Solo l’agricoltura artigiana porterà il ritorno alla terra

Memorie per cambiare modo di vivere nei 40 anni della Fierucola a Firenze

Giannozzo Pucci

Il primo invito a organizzare quella che sarebbe stata la Fierucola m’è giunto da Graziano Ciceri nell’ottobre 1983, di ritorno dalla seconda Fiera di Rouffach in Alsazia. Graziano è stato uno dei più straordinari ispiratori dell’ecologia in Italia, sebbene rifuggisse la pubblicità. L’ho incontrato per caso nell’estate 1981 a Milano, alla cooperativa “Il Girasole” di Annarosa Gabualdi, durante l’unica conferenza di Fukuoka nel capoluogo lombardo.

Come Masunobu Fukuoka, Graziano comunicava poco delle sue conoscenze pratiche nel mondo delle erbe, voleva infatti che i veri interessati entrassero nel mondo della creazione senza calcoli, egoismi o tornaconti.

Da quel momento è nata un’amicizia che non sarebbe finita nemmeno con la morte, a due ore dalla quale, nell’ultima telefonata, mi affidò il compito di pubblicare qualcosa dei suoi pensieri ed esperienze. Cercando nelle tradizioni fiorentine data e luogo per una fiera in cui chi viveva in campagna potesse vendere direttamente prodotti naturali, trovai piazza SS. Annunziata, l’8 settembre, con la festa della nascita di Maria, e la Rificolona, cioè la Fierucolona.

Fuori dal consumismo

Graziano chiese di intitolarla al pane, come segno delle cose essenziali. Allora sembrò una deviazione dalla tradizione, un’appendice. Invece il senso era spingerci a concentrarci sull’essenziale, come una porta verso l’uscita dalla società dei consumi, dalla moltiplicazione degli oggetti inutili, dai bisogni artificiali. Forse dopo 40 anni possiamo capirlo e avviare una nuova era di qualità e ispirazioni della Fierucola, con cui non solo vendiamo quello che facciamo, ma coi nostri manufatti diamo il nostro messaggio su come cambiare modo di vivere.

Motivo conduttore della vita di Graziano era far capire il rapporto con la terra, le piante, la casa comune naturale. C’è molta violenza negli esseri umani, prigionieri dei doveri del danaro, che rende la mente meccanizzata e il cuore di plastica. E soffoca l’anima. Occupata dalla meccanica o dall’elettronica, la terra urla la sua tristezza fin dalle ossa, perché anche là abita il ricordo-bisogno della libertà divina. La causa del gemito della terra è l’industria, che nulla le regala, nemmeno i semi con dentro l’eterna memoria, perché pensa solo ai numeri, ai soldi, all’effimero potere dell’inflazione, e riempie i campi di semi sterili, senza futuro.

Il rinascimento del pane

Ritrovare il nostro seme, la nostra fertilità umana e morale, significa riprendere contatto con la vita, arrivare alla culla genetica del rinascimento del pane, nel rispetto delle condizioni e dei limiti che abbiamo avuto dalla creazione, per gustare il sapore dell’eterno nel cibo essenziale quotidiano.

Negli ultimi quarant’anni, Salvatore Ceccarelli ha scoperto come sottrarci, nei nostri campi, al potere dei grandi monopoli e seminare popolazioni evolutive sia negli orti, sia nei campi di cereali. La rinascita dell’evoluzione dei semi libera una parte della vita in campagna; ma la razionalità dell’agricoltura industriale è invasiva: sono stati proprio gli agricoltori a protestare coi trattori contro l’ecologia, perché senza i contributi dell’Ue, testimoni del loro fallimento, e senza pesticidi ecc., non possono sopravvivere. Tutti i prodotti agroindustriali vanno alla grande distribuzione e gli imprenditori agricoli sono ridotti a operai di poche funzioni di tutto il ciclo di produzione.

Liberi di usare le piante

Invece il vero ritorno alla terra è ritorno alla conoscenza, alla libertà di usare le piante nella loro completezza. Chi sa, ad esempio, che assistere alla fermentazione del cavolo è essenziale per capire, vivendoci insieme, tutte le sue energie, lo zolfo che ha dentro, ecc. Ma cose simili si possono dire per ogni pianta.

Chi torna o va alla terra deve cercare la conoscenza diretta di queste immense possibilità: coltivando qualche cereale o verdura che appassiona, lo sviluppi in modi impensati, per arricchire il rapporto con la trasformazione diretta del prodotto. Ad esempio il lampone: se serve, si può dare il frutto ai ristoranti, cioè a una mentalità che distrugge la vera agricoltura; ma si può anche conoscere la sua capacità energetica, usandone le foglie per fare il thè.

Prendiamo le foglioline, fatte essiccare, poi lasciate all’umido e schiacciate in modo che comincino a fermentare; quando col caldo si ferma la fermentazione, si tritano e si fa un thè straordinario. Si mettono in bustine come thè al lampone biologico. Col lampone si possono anche fare sciroppi, macerati col miele, medicamenti. È la libertà di fare tutto: dal seme, al raccolto, ai mezzi di produzione, al prodotto trasformato, fino alla vendita diretta o con un solo intermediario.

La regina dei prati

Graziano invita a un rapporto atavico con le piante. Ad esempio la “regina dei prati”, che si chiamava anche spirea, non poteva essere una pianta qualsiasi, infatti cura l’influenza. Ma un chimico scoprì che conteneva l’acido salicilico, col quale ha fatto l’aspirina, che non ha l’energia della terra presente nella pianta, ben al di là dell’acido salicilico. Il sedano selvatico di montagna ha un profumo classico che colleghiamo con memorie antiche. La petunia ha un sapore familiare, anche se non la mangiamo più, ma il nostro istinto ricorda quando ne mangiavamo le foglie. La vite, oltre al vino, è importante per le foglie che fanno bene al fegato, o la linfa che fa bene alla mente. Anche l’alloro ha un messaggio: l’acqua di alloro sveglia un’energia dentro di noi. Il tanaceto ridesta l’interiorità e tiene lontani i parassiti dai capelli. Anche per le tinture, ci sono modi diversi di farle, oltre a immergere le erbe nell’alcool. Sono le fermentazioni in cui restano le tre componenti fondamentali della pianta: il sale come essenza biologica, lo zolfo cioè il sole, l’energia, ma anche il mercurio, cioè il remoto presente in ogni essere vivente.

Bisogna riattivare un rapporto diretto uomo-pianta, andando oltre la visione semplificata, esteriore, oggettiva.

Energia spirituale 

Per avere la forza spirituale, che cambia veramente le cose in noi, è importante trovare sia una concezione della terra e degli esseri viventi come quella espressa da Santa Ildegarda di Bingen nel manoscritto illustrato Le Opere Divine dell’uomo semplice, che spiega come ogni nostra opera, dalle Opere e i Giorni di Esiodo, può essere divina, cioè stare in armonia con la terra e il cosmo.

Oltre alla comprensione occorre, per questo tempo, una visione spirituale del nostro compito specifico nella ricostruzione di una società ecologica, qualcosa che ci riallacci alle origini e alla vera natura e vocazione del nostro Paese: tutte cose diverse dalle sole idee razionali chiare e distinte. Quello che conosciamo razionalmente lo prenderà anche la macchina informatica, ma abbiamo anche intuizioni e conoscenze che la macchina non può elaborare.

Subire l’obbligo del linguaggio digitale significa farsi vietare il rapporto diretto e atavico con le piante, rendersi ignoranti, farsi colonizzare da programmi sempre diversi, password, doveri di razionalità lineare. Abbiamo invece il diritto all’analfabetismo digitale, introduzione essenziale alla liberazione della nostra conoscenza.

 Contro l’opacità istituzionale

Fin dal primo anno, il 1984, la Fierucola ha chiesto alle istituzioni regionali, locali e nazionali di riconoscere e liberalizzare la piccola agricoltura poderale e contadina biologica. Si dava per scontata l’evidenza della qualità rinnovata di un’antica tradizione contadina sulla quale, per millenni, si è fondata la libertà, la lingua, il cibo e l’identità materiale del nostro paese. Trascuravamo che questa agricoltura era oggetto di guerra: ideologica, universitaria, pubblicitaria, politica, sindacale, legislativa, burocratica, scientifica, finanziaria, igienica e sanitaria, urbanistica, ambientalista contro tutto il mondo contadino.

La prima linea di questa guerra era formata da tutti e tre i sindacati, anche se uno di loro, dopo una quindicina di anni, si è messo a organizzare imitazioni della Fierucola per i suoi imprenditori, più o meno travestiti da contadini.

Questa guerra è combattuta dall’industria/impresa come esercito di occupazione della terra con tecnici, salariati, macchine sempre più grandi, pesticidi, sementi e piante in monocolture sempre più spinte e manipolate, campi sempre più grandi, automazioni sempre nuove, industrie di trasformazione alimentare e distribuzione centralizzate. Tutto ciò non è agricoltura: è colonizzazione industriale dei campi e del cibo. Se la pubblicità lo chiama progresso, non è progresso dell’agricoltura, bensì della tecnologia industriale, per abbassare i prezzi e aumentare i profitti delle industrie delle macchine e delle industrie di trasformazione alimentare, dei pesticidi, aumentando la estensione dei mercati e riducendo la qualità.

Gli agricoltori imprenditori sono sempre più in passivo, infatti per sopravvivere hanno sempre più bisogno dei finanziamenti dell’Ue, sono ricattati dalle banche, dai colossi della chimica, delle sementi, dai fabbricanti di macchine, dai colossi dell’agroalimentare e della distribuzione a cui si stanno aggiungendo i magnati del digitale.

Uno degli obbiettivi dell’industria della terra è di eliminare il più possibile la manodopera, fino a realizzare chimicamente in fabbrica latte, carne e altri cibi. Le innovazioni che vengono presentate, con l’agricoltura 4.0, come ecologiche – perché con l’elettronica doserebbero l’irrigazione, facendo risparmiare acqua – sono in realtà costosissime illusioni. Nell’elettronica nulla è ecologico, senza contare i danni gravissimi per fabbricare le tecnologie, i consumi di energia di questi strumenti sono immensi e fra pochi anni arriveranno ad assorbire metà dell’energia elettrica mondiale.

Dov’è l’amore per la nostra terra in simili catene di produzione? Davanti a questo complesso militare/industriale, ogni volta che parliamo di agricoltura contadina, l’ideologia diffusa ci guarda con commiserazione come nostalgici di mondi senza progresso.

Si guadagna il non speso

Cominciamo a chiamare artigiana la nostra agricoltura, perché è fatta da esseri umani, senza i costi delle tecnologie industriali e per fornire mercati locali con il cibo naturale di più alta qualità. Il vecchio proverbio era che nell’agricoltura si guadagna quello che non ci si spende. Esiste un progresso dell’agricoltura artigiana, cominciato con la biodinamica, seguito da varie agricolture biologiche, organiche, rigenerative, a cui ha portato una spinta rivoluzionaria Fukuoka. Infatti l’agricoltura naturale è il modello di un rapporto stretto fra umanità e natura, in cui il coltivatore ritrova l’importanza, anche se ridotta, del suo corpo per seminare e raccogliere, e un rapporto profondo col mercato locale con la capacità di battere l’industria non solo sui costi e sulla produttività, ma, volendo, sui prezzi.  Dopo Fukuoka sono nate altre forme, con la caratteristica di ridurre gradualmente a nulla, nel coltivare, l’uso di qualsiasi prodotto industriale.

Per diffondere l’agricoltura artigiana, bisogna agire su tutti i fronti, il che richiede un movimento: e cioè che il maggior numero di associazioni, comitati, gruppi ecologici e di varie forme di agricoltura senza chimica, pur restando impegnati nelle proprie attività, si accordino su obbiettivi identici, ognuno sostenendo gli stessi, pronti in certi casi a muoversi insieme, consapevoli che senza almeno un milione di nuovi abitanti attivi nelle campagne, la transizione ecologica è impossibile perché le mancano gli esseri umani con le conoscenze necessarie. E per la tecnologia industriale è impossibile realizzare un’economia totalmente ecologica.

 Muro delle istituzioni

Obbiettivi di un movimento per l’agricoltura artigiana sarebbero :

–      Riconoscere agli artigiani agro-ecologici il diritto all’analfabetismo burocratico e digitale.

–      Esentare, in mancanza di scopi speculativi, la nuova agricoltura artigiana  dall’iscrizione alla camera di commercio, consentendole libera vendita diretta su suolo pubblico.

–     Avviare, anche su iniziativa privata, cantieri per i nuovi insediamenti degli artigiani agricoli; i piccoli comuni, che scelgano una transizione ecologica radicale, possano impiegare disoccupati, operai in cassa integrazione, tirocinanti, studenti con borse di studio e immigrati.

–      Istituire il salario di contadinanza per i primi cinque anni di chi intraprende un’attività di nuova agricoltura artigiana.

–      Liberalizzare i patti fra proprietà e conduttori e liberalizzare i rapporti di volontariato in agricoltura artigiana.

–      Aprire un nuovo catasto agricolo coi terreni in agricoltura artigiana.

–      Leggi e regolamenti vigenti per l’agricoltura restino in vigore per quella industriale. Un nuovo codice regoli l’agricoltura artigiana.

Ciò ha bisogno di unione e non solo fra appassionati agricoltori, ma costruendo aggregazioni locali, che si occupino del loro territorio e di come migliorarne il governo, in rete con aggregazioni simili. Un movimento del genere può pungolare istituzioni locali, regionali e nazionali, che si troveranno a che fare con reti di cittadinanza attiva, pronta ad agire oltre che a chiedere.

L’obbiettivo del diritto all’analfabetismo burocratico e digitale può essere condiviso con tanti fuori dall’agricoltura, possibili alleati anche nelle battaglie dell’agricoltura artigiana e per la transizione ecologica, che ha bisogno della liberalizzazione e della difesa di ogni genere di artigianato.

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