“Le molte vite di Céline, medico di periferia, bohémien e fuorilegge”

Andrea Lombardi, tra i massimi studiosi italiani del gigante francese, racconta i suoi studi e l'attualità dell'autore de Viaggio al termine della notte

Louis Ferdinand Céline

Louis-Ferdinand Céline: “Chi parla dell’avvenire è un cialtrone, è l’adesso che conta. Invocare i posteri, è parlare ai vermi.”

Andrea Lombardi, appassionato di storia e letteratura del ‘900, è il titolare della casa editrice Italia Storica Edizioni. Nel catalogo i libri di militari coinvolti nelle vicende belliche, preziose testimonianze che aspergono sprazzi di luce sulla storia offuscata dal tempo e dalla cattiva memoria. Conosciamo la sua passione per lo scrittore Louis-Ferdinand Céline e su questo vogliamo indagare. Andrea è un giovane biondo dall’aspetto garibaldino. Sembra appena sceso dal Panzer di un suo libro, lo stringiamo d’assedio.

Come è avvenuto il tuo incontro con Céline?

“Conobbi Céline, come molti, attraverso il Viaggio al termine della notte leggendolo piuttosto da giovane, quindi nella migliore condizione perché questo libro mi mostrasse la vita per quella che è. Dopo, si è troppo pieni di se, troppo furbi, troppo stanchi, per capire a fondo Céline.

Al di là delle sue innovazioni stilistiche, dal francese popolare e l’argot dei suoi primi due romanzi, del vortice picaresco del Ponte di Londra, della petite musique e della Finis Europae della Trilogia del Nord, il Céline che preferisco è quello di Mea Culpa – lì, più che negli altri pamphlet, lì è proprio solo contro tutti. Lì mette veramente l’uomo davanti a se stesso, e non è un bello spettacolo:

In un paio di secoli, pazzo d’orgoglio, dilatato dalla meccanica, è diventato impossibile. E così lo vediamo oggi, stravolto, saturo, ubriaco d’alcol, di petrolio, diffidente, pretenzioso, universo col potere in secondi! Sbarellato, smisurato, irrimediabile, montone e toro mischiati insieme, anche un po’ iena magari. Graziosissimo. Il minimo impraticabile buco del culo si vede Giove allo specchio.

Andrea Lombardi

Chi è Céline?

“Louis-Ferdinand Destouches (1894-1961) in arte Céline, dal nome della sua nonna materna Céline Guilloux, fu un uomo dalle molte vite: corazziere decorato nella prima guerra mondiale, impiegato in una ambasciata, direttore di piantagioni, membro di una commissione sanitaria della Società delle Nazioni, medico di periferia e bohémien, scrittore di successo e rivoluzionario dello stile, infine “collaborazionista” e reprobo.

Céline è stato uno scrittore spesso strumentalizzato in un certo ambiente, che lo ha idolatrato per i suoi cosiddetti “pamphlet antisemiti”, specialmente Bagatelle per un massacro, e anche, e non solo, per questi pamphlet, spesso più citati che letti, è stato invece osteggiato da parte della sinistra.

Entrambe queste visioni ci paiono sostanzialmente errate, non tanto sul punto in particolare, che merita certamente un approfondimento, ma sull’aspetto generale: si fa il maggior torto possibile a Louis-Ferdinand Céline non pensando a lui principalmente come ad uno dei maggiori scrittori del ‘900, un fuorilegge della letteratura capace di rivoluzionare il linguaggio – non una ma ben due volte –, riducendolo invece a un mero feticcio delle proprie visioni ideologiche.

Perché Céline fu rivoluzionario due volte; la prima con il Viaggio al termine della notte, dove in un’epoca nella quale gli scrittori francesi facevano a gara a chi scriveva nel francese più raffinato e cristallino possibile, “alla Proust” diremmo, l’allora quarantenne Docteur Destouches scrisse questo libro nel francese popolare e con una venatura di argot, lo slang dei bassifondi, degli ultimi delle periferie e della malavita parigina.

La seconda fu portata a compimento da Céline nella Trilogia del Nord, pubblicata nel secondo dopoguerra: Da un castello all’altro, Nord e Rigodon, dove lo scrittore francese sperimenta la sua petite musique, la “piccola musica” della scrittura emozionale, ossia il tentativo – riuscito – di rendere nella parola stampata e bidimensionale, il ritmo, l’enfasi e le pause del parlato, questo con l’uso spregiudicato dei segni d’interpunzione, dei punti esclamativi e di sospensione, e attraverso un complesso lavoro di costruzione del testo, che portava Céline a scrivere e riscrivere più volte una singola frase, capoverso o pagina, fino a quando il ritmo giusto fosse stato raggiunto.

Un altro errore comune è fare un calco diretto tra i protagonisti dei suoi romanzi – che sono quasi tutti parzialmente autobiografici – e la sua vita reale, visto che raramente esiste una corrispondenza totale tra questi due piani”.

Giampiero Mughini con Andrea Lombardi

Céline e il suo modo di scrivere. È un sasso scagliato nello stagno letterario francese. Come sono state accolte le sue opere?

“Viaggio al termine della notte, il suo primo romanzo da esordiente del 1932, rifiutato da Gallimard, poi suo editore nel secondo dopoguerra, e edito da Robert Denoe͏̈l, assassinato in circostanze mai chiarite a Parigi il 2 dicembre 1945, fu uno straordinario successo di critica e di pubblico, sia per lo stile, che per la trama, ripercorrente in maniera romanzata le sue esperienze in tutti i traumi del ‘900, in effetti: la guerra, il colonialismo, il fordismo negli USA, l’umanità disperata e disperante delle banlieue nelle società liberali. Non a caso fu subito avvicinato dall’Intelligencija di sinistra francese, da Sartre ad Aragon, ma lui rifiutò sia quell’engagement che l’altrettanto redditizio, editorialmente parlando, sedersi nei salotti buoni della letteratura, rimanendo sostanzialmente, a mio parere, un conservatore nel pubblico e un libertario nel privato. Morte a credito si vendette bene, ma non come il primo libro, cosa che spronò Céline a insistere ancora nel rivoluzionare il suo stile. I libri del secondo dopoguerra ebbero inizialmente scarse tirature, sino al ritorno al successo con la Trilogia del Nord, a iniziare da Un castello all’altro del 1957, che lo rilanciò al grande pubblico e all’attenzione della critica, complice anche una sua formidabile intervista alla giovane giornalista Madeleine Chapsal per “L’Express” I suoi inediti, ritrovati recentemente e pubblicati da Gallimard – il primo, Guerre, è uscito l’anno scorso per Adelphi nella traduzione di Ottavio Fatica – si stanno vendendo in Francia in centinaia di migliaia di copie”. 

Il nodo della matassa, il suo antisemitismo. Scrive pamphlet di odio per gli ebrei, tra questi “Bagatelles” definito infernale. Per Gide un gioco letterario.

“Considerato il primo dei cosiddetti “pamphlet antisemiti” assieme ai successivi L’école des cadavres (La scuola di cadaveri) del 1938 e Les beaux draps (La bella rogna), pubblicato nel 1941 dopo la disfatta della Francia, Bagatelle può difficilmente essere definito solo un pamphlet. Prima di tutto per la sua lunghezza; un pamphlet è sì un testo violento e incendiario, ma per sua definizione breve, di poche decine di pagine scritte di getto, mentre Bagatelle è un vero e proprio libro, dal testo accuratamente steso da Céline che qui, come riconosciuto dalla critica più accorta, sperimenta e sottopone al banco di prova la scrittura emozionale, la sua seconda rivoluzione stilistica. Inoltre, se il bersaglio principale dell’invettiva céliniana è il popolo ebraico, nei tre pamphlet Céline attacca con pari violenza la Chiesa cattolica, i regimi comunisti e fascisti, Vichy e Pétain, la società borghese e il “proletariato”, il sistema scolastico che opprime la spontaneità dei giovani, e in generale la da lui percepita decadenza della nazione francese, tutto questo inframezzato da parti romanzate e da balletti (!).

Il contesto della scrittura di Bagatelle per un massacro dove sottolineiamo come il “massacro” non sia quello degli ebrei ma dei francesi ed europei nella guerra, quella passata e quella che Céline vede profilarsi all’orizzonte, è poi quello degli anni 1936-1938, con la fine del Rapprochement, del riavvicinamento postbellico tra Francia e Germania, causato dalla crescente ostilità verso la Germania divenuta nazionalsocialista da parte dei governi del “Fronte popolare” e del primo ministro Leon Blum, di origine ebraica; e della Guerra di Spagna, conflitto preconizzante negli schieramenti la seconda guerra mondiale.

Detto questo, ci pare ovvio scrivere che sì, Céline era antisemita. In un senso piccolo borghese, oggi diremmo “populista”, nel solco d’altro canto da una locale robusta tradizione nazionalista, da Drumont al caso Dreyfus, e cattolica e anche socialista, vedi gli scritti di Proudhon e Jaures, e infatti le accuse e rivendicazioni antisemite più o meno complottiste che Céline inserì in Bagatelle furono in massima parte da lui ricopiate da pamphlet e fogli antisemiti francesi largamente diffusi in quegli anni.

Notiamo infine come i nazionalsocialisti tedeschi ritennero i “pamphlet antisemiti” di Céline di nessuna utilità in tal senso, a causa proprio della loro virulenza strabordante nel nonsense, come rilevato dagli studi sull’argomento di Joseph Jurt e Alain de Benoist”.

Nel 1934 va in California a cercare l’amata ballerina Elizabeth Craig. La trova sposata con un ricco ebreo. Da questa data compone libelli contro gli ebrei. Il tradimento di Elizabeth può avere influito?

“No, non credo. Altri vedono nel suo superiore quando era medico alla Società delle Nazioni, il Dottor Rajchman, ebreo e che farà comparire parodiandolo nel suo testo teatrale La Chiesa (scritto nel 1926-1927 ma pubblicato nel 1933), una delle sue “influenze” antisemite. Dall’altra parte appare invece nel manoscritto inedito Londres un medico ebreo, Yugenbitz, che è invece un personaggio positivo.

Getto legna nel fuoco. Pound e Céline, i due perseguitati…

“Perseguitati e condividono l’esperienza carceraria, e in seguito l’auto esilio. E condividono anche quel travisamento del quale parlavo all’inizio, con Pound osteggiato da sinistra perché “fascista” per le sue trasmissioni radio dall’Italia mussoliniana e “antisemita”, e spesso ridotto a solo questo o ai suoi scritti sulle banche e sul signoraggio da una certa destra, che magari ignora completamente quell’opera poetica monumentale, eterna e rivoluzionaria che sono i suoi Cantos”.

Céline scrive usando l’argot, il gergo della miseria, della rivolta. Un linguaggio inventato, un parlato riscritto. Le traduzioni riescono a conservare  il suo  pathos?

“In larga parte sì, da Ferrero a Gugliemi, per esempio. Fallisce invece Caproni con Morte a credito, usando i toscanismi per replicare l’argot, che non è un dialetto ma uno slang, e uno slang che “viene dall’odio””.

Céline nella stagione attuale. Estimatori, detrattori e mercato.

“Come accennato sopra, Céline vende bene ancora adesso, anche ma non solo grazie al “traino” degli inediti. Quanto alla critica, dopo un periodo di oblio nei primi anni dopo la sua morte – rotto dal magnifico libro di Dominique de Roux La morte di Céline, un flusso di lettura sul grande scrittore francese e sul ‘900 stesso – Céline è stato gradatamente riscoperto  negli anni 1970-1980, sino a un vero e proprio boom nei primi anni 2000 in Francia, con DVD, ristampe, tesi di laurea, opere teatrali, fumetti, film, etc. Ora soffre un po’ per il politicamente corretto e il Woke, ma nel solito ambito accademico-critico letterario: le vendite parlano chiaro, e spesso sono di nuovi lettori, anche giovani e giovanissimi”.

Perché leggere Céline.

“Perché è un fuorilegge della letteratura e perché ti distrugge le illusioni della vita”.

Ci congediamo con Celine: “L’essenziale! Un’intervista che non farà scintille! Puttanata d’un’intervista!” (Colloqui con il professor Y)

Gianfranco Andorno

Gianfranco Andorno su Barbadillo.it

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