Le ceneri di Céline e Sartre: i miti del ‘900 tramontano  

All'insaputa dei lettori la genialità nasce da miserie umane, troppo umane           

  

Céline e Sartre

Troppi gli idioti. Ciò detto, ve lo dimostro”

Frantz FanonPelle nera, maschere bianche

                   

Louis-Ferdinand Destouches, in arte Louis-Ferdinand Céline (nome di battesimo della nonna) non era a suo agio nelle origini piccolo-borghesi, sebbene ne fosse emancipato. Ebbe rapporti con la Fondazione Rockefeller e fu assunto come igienista dalla Società delle Nazioni di Ginevra. Da lì partì per missioni in vari paesi, dall’America all’Africa. Si sposò e si innamorò di altre donne. Aprì un ambulatorio a Clichy e si qualificò “medico dei poveri”. Nel 1932 pubblicò Voyage au bout de la nuit

Daudet, Trotsky, Nizan

Léon Daudet lo indicò come un libro che schiudeva gli occhi su una società ormai priva di valori. Non fu da meno Lev Trotsky, che ne scrisse la prefazione per l’edizione russa. Paul Nizan, l’autore di Aden-Arabie, critico del quotidiano comunista l’Humanité, lo apprezzò e con lui l’intellighenzia radicale, impressionata dall’anticolonialismo. Ma ciò a Céline non bastava. Al premio Goncourt era stato sconfitto da Le Loups di Guy Mazeline. Giudizi come quello di Bernanos, che vede Céline come mandato da dio “a dare scandalo”, lo fanno sentire come il più grande scrittore dei suoi tempi: quelli di Georges Bernanos, François Mauriac e Paul Nizan, che non era solo l’autore di un incipit famoso: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”. Nizan era anche l’autore de La Conspiration, insuperato romanzo nel raffigurare il rapporto fra la gioventù dell’alta borghesia e le scelte radicali.

Aragon e Nimier

Per altro nel 1932, l’anno del Voyage, circolava da anni Le Paysan de Paris di Louis Aragon, che lavorò lungo il secolo attraverso i surrealisti e le conversioni/ riconversioni di Aragon, rientrato  nell’800 più alla maniera di Stendhal che di Balzac, così da piacere a Roger Nimier, che, come Céline, prende di mira Jean-Paul Sartre in un libello.

Diverse tuttavia le motivazioni: più di costume quelle di Nimier; avvelenate quelle di Céline, che risponde al Portrait d’un antisémite pubblicato da Sartre a fine 1945 su Les Temps modernes. Stupisce che l’autore di alcuni libelli, che vorrebbe ridurre a bagatelle (e che sono fra le sue cose letterariamente migliori) non sopporti di esserne accusato. E che soprattutto non sopporti che lo sopportino i suoi sostenitori, che riducono tutto a birichinate di quel novello Swift o Rabelais che sarebbe Céline.

In camicia bruna

Ho cominciato questo testo ispirandomi a Céline en chemise brune, scritto da Hans-Heinrich Kaminski nel 1938: “Céline è insoddisfatto. Per lui la vita è divenuta troppo facile e senza preoccupazioni. Solo critiche favorevoli sui giornali e lettere d’ammiratori, nessun insulto”.

Ma è arrivato il momento di dire dove volevo arrivare. Céline era figlio di un assicuratore e di una merciaia, quindi, crescendo, non dovette avere gravi preoccupazioni. Tuttavia in Mort à credit del 1936 trasfigurava la famiglia in una devastazione controllata dal padre e in un vicolo sordido il passage Choiseul, dove la madre curava il negozio.

Per sempre Céline si vorrà vittima, proletario cui i potenti – maledetti! – negano il Goncourt, anarchico per questo. Si ritroverà meglio negli ultimi anni (proficui di trame romanzesche e dei tre puntini di sospensione), nella tenuta camuffato da barbon, circondato, con la moglie, da cani e gatti in una scenografia che non raggiunge quella disegnata da Paul Léautaud, insigne gattaro (la si può vede nelle foto di Robert Doisneau).

De Beauvoir e Vailland

Chissà che smacco, poi, veder assegnare l’agognato Goncourt a Simone de Beauvoir o, peggio, a Roger Vailland, che Céline non aveva denunciato ai tedeschi per le riunioni cospirative nell’appartamento vicino al suo. E che umiliazione vedere Françoise Sagan, a 19 anni, che riceve il Prix des Critiques con Bonjour tristesseromanzo di una forza esistenziale introvabile tanto nei romanzi di Céline, quanto ne La Nausée di Sartre.

Non sfuggono le differenze politiche di Céline e Sartre. Al primo “comunista senza gli ebrei”, non bastava più esser cattivo, si sentiva “molto amico” di Hitler e dei tedeschi, voleva “una terribile fede” atrocemente intollerante nei confronti di massoni ed ebrei.  Ciò nondimeno, sotto occupazione tedesca, si poteva incontrare Cèline all’Istituto di cultura tedesco di Parigi, ma con “interessi culturali”, senza compromessi, nonostante le “folli dichiarazioni sugli ebrei”, testimoniate da Gerhart Heller.

Vonnegut e Bukowski

Quanta amarezza hanno espresso gli intellettuali per Céline, pensato come un creatore assoluto, deplorando “il modo disgustoso in cui è stato trattato dall’intellighenzia francese” (Jean Dubuffet) per la “creazione folle” di una formidabile “macchina di scrittura” (Deleuze e Guattari). E giù tutti a bocca aperta, dai Beat a Henry Miller, da Vonnegut a Le Clézio, da Celati a Bukowski. Ciò che lo ha riparato dal peggio è stato un individualismo ribellistico, che faceva sembrare che tutto nascesse e morisse con lui.

Invece Sartre parve un grande ingenuo, perlomeno politicamente. Dopo aver subito gli attacchi di Jean Kanapa, Laurent Casanova e degli zdanovisti del Partito comunista francese, Sartre si spostò fino a diventare il loro compagno di strada per eccellenza e accusò i suoi accusatori di disonorare il partito. Arrivò a dire che nell’Urss c’era libertà di critica. Ebbe anche un ruolo nell’accreditare il togliattismo come “via italiana al socialismo”, esempio da seguire.

Roma, Hotel Senato

L’Italia gli piaceva: a Roma, dove scendeva all’Hotel Senato, incontrava Alberto Moravia, che alcuni critici presero a considerare come un esistenzialista ante litteram. Nicola Chiaromonte attribuì a questo “comunista impossibile” la stessa “malafede” che lui aveva teorizzato, eppure ne apprezzava (come non farlo?) le pronunciate peculiarità intellettuali. Frasi diventate celebri – come “l’uomo è una passione inutile” o “il mondo può benissimo fare a meno della letteratura. Ma ancor di più può fare a meno dell’uomo” – non sono passi di una conversazione, sono un atteggiamento, un clima nel quale nel bene e nel male, ieri come oggi, ci si trova immersi.

Frantz Fanon

Certo, prima di essere visto come l’antisemita, Céline fu innalzato per il Voyage a campione dell’anticolonialismo. Non mi pare che abbia scritto frasi efficaci e che vadano oltre l’anticolonialismo, investendo l’alienazione, come questa del “verme solitario” nella prefazione ai Dannati della Terra di Frantz Fanon: “Lasciamo l’ Europa, che parla, parla, parla dell’uomo e, ovunque l’incontri, lo massacra”.

Che cos’è un grande scrittore? Corrono tante parole, ma alla fine c’è solo l’ambizione di chi dà credito alla sua olimpica esistenza e raccoglie magari asprezze critiche, insieme a protezioni, calcoli statistici, determinazioni sociali.

Chi ritiene Céline il maggiore scrittore francese del XX secolo (con Proust, ci mancherebbe!) ha lo stesso stordimento del politico Sartre, il quale pensò di allargare la mente grazie alla mescalina.

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Carlo Romano

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