Artefatti. “In vino veritas”, in alto i calici per L’Amara

Donato Novellini: "Un disco d’amori perduti e di conseguenti strascichi umorali epperò sorprendentemente chiuso in leggerezza"

S’era trattato in un precedente approfondimento della morte del Neofolk, al di là delle inevitabili nostalgie fenomeno concluso nei suoi aspetti d’urgenza e originalità, eppure da quella fonte primigenia fluisce ancora qualche rivolo d’acqua pura, o forse in questa occasione sarebbe meglio virare la liquida metafora in chiave enologica, etilica: In Vino Veritas (Hau Ruck! SPQR, 2023) di L’Amara, stupisce per ispirazione e originalità, per ebbra eleganza e vivido afflato popolare; lo stilema folk, lungi dall’evocare apocalissi prossime venture o iperboli belliche di totalitaria memoria, s’accomoda più prosaicamente in osteria, scenografia provinciale e sottotraccia sacralmente malavitosa che è filo conduttore di tutte le undici tracce. Non mancano certo i tormenti, i magoni e la disperazione nei testi a tratti iperrealisti, intrisi di romanticismo nero, ma la forma canzone – riveduta e disturbata – evoca chiaramente la tradizione cantautorale italiana meno ruffiana; difatti spiccano due rifacimenti assai pertinenti: Il vino di Piero Ciampi, caracollante ballata del genio maledetto livornese, e Ma Mi, popolare canzone della “mala” milanese, scritta da Giorgio Strehler per Ornella Vanoni.

Disco obliquo, godibile anche per i neofiti, non privo di momenti sognanti, eterei, financo bucolici com’è evidente nel pezzo Sul bordo del bicchiere, caratterizzato da un approccio quasi naif, ne Il malcontento II di Jonny Bergman, gioiello folk reso cosmico dalla voce sublime di Aima Lichtblau, oppure nella filastrocca disillusa Verso il fondo; altrove, nei passaggi più ruvidi dell’albo – Giudicato e proscritto, In vino veritas – spetta all’approccio ruvido di Giovanni Leo Leonardi guidare la mesta processione verso i gironi infernali, sempre più giù nel fatale baratro degli avvinazzati. A tal proposito varrà la pena divagare di poco fuori disco, ricordando una traccia contenuta nel precedente EP Beautiful Losers (2022) di Vinz Aquarian e soci, l’ipnotica Marinai perduti, straziante nenia dostoevskiana (con richiami nel titolo a Jean-Claude Izzo), amarissima medicina idonea a reietti, galeotti e naufraghi della vita, vertice assoluto e abissale Nadir, per chi scrive, della poetica de L’amara: “Avevo un bagaglio ma non un passato, sul ponte di prora del mare ghiacciato, affogavo nel whisky e nel vino bruciato, nell’inverno più freddo che Dio ci ha mandato, verrà primavera ma senza di te…”

In vino veritas è disco d’amori perduti e di conseguenti strascichi umorali, malmostosi soliloqui, spiritici intrugli, lascivie malinconie bestemmie trattenute e catarrosi rancori, deragliamenti umani senza redenzione, epperò sorprendentemente chiuso in leggerezza col siparietto musicato Quando è finito il vino, voce di Alberto Sordi, tratto dalla pellicola Accadde al penitenziario del 1955. Azzeccata anche la scelta dell’immagine di copertina, riproducente il dipinto I due satiri (1618) di Rubens, apologia tragica del piacere e trionfo barocco dell’elemento dionisiaco. Non resta che ascoltare il disco, cavando il sughero da una buona bottiglia di rosso fermo.

Donato Novellini

Donato Novellini su Barbadillo.it

Exit mobile version