Il Toro sulla vetta della Serie A dopo 47 anni

E tra i tifosi scoppia l'amore per Paolo Vanoli e il suo modulo, già ribattezzato Vanolismo

L’ultima volta che è accaduto il papa era Paolo VI, a Palazzo Chigi governava Giulio Andreotti, Jimmy Carter era appena stato nominato presidente degli Stati Uniti e a Torino si apriva il primo maxi-processo alle Brigate rosse. All’epoca l’attacco granata era formato dai “gemelli del gol” Pulici e Graziani e si appoggiava alle invenzioni del “poeta” Claudio Sala. Era il 1977.

Sono passati oltre 47 anni da quando il Torino conquistò il primo posto in classifica da solo, al comando della serie A. E l’impresa di ritornare in vetta, per quanto effimera, è merito soprattutto di Paolo Vanoli (in foto), varesino, 52 anni, alla sua prima esperienza di allenatore in massima divisione. Dopo cinque partite la squadra granata ha totalizzato 11 punti (tre vittorie e due pareggi) e precede di misura Napoli e Udinese, a 10 punti, con la Juventus staccata di due lunghezze. Un primato che durerà almeno fino al prossimo turno, quando il Torino affronterà la Lazio.

Per quanto tutti sappiano che non durerà a lungo, a Torino è già scoppiata la passione per il Vanolismo, neologismo giornalistico che l’interessato rifiuta ma che in città ormai molti adottano come simbolo del nuovo corso del Toro, al di là della momentanea posizione di classifica. Vanolismo per i tifosi granata significa spensieratezza, tenacia, umiltà, volontà di giocare per vincere, verticalizzazioni e al tempo stesso profondo attaccamento alla maglia e alla storia unica e gloriosa del club. Tutte qualità che sembravano smarrite da decenni e che in soli due mesi Paolo Vanoli ha saputo incarnare alla perfezione, come prima di lui seppero fare solo pochi allenatori granata.

Tra i tifosi meno giovani si sprecano gli accostamenti con Gustavo Giagnoni (come Vanoli arrivato nel 1971 dalla serie B) ed Emiliano Mondonico, l’ultimo peraltro a saper vincere un trofeo all’ombra della Mole (la Coppa Italia del 1993). Invece il paragone con Gigi Radice, vincitore dello storico scudetto del 1976, che per alcuni anni seppe mantenere in Torino tra le prime quattro squadre italiane, per il momento può aspettare.

Il miracolo (temporaneo) di Vanoli è stato quello di aver preso in mano una squadra che a metà agosto sembrava allo sbando, lacerata da una contestazione senza precedenti al presidente Urbano Cairo (diciannove anni alla testa del club senza mai schiodarsi dalla mediocrità, acuita da una sudditanza imbarazzante nei confronti del “cugini” bianconeri: una sola vittoria nel derby, ottenendo l’umiliante primato di essere la squadra di serie A che in questo periodo ha fatto meno punti giocando contro la Juve) e indebolita da una campagna di acquisti senza capo né coda, che ha smantellato la difesa con le cessioni milionarie dei nazionali Buongiorno e Bellanova (a campionato iniziato), gli addii degli esperti Rodriguez e Djidji e il lungo infortunio dell’olandese Schuurs.

Per molte settimane Vanoli ha dovuto allenare una squadra senza nuovi acquisti, ad eccezione degli sconosciuti Coco, difensore ispano-guineano pescato nelle Canarie, e lo svincolato Ché Adams, attaccante scozzese in arrivo dalla serie B inglese. Il tecnico lombardo non ha battuto ciglio, non ha sbraitato, come invece avrebbe fatto il suo predecessore Ivan Juric. Però ha fatto subito capire di non essere uno yes-man senza spina dorsale e in modo educato ha messo Cairo spalle al muro: «Non sono stato informato della cessione di Bellanova. Quando una società vende un giocatore a mia insaputa, è inutile cercare spiegazioni. Non sono abituato a piangermi addosso. Non sono d’accordo su questa vendita, ma alzo la testa e vado avanti. Ho detto al presidente in faccia ciò che penso. Non mi piace la mediocrità. Ho detto al presidente chi era Vanoli e alla società di avere più coraggio e di tirare fuori tutte le potenzialità».

Risultato? La piazza si è stretta intorno all’allenatore, ha contestato Cairo come non era mai accaduto prima e fino ad oggi il presidente non si è ancora fatto vedere allo stadio, né in casa né in trasferta. Visti i risultati, molti sperano che non si faccia vivo per l’intero campionato. Nel frattempo Vanoli ha adattato a centrale il terzino Vojvoda, ha dato la maglia di titolare a Masina (che a Udine faceva la riserva) e ha lanciato Coco, che è sempre stato tra i migliori in campo e a Venezia ha siglato anche il gol della vittoria. Poi ha dato le chiavi del centrocampo all’azzurro Samuele Ricci, e in attacco ha fatto ruotare Adams e Sanabria intorno al talismano – e capitano – Duvan Zapata (in foto), che a Torino sta vivendo una nuova giovinezza.

Come di consueto gli ulteriori acquisti di Cairo sono arrivati negli ultimi due giorni di calciomercato (Walukiewicz, Maripàn, Borna Sosa e Pedersen), usando gli spiccioli del tesoretto incassati per le cessioni di Buongiorno e Bellanova (55 milioni). Buoni professionisti, ma di certo non in grado di far fare un salto di qualità alla squadra, infatti la contestazione dura della tifoseria è proseguita e a quanto pare continuerà per tutto il campionato; anche se l’appoggio a tecnico e giocatori non è mai mancato.

Al di là dell’episodico primo posto, che comunque è già un piccolo fatto memorabile, ora Vanoli ha la possibilità di scrivere la storia del Toro plasmando una squadra che negli ultimi anni non ha mai saputo uscire da posizioni insignificanti, anzi per due volte (nel 2020 e 2021) ha rischiato di brutto la retrocessione, incassando due umilianti batoste storiche in casa contro Atalanta e Milan (0 – 7). Anche le ultime apparizioni nelle coppe europee (nel 2015 con Ventura in panchina e nel 2020 con Mazzarri) erano sembrate più che altro fortunate coincidenze, grazie alle squalifiche del Parma e del Milan.

Certo, a Torino nessuno si illude e c’è consapevolezza dei limiti della rosa, che di sicuro è di gran lunga inferiore a quelle dei club più prestigiosi che lotteranno per scudetto e Champions League. Tuttavia sognare non è proibito, anche perché alcune squadre che lo scorso anno sono arrivate davanti al Torino (Bologna, Roma, Lazio, Fiorentina) sono partite con il freno a mano tirato. E chissà che il Vanolismo non regali ai tifosi granata anche una vittoria nel derby della Mole, che manca ormai dal 2015.

Quel che è certo è che il calcio italiano sentirà ancora parlare a lungo di Paolo Vanoli, un outsider arrivato in serie A dopo una lunga gavetta fatta soprattutto di collaborazioni con altri tecnici. Dopo aver allenato le nazionali under 16 e under 17, nel 2016 l’allenatore del Torino è stato assistente di Ventura nella nazionale italiana e lo stesso anno è arrivato secondo agli Europei under 19 vinti dalla Francia. Poi per quattro anni è stato il secondo di Antonio Conte prima al Chelsea e in seguito all’Inter. Nel 2021 assume la guida dello Spartak Mosca, club con il quale vince la Coppa di Russia, ma lascia l’incarico quando scoppia la guerra con l’Ucraina.

Torna in Italia e nel novembre 2022 riparte dalla serie B, prendendo in corsa il Venezia, penultimo, portandolo fino ai playoff. Lo scorso anno conduce i lagunari alla promozione dopo una lunga cavalcata culminata con la vittoria ai playoff contro la Cremonese, finché arriva la chiamata dal Torino. Che Vanoli accetta con entusiasmo: «Il Toro rappresenta la storia del nostro mondo calcistico, io sono veramente orgoglioso di poterla rappresentare», sono state le sue prime parole. «Sono stato un giocatore (Verona, Parma, Fiorentina, Bologna, Rangers, ndr). Quando ho iniziato a fare questo lavoro, tutti mi parlavano del Grande Torino e di un posto magico come Superga. Quando vado a lavorare in un club, voglio capirne la storia, quindi la prima cosa che ho chiesto è stato di andare, insieme al mio staff, a capire cosa voleva dire Superga. Quando sono arrivato ho provato una sensazione incredibile».

La Torino granata si augura che l’epopea del Vanolismo sia appena incominciata.

Giorgio Ballario

Giorgio Ballario su Barbadillo.it

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