Heliopolis/21. Intelligenza artificiale e il superamento del homo faber

Si va verso la dissoluzione della figura del lavoratore, senza avere saputo immaginare nessun modello alternativo

Heinrich Hoerle, Der Arbeiter, 1922-23

Un amico di rientro da un viaggio in Cina si è sperticato in lodi sul modello della società asiatica. “Noi abbiamo perso, quelli stanno avanti”. Mi dice, raccontando di una funzionalità tecnologica e sociologica pressoché perfette. “Si certo, umanamente restano molto rozzi”. Ma che te ne fai della cultura oggi?

Un collega di lavoro, di base a Londra, mi racconta che nella City la IA – AI, grazie a Chat Gpt, moltissime pratiche legali vengano ormai smaltite senza la necessità di assumere avvocati. Una buona cosa, penso io. Altro che separazione delle carriere in magistratura…

Una conoscente rientra da un viaggio negli Usa. E’ rimasta molto affascinata da certo progresso tecnologico dopo aver preso ben due taxi senza guidatore: viaggi sorprendentemente confortevoli per quanto estranianti. Con tono un poco preoccupato mi dice: “ma che fine faranno i lavoratori?”. Ah beh…

La robotizzazione è a tutti gli effetti un percorso affascinante. Non si può negare che porti con sé la fine della società liberale basata sulla divisione del lavoro. Fa un po’ specie come una società evoluta come la nostra, così attenta nel progredire da un punto di vista tecnico, non sia minimamente attenta e competente nel pianificare il percorso sociologico verso un mondo privo di lavoro.

L’homo faber corre verso il superamento dell’homo faber, senza avere saputo immaginare nessun modello alternativo. L’assenza di sogni del nichilismo ha posto fine all’epoca delle utopie, delle grandi catastrofi, lasciando la dura realtà sfogarsi in piccoli conflitti regionali. Per contro, ci ha donato una depressione spirituale, una incapacità emotiva, di connessione, una consapevolezza d’inutilità che per molti aspetti rassomiglia non tanto ad una guerra, ma ad un vero e proprio inferno.

Siamo schiavi in attesa di essere eliminati? Rimpiango, dunque, l’ottimismo jungeriano con cui sono cresciuto. Non tanto quello eroico presente nell’Operaio. Piuttosto quello arguto, pacifico, dello Stato Mondiale, de Al Muro del Tempo: l’era della Rete come attraversamento quantico verso l’Era dell’Acquario. La nuova età dell’oro.

In questo senso mi trovo ancora felice nel gettare per terra queste quattro righe: mi sorprendo ancora ad immaginare un ruolo per gli Intellettuali, nella costruzione di un socialismo spirituale, non più un socialismo dal volto umano, non più un socialismo prussiano, ma un socialismo spirituale. Un socialismo stoico.

Consigliatissimo, in tale senso, l’ultimo libro di Federico Faggin, figlio di un grande neoplatonico, inventore del microprocessore e del touch screen, uomo straordinario, italiano per me arci-italiano, che appunto in Oltre l’Invisibile (Mondadori – 2024) , coglie in modo assoluto il legame evidente fra scienza e spiritualità.

Lo Stato mondiale ha due possibili riuscite: faraonati globali fatti di violenza e dominio; società complesse, comunitarie, pacifiche. Non ci sarà via di mezzo dopo la distruzione tecnologica inevitabile delle basi reali del capitalismo: lavoro – salario – valore.

Giacomo Petrella

Giacomo Petrella su Barbadillo.it

Exit mobile version