Di recente ho viaggiato nelle Fiandre e mi sono fermato nella piazza principale di Veurne, una cittadina nei pressi della costa del mare del Nord. Lì sono stato avvicinato da un ciarliero abitante del luogo, presentatosi come ex avvocato, appassionato di storia locale, che oltre a descrivermi gli importanti monumenti della città che di li a poco avremmo visitato, alla scoperta che fossi italiano mi ha detto una cosa di cui non ero al corrente: in una località a pochi chilometri esisteva un cimitero di guerra in cui risultavano sepolti 81 soldati italiani.
Il cimitero militare belga di Houthulst ospita le tombe dei militari italiani della Grande Guerra che morirono per deperimento o malattie mentre furono prigionieri dei tedeschi e impiegati come manodopera nella costruzione di trincee e apprestamenti militari. Catturati per lo più dopo la rotta di Caporetto, furono trasferiti in questa parte del fronte per essere sfruttati come lavoratori di fatica e per questa ragione morirono a causa di condizioni difficilissime.
Essi furono inizialmente sepolti in vari cimiteri locali e dopo la fine della guerra le salme furono trasferite nel cimitero militare belga a cura del ministero della guerra belga e disposte con croci tombali ai lati del pennone con la bandiera italiana.
Questa notizia, a me sconosciuta, ha innescato la curiosità di sapere chi fossero costoro e se ce ne fossero altri in altri cimiteri.
Le ricerche hanno confermato le parole della “guida locale” aggiungendo che alcuni di quei soldati furono usati come scudi umani durante l’offensiva del 28 settembre 1918.
Più in generale, essa ha rivelato che:
- si calcola che fra il 1915 e il 1918, furono circa 600.000 i soldati italiani imprigionati, di cui circa la metà fu catturata nei giorni della “Dodicesima Battaglia dell’Isonzo”, dal 24 ottobre al 12 novembre 1917. La maggior parte di loro fu deportata a Mauthausen (Austria), Therezín (Repubblica Ceca), Rastatt e Celle (Germania), ma molti di loro furono poi condotti nel Belgio occupato;
- la maggior parte dei soldati italiani (circa il 70 %) morì durante la prigionia in Belgio, fra la fine del 1917 e gli inizi del 1919. Una parte di loro, invece, cadde durante i combattimenti; nello specifico, si fa riferimento ai soldati del II Corpo d’armata, giunti al fronte l’11 giugno 1918 per la conquista del Chemin des Dames e della Mosa nel Lussemburgo belga. A tal riguardo, per “ripagare“ gli Alleati che avevano inviato truppe fresche dopo la disfatta di Caporetto, permettendo al Regio Esercito di riorganizzarsi, l’Italia inviò un primo contingente di personale non operativo che fu utilizzato nel 1917 come truppe ausiliarie nella realizzazione e manutenzione di apprestamenti difensive. A fine aprile del 1918 divenne operativo il 2° Corpo d’ armata in Francia al comando del tenente generale Alberico Albricci, formato da circa 25.000 uomini. Tra questi, si erano arruolati volontari Kurt Erich Suckert, meglio conosciuto in seguito come Curzio Malaparte e Giuseppe Ungaretti;
- la situazione materiale e sociale dei circa tremila prigionieri italiani nei campi di detenzione austro-tedeschi in Belgio fu disastrosa. Si pose, inoltre, la questione del loro status: erano ufficialmente prigionieri o no? Sembra che la maggior parte di loro fosse costretta ai lavori forzati e che non venissero rispettati nei loro confronti gli accordi stipulati durante la Convenzione dell’Aia (1907). Dopo Caporetto, inoltre, lo Stato italiano considerava molti dei compatrioti prigionieri alla stregua di disertori che non avevano fatto nulla per combattere. Ciò spiega il fatto che non si organizzò per loro nessun aiuto materiale su scala nazionale e che, dunque, i prigionieri potevano contare solamente sulle loro famiglie;
- in totale riposano in 10 cimiteri belgi di guerra 549 corpi di cui 15 sconosciuti.
Ecco in breve una piccola storia, sconosciuta ai più, che ha però toccato la vita di famiglie italiane che non videro tornare i loro cari che soffrirono, oltre alle deprivazioni della prigionia, anche il distacco della madre Patria. Caduti italiani all’estero che meritano di essere ricordati.
Mio zio fu catturato sul fronte dell’Isonzo nella primavera del 1917 e dopo varie peregrinazioni (sempre trattato malissimo dagli austro-ungarici), finì a Mathausen dove nell’estate 1918 fu infine liberato per uno scambio di prigionieri. Gravemente denutrito, sull’orlo della morte, fu operato a Torino dal famoso prof. Mendes e gli venne asportato un polmone. Grande Invalido di Guerra, morì a 39 anni per i postumi. Impiegato di banca, poeta, in corrispondenza con Ardengo Soffici, lasciò un diario terrificante, stampato. Mai potè ricevere nulla, né dalla famiglia, né dalla Croce Rossa alla quale si era pure abbonato preventivamente. I carcerieri trattenevano tutto per sé.