Oltre gli slogan, ecco perché non c’è (ancora) pace in Ucraina

L'analisi di Roberto Zavaglia: "Occorre cambiare angolo di visuale se si vuole la fine del conflitto"

Ucraina e Russia

Con il dittatore sanguinario Putin non si tratta! Bisogna riaffermare il diritto internazionale: l’Ucraina deve tornare ai suoi confini, Crimea compresa, di prima dell’invasione russa! Occorre mobilitarsi sempre più per garantire ogni forma di assistenza, prima di tutto militare, a Kiev perché difenda l’Europa, poiché si trova in prima linea contro le brame dell’orso russo! E’ riassumibile in questi slogan la postura politica dell’Occidente rispetto alla situazione in Ucraina, a 32 mesi dall’inizio del conflitto. Al di là di ogni giudizio di merito, si può dire che si tratta di una posizione del tutto irrealistica, contraria alla realtà sul campo.

La propaganda atlantista, che si era esaltata per la “controffensiva ucraina”, poi finita in niente, batte all’unisono la grancassa della futura vittoria dei “difensori della libertà” ma non riesce del tutto a nascondere la verità dei fatti: l’esercito russo continua, certo lentamente, ad avanzare in Donbass, mentre gli ucraini sono in  grave difficoltà sotto ogni aspetto. Tanto per fare un esempio, è recentemente caduta la cittadina mineraria di Vuhledar a sud di Donetsk, considerata dagli esperti un punto chiave del conflitto. La nuova restrittiva legge sul reclutamento militare del governo Zelensky è un altro sintomo di disperazione. Si raschia il barile per sopperire alla mancanza crescente di soldati: la polizia fa retate nelle discoteche, nei bar, sugli autobus per catturare giovani e meno giovani da mandare in prima linea senza nessuna esperienza e preparazione. Finito l’entusiasmo dei primi tempi, con migliaia di volontari corsi ad arruolarsi, la popolazione ucraina manifesta evidenti segni di insofferenza e una parte sempre più cospicua di essa ritiene che occorra trattare con Mosca per ottenere una tregua, anche a costo di perdite territoriali non marginali.

Va ricordata poi la crisi demografica dell’Ucraina che al momento dell’indipendenza dall’Urss contava 51 milioni di abitanti, mentre oggi sono molto meno: alcune ricerche indicano addirittura 25 milioni. Ciò deriva dalla grande emigrazione che prosegue da decenni a causa del disastro economico del Paese che non è riuscito a costruire una realtà produttiva efficiente anche per la enorme corruzione e l’incapacità della direzione politica. Prima dell’attacco russo, l’Ucraina poteva essere definita uno Stato fallito dal punto di vista economico, poi, con la guerra, altri milioni di lavoratori sono scappati dal Paese.

Gli analisti militari più schietti sanno bene che ci sono alle viste solo due possibile scenari: una vittoria totale russa nel medio periodo o una lunghissima guerra in cui la difesa ucraina potrebbe solo rallentare per lungo tempo l’avanzata del nemico. La vittoria ucraina non è contemplata  Eppure, si finge di credere a Zelensky che continua il giro del mondo offrendo, da buon imbonitore di miracolose illusioni, il suo piano per una vittoria entro il 2025. Del resto, anche in Occidente, chi è veramente consapevole della situazione sa come stanno le cose. Nel corso di una seduta del Congresso statunitense per approvare un ennesimo pacchetto di aiuti militari a Kiev, il direttore della Cia William Burns ha dichiarato che tali risorse sarebbero servite “agli ucraini per resistere per il resto del 2024”, aggiungendo che “il quadro attuale è disastroso”. Si tratta, quindi, non di avere una prospettiva di vittoria, ma di prolungare la guerra il più possibile.

Stati Uniti ed Europa devono quasi esaurire i propri armamenti  per far sì che ci si continui inutilmente a massacrare in una guerra in cui i caduti si contano ormai a centinaia di migliaia. Quello che Putin chiama l’Occidente collettivo si ammanta di discorsi umanitari sulla tragedia di un Paese aggredito, ma in realtà se ne frega di quanti vengono macellati nelle trincee, in un conflitto che, per alcuni versi, ricorda la carneficina della Prima guerra mondiale. Bisogna andare avanti per difendere i valori occidentali fino all’ultimo ucraino, tanto non siamo noi a crepare… Ci sarebbe da sorprendersi per tanto cinismo, se le cosiddette democrazie liberali non ci avessero abituato da tempo a verniciare di buoni sentimenti altri atteggiamenti simili.

Per sperare di porre fine alla mattanza  in atto, bisognerebbe innanzi tutto cambiare drasticamente il modo di giudicare la situazione precedente all’azione militare russa nel febbraio 2022. Se si continua solo a pensare che Putin sia un pazzo criminale, pronto a invadere tutti i Paesi vicini e lontani, non c’è la possibilità di immaginare una via d’uscita. Bisogna almeno ricordare che quasi la metà della popolazione dell’Ucraina, al momento dell’indipendenza, era di etnia russa e che il 90% di essa parlava la lingua di Tolstoj. Molto sinteticamente, occorre poi tenere presenti alcuni fatti avvenuti prima della guerra odierna. Nel febbraio del 2014 si è verificato a Kiev un colpo di Stato ( da noi spacciato come la rivolta popolare di Euromaidan) che ha portato a una destituzione del presidente Janukovich che era stato regolarmente eletto ed era in buoni rapporti con Mosca. Da quel momento l’Ucraina è andata trasformandosi in un anti Russia, con pesanti conseguenze per una vasta parte di cittadini, tanto che la popolazione di Donetsk e di Lugansk si è ribellata, fondando due repubbliche indipendenti subito entrate in conflitto con Kiev. Gli accordi di Minsk, mediati dagli occidentali, avrebbero dovuto portare a una pacificazione, ma sono subito stati trasgrediti da entrambe le parti, specialmente dagli ucraini. Del resto, Angela Merkel ha dichiarato di avere appoggiato quelle trattative solo per dare all’Ucraina il tempo di rafforzarsi militarmente. Già da allora, l’Occidente voleva dunque armare Kiev per stroncare ogni autonomia e libertà della popolazione russa.

  Prima dell’attacco russo, era in preparazione un’importante offensiva contro le due neonate repubbliche che erano e sono duramente bombardate quotidianamente, ma dei morti civili in quelle terre non parla nessuno. A partire da questi semplici dati, non risulta così irrazionale e folle la decisione di Putin di passare alle armi per difendere i propri connazionali oltre confine. Sappiamo che il regime russo, a torto o a ragione, ha come uno dei suoi obiettivi principali quello di tutelare il Russkiy Mir , il mondo russo anche al di là dei confini statali. Era chiaro, quindi che, di fronte all’intransigenza del neonazionalismo ucraino -che si ispira, di fatto, a Stepan Bandera (una patria ucraina pura etnicamente), che collaborò con gli eserciti dell’Asse in funzione antisovietica- la Russia si sarebbe prima o poi mossa. Oggi la posta in gioco è molto più ampia di Donestsk e Lugansk, ma riguarda tutta la Novorossija, ovvero i territori annessi dall’impero russo alla fine del Settecento.

Putin, con un clamoroso errore, pensava di sbarazzarsi facilmente del governo e dell’esercito ucraini, ma di fronte alla situazione in cui si era impantanato, avallò, nell’aprile 2022 il cosiddetto comunicato di Istanbul che costituiva una bozza importante per la pacificazione, sulla base della denuclearizzazione e  della neutralità future di Kiev, che sarebbe in seguito potuta entrare nell’Unione Europea senza alcuna obiezione da parte di Mosca. Molte questioni, comprese quelle cruciali territoriali, non erano risolte e venivano rimandate a trattative future. Era comunque un passo avanti significativo, ma i Paesi occidentali, soprattutto la Gran Bretagna, spinsero l’Ucraina verso l’intransigenza perché non erano interessati alla pace , ma a sfiancare il “nemico “ russo con la guerra e a spingere ancora più in là la presenza della Nato, circondando ulteriormente Mosca.

Oggi, Putin ha in mano, se non la vittoria finale, la possibilità di conquistare o liberare, secondo come la si pensi, ulteriori territori e si dimostrerebbe quindi un negoziatore  più intransigente, ma comunque nessuno fa uno sforzo sincero di saggiarne le richieste. Bisogna però essere consapevoli di una realtà che per molti può suonare assai spiacevole: l’Ucraina dell’indipendenza nel 1991 era uno stato artificiale, abnormemente esteso rispetto a ogni valutazione storica e geografica. Era il frutto dei regali di Lenin (Donbas e oltre) e di Krusciov (Crimea) che decisero ,come sempre in Unione Sovietica, di modificare i confini senza tenere conto  dell’identità etnica delle popolazioni, tanto a governare era pur sempre il Partito comunista a Mosca e l’autonomia delle repubbliche era più che altro fittizia. La situazione poteva rimanere così fino a quando Kiev si fosse mantenuta in buoni rapporti con il suo potente vicino, ma i nazionalisti ucraini hanno deciso di agire diversamente, reinventando la storia di una grande nazione pura etnicamente. Fa sorridere che gli Usa e l’anticomunista di ferro Meloni si battano per difendere una creazione sovietica.

Spiragli per una soluzione pacifica se ne vedono pochi, si potrebbero forse immaginare dei referendum, internazionalmente garantiti, nelle zone conquistate dal Cremlino, ma anche su quelle abitate in maggioranza da russi ancora nelle mani ucraine. Ma nessuno ci prova, bisogna solo mandare alla cieca armi su armi, a costo di svuotare i propri arsenali e di aumentare le spese militari come sta avvenendo. Quel mattocchio di Trump va dicendo che lui avrebbe la soluzione a portata di mano se entrasse alla Casa Bianca. Chissà, forse un personaggio così imprevedibile potrebbe scompigliare le carte. In fin dei conti, basterebbe smettere di inviare armi e spiegare a Zelensky e ai suoi che l’idea di una immensa Ucraina, avamposto occidentale contro la Russia, è solo un sogno folle e sanguinario.

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Roberto Zavaglia

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