Un maestro sul fronte albanese: la memoria familiare di Francesco Innella

Il testo si intrattiene su un decennio decisivo della storia d’Italia e d’Europa, quello che muove dal 1935 per giungere al 1945. Narra, altresì, l’impegno politico-sindacale di Pietro Innella nel dopoguerra

La storia del Novecento, con le sue tragedie e la sua grandezza, è stata ampiamente discussa. Gli eventi drammatici che l’hanno determinata sono stati interpretati nelle modalità più disparate. Oltre la Grande storia, che ha per protagonisti uomini di Stato e personaggi illustri, esiste, si badi, anche la storia minore, i cui protagonisti sono, per il grande pubblico, degli sconosciti. Francesco Innella, scrittore di vaglia e studioso di Michelstaedter, nella sua ultima fatica, Un maestro sul fronte albanese  nelle librerie per Amazon (pp. 96), ci immette nelle vicende che videro coinvolto suo padre Pietro.

Si tratta, pertanto, di una storia familiare, in cui vengono attraversati i casi personali di una vita, grazie al ricordo dei racconti di Pietro e al lascito delle sue memorie scritte, e gli eventi del secolo XX. Il libro è impreziosito dalla presentazione di Fabio Paolucci e da un ricco apparto fotografico.

Il testo si intrattiene su un decennio decisivo della storia d’Italia e d’Europa, quello che muove dal 1935 per giungere al 1945. Narra, altresì, l’impegno politico-sindacale di Pietro Innella nel dopoguerra. Questi, nacque nel 1914 ad Oliveto di Lucania, un paese collinare che si erge alle pendici del monte Croccia. Diplomatosi maestro, all’età di 22 anni aderì al fascismo, ricoprendo incarichi di un certo rilievo nel PNF locale. Uomo mite, benevolo e cortese, condusse una vita sobria, i cui valori di riferimento furono, in ogni momento, gli affetti più intimi e la ricerca della giustizia sociale. Fu coinvolto drammaticamente, suo malgrado, come molti della sua generazione, nel dramma della guerra. Fu chiamato alle armi, una prima volta, il 3 marzo del 1942 ma, per una malattia, contratta per ragioni di servizio, non poté raggiungere il Battaglione cui era stato assegnato. Ne approfittò per conseguire l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole primarie, professione per la quale si sentiva vocato. Ottenne la cattedra presso la scuola del paese natale.

Nel 1943 fu inviato sul fronte albanese e raggiunse il suo Battaglione, dopo lo sbarco a Durazzo, ad Argirocastro. Con il sopraggiungere della data infausta dell’ 8 di settembre fu imbarcato sulla nave passeggeri “Mameli”, diretta a Trieste. La traversata fu funestata da mitragliamenti e bombardamenti anglo-americani. Il terrore dell’affondamento si impadronì dall’uomo (che non sapeva nuotare) e dei suoi commilitoni e venne meno solo con lo sbarco nella città giuliana. Trieste, in quel periodo, era dilaniata da brutali scontri bellici. La vita quotidiana era un incubo: prima i rastrellamenti tedeschi e, successivamente, l’arrivo delle bande di Tito. Pietro: «fu avviato insieme ad altri soldati italiani nel campo “Silos” KGF Lager» (p. 32), dove cercò di sopravvivere, come poteva, al duro lavoro, agli stenti alimentari e alle percosse: «Una volta mio padre rischiò di essere fucilato […] con l’accusa di aver rubato delle coperte» (p. 36). Riuscì a fuggire rocambolescamente, trovando provvisorio ricovero presso l’abitazione di un parete che risiedeva in città.

Decise di aderire alla resistenza, agendo nelle retrovie e collaborando con la Brigata Osoppo, i cui membri furono massacrati a Porzûs da gappisti comunisti. Pietro non era certo uomo che avrebbe potuto partecipare ad azioni violente. Dopo quelle giornate concitate poté far ritorno a Matera, venendo sottoposto a un interrogatorio di discriminazione, dal quale non risultò nulla a suo carico. Laureatosi in Pedagogia, insegnò in un Istituto magistrale di Salerno e aderì al sindacato UNIUS, mirantea valorizzare il lavoro delle casalinghe. Poco dopo, ne fu elettoSegretario: la sua azione, in tale ambito, voleva salvaguardare il ruolo della donna quale caposaldo dell’unità familiare e la famiglia stessa quale cellula imprescindibile della società. Si batté contri i latifondisti e, dopo aver aderito al PSI, durante un comizio a favore dei contadini, subì un attentato ordito da un proprietario terriero. A ben vedere, la sua adesione al fascismo era motivata, come quella posteriore al PSI, dalla ricerca della giustizia sociale. Nell’espletamento della funzione di Sindaco a Oliveto realizzò numerose  opere pubbliche.

L’ultimo capitolo del libro, ricorda le sue ricerche in ambito antropologico ed etnologico, sintoniche a quelle di Carlo Levi ed Ernesto De Martino. I suoi studi in tema chiariscono l’esistenza di un Sud eterno, magico, che Pietro aveva iniziato a conoscere nelle sere d’inverno della sua infanzia, attraverso i racconti che ascoltava in famiglia. Da essi si evinceva l’esistenza di una natura animata da potenze e spiriti. Ricorda, in particolare: «l’usanza, diffusa un po’ in tutto il meridione, di lasciare di notte il morto solo per permettere la visita di altri defunti» (p. 69). Un mondo nel quale avevano funzione essenziale le “streghe”, la magia bianca e nera, ancorato al passato ancestrale dei popoli italici.

Il lessico familiare di Innella, consente non solo di riannodare la storia minore alla Grande storia, ma di entrare nei recessi della cultura mediterranea. Testimonianza, per questo, di rilevante portata.

Giovanni Sessa

Giovanni Sessa su Barbadillo.it

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