e sulla contrazione del numero delle sezioni e degli iscritti, camuffata da cifre ufficiali non veritiere.

La percezione del crollo del muro di Berlino come perdita di un punto di riferimento primario completa un quadro che rispecchia l’incapacità d’intercettare il sentimento anti-partitico montante, decisamente ostile ai politici di professione. Due eventi imprevedibili – le esternazioni del Presidente della Repubblica Cossiga e le inchieste del pool di Mani pulite – offrirono inaspettatamente maggior visibilità ad argomentazioni tipiche del repertorio missino, che pure ebbero eco sui mezzi di comunicazione.

La descrizione del progetto d’incubazione di Alleanza Nazionale, avviato dalla determinante intuizione di Domenico Fisichella relativa alla fuoriuscita dell’elettorato conservatore dall’ormai obsoleto contenitore democristiano, svela la natura ambigua dell’azione di avvicinamento verso il potere e alcune prese di posizione liberal-conservatrici, non sistematizzate in una strategia precisa. La nuova formazione non riuscì ad affermarsi subito come attore politico compiuto ma in qualità di “ibrido” composto da militanti, quadri e ceto politico di origine esterna.

La discesa in campo di Berlusconi produsse effetti benefici, ma il rapporto del Cavaliere con Fini si rivelò immediatamente controverso perché quest’ultimo si concentrò sulla necessità di ritagliarsi un ruolo autonomo e di riprendersi dal trauma originario dello “sdoganamento”.

Al Congresso di Fiuggi la generica adesione ai principi della democrazia non fu accompagnata dalla ridiscussione di una mentalità autoritaria, degli aspetti sciovinisti del nazionalismo e del culto della gerarchia. La scarsa dimestichezza nel concepire progetti originali e l’indole opportunista e pragmatica del Presidente di Alleanza Nazionale, unite all’accentuazione dei tratti della personalizzazione politica, influirono in modo determinante sul consolidamento di un modello di partito centralistico e plebiscitario, confermato dalla tendenza a imporre svolte senza discussione interna e dalla convinzione di possedere un patrimonio individuale di credibilità da spendere in contenitori diversi e più vasti di quello del partito.

La blanda opposizione alla “svolta del predellino” contestò solo tempi e modi, traducendosi in un problema di natura personale e nell’accettazione della lista unica, quindi nella prospettiva di confluire nel Popolo delle Libertà. Gli avvenimenti successivi – l’estromissione dal partito, le vicende giudiziarie relative alla casa di Montecarlo, la disastrosa esperienza di Futuro e Libertà e l’ascesa dei tecnici al governo – costrinsero Fini, sommerso dal proprio suicidio politico, a defilarsi. 

Afascismo

Il tentativo di ricomporre le parti di un mondo destinato all’irrilevanza è l’obiettivo dichiarato di Fratelli d’Italia, progressivamente consolidatosi – dopo i primi risultati elettorali non molto promettenti – quale partito nazional-conservatore e aperto a figure lontane dalla storia della destra post-missina.

Le rapide mutazioni della politica italiana emergono nella presentazione di un’ondata populista che ha indotto Giorgia Meloni a riprenderne alcune issues in senso prevalentemente stilistico, ad esempio nelle tesi di Trieste e dopo gli errori commessi da Salvini nel “discorso del Papeete”, quindi in ottica concorrenziale con la Lega.

Dotato di una struttura organizzativa ridotta e di un’impostazione verticistica del modello di comando, il partito ha aderito dopo le elezioni continentali del 2019 al gruppo dei conservatori europei richiamandosi alla tradizione liberale. E’ interessante notare che i toni fortemente euro-scettici e le critiche alla moneta unica e alle istituzioni economiche e finanziarie di Bruxelles sono stati via via accantonati, soprattutto dopo la conclusione del percorso di avvicinamento a Palazzo Chigi.

Nella carenza di dibattiti che favoriscano elaborazioni culturali originali, gli scarni riferimenti a intellettuali d’area (ad esempio al filosofo conservatore britannico Scruton) sono oscurati dalle diverse e più immediate modalità di confronto con gli interlocutori esterni, per esempio le feste di Atreju.

Meloni predilige infatti un rapporto disintermediato e diretto con gli elettori sia attraverso i social media, sia rilanciando la propria presenza su giornali e TV al verificarsi di importanti avvenimenti d’attualità, sulla base dei dettami di una tecnica comunicativa – quella del going public – utilizzata negli Stati Uniti anche da noti esponenti democratici.

Culto del potere del capo e pragmatismo sono il logico preambolo della rivendicazione dell’eredità politica di Almirante, attivata attraverso leve psicologiche e sentimentali più che ideologiche; l’enfasi sul suo ruolo di guida, basata su un’idea un po’ edulcorata dell’uomo e degli “anni di piombo”, è parte integrante di un orientamento che rifiuta l’antifascismo quale forma di manifestazione affermatasi a partire da quella stagione turbolenta.

Qualora agisse diversamente, sotto pressione esterna e con il rischio di vedersi ritorcere contro l’accusa di abiure più o meno parziali e comunque inautentiche (oltre a quello di suscitare disagio in una parte del suo elettorato), Meloni interiorizzerebbe la visione “caricaturale, astorica e monca” del fascismo diffusa dai suoi avversari. Appare invece molto più verosimile che, nel sottolineare il distacco dall’epoca mussoliniana e dal modello autoritario, ella abbia rimosso ogni riferimento a un fenomeno che ha ormai concluso la sua parabola, sottoponendolo a “morte lenta” tramite la scelta afascista.

Conclusioni

Tarchi espone con chiarezza una realtà complessa e molto più sfaccettata di quanto comunemente immaginato, fotografando i tratti di linearità  e gli elementi di discontinuità delle tre Fiamme. Arricchita dalla competenza dell’intervistatore, la lettura appare forse fruibile più a una platea di “addetti ai lavori” che a un pubblico esteso.

Lo studioso si avvale non tanto dell’inesauribile bagaglio delle conoscenze accumulate in qualità di funzionario missino (esperienza interrotta nel 1981), bensì dell’acribia e dell’imparzialità che gli consentono di sottoscrivere il complessivo fallimento del neofascismo, costretto a rinnegare di fatto le motivazioni che gli diedero origine per poter essere ammesso al gioco delle coalizioni di governo già nel momento della trasformazione in Alleanza Nazionale.

Sulla scia di un dato empirico spesso sottovalutato se non omesso, ma difficilmente confutabile – che riflette una mancata coincidenza tra l’atteggiamento di graduale apertura a sinistra delle elites e quello della maggioranza degli italiani, che ha continuato a coltivare per decenni i valori della visione del mondo cattolica e della cultura tradizionalista di origine rurale – il focus sul cleavage conservatorismo/progressismo delimita sempre più il campo della competizione, attestandosi lungo le direttrici di tematiche specifiche (a titolo non esaustivo immigrazione, scelte etiche, diritti civili)  considerate decisive nello scontro politico di oggi.

“Le tre età della Fiamma – La destra in Italia da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni”, libro intervista di Marco Tarchi con Antonio Carioti, edito da Solferino

Andrea Scarano

Andrea Scarano su Barbadillo.it

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