StorieDi#Calcio. L’epopea di Tommaso Maestrelli e della Lazio scudettata

Ore 17,45 del 12 Maggio 1974: la Lazio è Campione d’Italia. L'allenatore, compassato come sempre, trattiene a stento la commozione, si passa la mano tra i capelli, e alzandosi dalla panchina, indossa nuovamente la giacca a microscacchiera, vera e propria ‘divisa’ del travet di quegli anni irripetibili

Tommaso Maestrelli

Tommaso Maestrelli

Nella lunga estate del 1972, faceva un gran caldo a Roma all’esterno della Chiesa di Santa Maria del Popolo. All’interno di essa, sulla parete destra della Cappella Cerasi, bastava ammirare il dipinto «La conversione di San Paolo», ultimato dal Caravaggio nel 1601, per percepire l’efficacia irresistibile del Bene sul più testardo dei peccatori. Due uomini si incontrano: uno è Padre Antonio Lisandrini, eloquente frate francescano con il carisma della persuasione, l’altro è Tommaso Maestrelli, l’allenatore che lavorando nel silenzio, lontano dai riflettori del ‘calcio che conta’, ha riportato la Lazio in serie A al termine di un campionato difficile. Nelle intenzioni del Mister Maestrelli, l’incontro era finalizzato a dare ai diciotto ragazzi della rosa biancoceleste, dall’indole scapestrata e litigiosa, una valida guida spirituale, in grado di supportare gli inevitabili ‘svarioni’ legati alla giovane età. E con essi, l’allenatore voleva cementare quel microcosmo che formava un gruppo somigliante più ad una famiglia che ad una ‘moderna’ società del pallone, dall’onnipresente ‘Sor Umberto’ Lenzini, il Presidente che giocava sempre a carte con i suoi calciatori durante i ritiri, a Renato Ziaco, il medico ufficiale del club che non volle mai essere pagato dalla Lazio per i suoi servizi.

Il mito Maestrelli

Chi è stato, cosa ha rappresentato e cosa rappresenta quel Tommaso Maestrelli (1922-1976), la cui memoria, oggi, annovera una ricca messe di atti celebrativi che vanno dalle emissioni filateliche alla presenza nella toponomastica? Tra le firme deputate a illustrare la vita di uno degli allenatori più amati per la sua signorilità, dentro e fuori il rettangolo verde, spicca la pubblicazione di Francesco Troncarelli, Caro Maestro. Tommaso Maestrelli per sempre (Reality Book, Roma 2024, pp. 163, 81 foto, Euro 18). L’autore di questo godibilissimo libro unisce il talento narrativo, regolarmente ‘sfoderato’ sulle pagine del «Guerin Sportivo», al privilegio della testimonianza diretta su quanto descrive, dato dall’essere stato uno degli animatori di quel «Commandos Monteverde Lazio», ricordato dal giornalista sportivo Guido De Angelis per essere stato quel gruppo «composto da giovani appassionati tifosi, che avrebbero cambiato, per sempre, il modo di fare tifo». Una foto di quegli anni dice tutto: a seguito di una pacifica invasione di campo, i fotografi dei quotidiani «Il Messaggero» e «Momento Sera» immortalavano un giovanissimo Troncarelli mentre poggiava un sombrero sulla testa del bomber Giorgio Chinaglia, a mo’ di buon auspicio per gli imminenti mondiali di calcio, da giocare nel 1970 in Messico, con la Nazionale di Valcareggi. I diciotto, densissimi, capitoli che compongono il libro immergono il lettore in un mondo che non c’è più. A corredo della narrazione, 81 immagini lasciano rivivere l’intreccio tra la passione calcistica e la sensibilità di un’intera generazione, che ascoltava Lucio Battisti e ballava sulle melodie di Fred Bongusto. Nell’Italia pallonara degli Anni Settanta del Novecento, la passione per il calcio, ancora non trasformata in una macchina per fare denaro, rispecchiava in pieno una società nella quale la passione e la violenza, l’audacia e la sfrontatezza tracimavano, senza imbarazzi, l’una nell’altra. Il binomio ‘pistole e palloni’ non era certo una fantasia da rotocalco. L’allenatore che soleva dire «Nella Lazio ho trovato quel che cercavo», era allo stesso tempo un padre e un fratello maggiore per i suoi ragazzi. Al Presidente Lenzini che in un momento di debolezza sentiva le lusinghe di Giampiero Boniperti per la cessione di Chinaglia alla Juve, Maestrelli rispose chiudendo a chiave il Presidente nella stanza d’albergo nel quale avevano luogo le trattative per il calciomercato. «Tommaso sono io, Giorgio, ho dei problemi, posso venire da te?» Puntare il dito contro la «Curva Sud», come fatto da Chinaglia nel derby vinto contro la Roma il 31 marzo 1974, equivaleva ad inimicarsi buona parte della città capitolina. Immaginiamo quale sia stata la risposta, data alla cornetta da quell’allenatore che aveva fatto l’impossibile per trattenere “Long John” a Roma. Per oltre sei mesi, la signora Lina Maestrelli aveva da accudire un altro figlio. Il profilo tecnico dell’allenatore è stato tutt’altro che di secondaria importanza. Il tecnico pisano venne insignito del «Seminatore d’oro», famoso premio riservato agli allenatori distintisi per la qualità agonistica delle loro squadre, tanto alla guida del Foggia per la stagione 1968-1969 quanto sotto il simbolo dell’aquila, nell’anno 1973-1974. Vissuto tra gli albori dell’Italia in camicia nera e l’apogeo degli Anni di Piombo, Maestrelli ha lasciato tracce profonde del suo passaggio nel cuore del «Secolo Breve». Dopo lo sbandamento del regio esercito, culminata con gli eventi dell’otto settembre del 1943, l’allora ventenne si aggregava alla «Brigata Garibaldi» di Zagabria, senza mai partecipare, così dicono le fonti storiche, agli eccessi antitaliani perpetrati dai partigiani titini operanti in quell’area. La sua unica, esclusiva “Missione”, è sempre stata quella del calcio.

L’esperienza con il Bari

La socialità, i valori e il sano agonismo propinato in quello sport, lo conquistarono sin dall’ingresso nelle giovanili del Bari. Nel febbraio del 1938, a sedici anni, esordiva ufficialmente a San Siro, convocato per sfidare il Milan, vestendo la maglia della prima squadra dei biancorossi pugliesi. Conclusa la carriera da calciatore nel 1957, la Reggina, il Foggia e la Lazio divennero le squadre nelle quali, gradualmente, giunse a sviluppare quella tattica di gioco, da tutti definita “olandese”, poi culminata nella conquista del primo, indimenticabile, scudetto della Lazio, vinto allo stadio Olimpico il 12 Maggio del 1974, contro il “suo” Foggia.

L’epopea dello scudetto raccontata da Enrico Ameri

La cadenza del ‘toscanaccio’ Enrico Ameri faceva vivere i radioascoltatori di «Tutto il calcio minuto per minuto» il rigore decisivo, segnato dall’immancabile “Giorgione”, che dava a 75.000 spettatori l’occasione di esplodere in un boato liberatorio. Ore 17:45 del 12 Maggio 1974: la Lazio è Campione d’Italia. Tommaso Maestrelli, compassato come sempre, trattiene a stento la commozione, si passa la mano tra i capelli, e alzandosi dalla panchina, indossa nuovamente la giacca a microscacchiera, vera e propria ‘divisa’ del travet di quegli anni irripetibili. Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D’Amico: gli undici scudettati hanno sempre guardato a Maestrelli prima a quel padre che non alzava mai la voce, a seguire come allenatore. Proprio lui, che al calcio aveva dedicato la vita e sul calcio aveva fondato la sua identità, non dismise mai l’onestà intellettuale di vedere luci e ombre su quel mondo, atterrito dalla sua repentina mercificazione. Nel novembre del 1976, prima che il tumore al fegato lo portasse alla morte, “il Maestro” chiamava al suo capezzale i due figli, obbligandoli a fare una promessa solenne: quella di studiare, laurearsi e non fare mai i calciatori. Ecco la limpida, definitiva, ragione in più per onorare la memoria di Tommaso Maestrelli sul piano culturale e della drittura morale, piano spesso ignorato, con imperdonabile faciloneria, dalle narrazioni sul calcio e sui suoi protagonisti.      

Marco Leonardi

Marco Leonardi su Barbadillo.it

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