La storia. L’inizio della scuola e un sistema educativo che non trasmette passioni

matitaDue studenti gridano che la fine ha avuto inizio. Un prof saluta il dirigente, con un cenno ossequioso della testa. Ingresso dell’istituto, ecco i ragazzi della prima classe… Si fa l’appello nel portone. Le professoresse si sgolano: nome e cognome degli allievi. Prima A… Prima  B… Nome e cognome di ragazzini  che vorrebbero invece stare  in spiaggia. Le prof  sorridono; sorridono sempre, anche quando sparano i due sul registro.

Più in là i genitori. Sarà giusta questa scuola per i loro figli? Adesso, però, i papà e le mamme sembrano impauriti; di sicuro attratti dal suono della campanella. Ore otto e trenta. L’appello continua. Nel portone dell’istituto superiore i ragazzi rispondono. Quasi non hanno timori. Molti hanno i capelli curati: tante creste, tanti ciuffi; ma queste acconciature si seccheranno sotto i colpi di lezioni gonfie di  teoria.

E questo è il punto. Cosa imparano i ragazzi? Imparano teorie. Teorie di  materie a volte attempate. E  pochissime passioni. Al ministro qualche genitore dovrà pur scrivere: “Nei programmi nazionali inserite una nuova materia! Una disciplina appassionante!” Ad esempio, La storia della canzone: analisi dei testi musicali,  storia del costume, i  poeti/cantautori… E si sostituiscano percorsi letterari noiosi con la Storia della canzone d’autore. Si faccia! Per una scuola di passioni.

C’è un vizio nella scuola, cioè la routine didattica.  I prof spiegano il solito manuale. Il tutto resta eguale al primo giorno di scuola, senza sincerità, didattica sincerità.

Troppe volte, inoltre,  il cuore dei ragazzi resta sconosciuto ai prof.  Ma ciò che è peggio: i ragazzi  non conoscono le passioni dei loro docenti. Passano gli anni e la classe di quel professore non sa nulla. Lui ha scritto un romanzo? Ha inventato un software? Giocava stupendamente al calcio? Di un prof, spesso, non si sa niente.

E’ scritto in un libro, in vendita in questi giorni, – Alessandro D’Avenia, ‘Bianca  come il latte rossa come il sangue’ – che gli studenti non studiano perchè non ci credono. E non  credono ad una scuola distaccata dalla realtà. Ad una scuola lontana dal mondo del lavoro. Una scuola in cui i prof dovrebbe aver scritto poesie, canzoni, articoli, progetti, piani aziendali,..

Invece, loro fanno sempre la solita buona attività: Spiegare i testi, quelli scritti dagli altri! Così rischiano di essere uomini e donne irreali,  cioè “… senza una vita reale fuori da scuola. Fuori da scuola i prof non esistono.” (Alessandro D’Avenia)

E perché? Per diverse ragioni. La prima: hanno burocratizzato la scuola. Con un asfissiante lavoro quotidiano. Senza uno spazio vero per la ricerca. Senza più soldi ormai. Senza possibilità per la conoscenza  reale dell’essere ragazzo.

Ci sono certi dirigenti algidi. Tecnocrati. Incapaci di entrare nelle classi per colloquiare con  i quindicenni. Ci sono programmi  privi del senso della comunità nazionale. (Un quesito: Per caso c’è l’obbligo di insegnare la storia locale? O l’opera degli artisti della propria città. Risposta: Assolutamente no! Peccato, perché, senza questo obbligo didattico, si brucia la memoria e  il senso di appartenenza.)

Ci sono istituti scolastici troppo eguali ad altri, alla faccia dell’autonomia formativa, alla faccia delle tradizioni scolastiche identitarie.

Ci sono le Indicazioni nazionali sfornite di riferimenti alla relazione comunicativa inter-personale docente/allievo. Ci sono riti scolastici perduti, bandiere nazionali stracciate, crocifissi rubati, inni dimenticati, lapidi scolastiche rimosse,  biblioteche prestigiose come depositi di sporcizie… Ma ci sono ragazzi valorosi che studiano anche se sanno che fuori li aspetta il  Niente.

Intanto, in questo settembre italiano, il primo giorno di scuola va, comunque va…

Una prof continua con il suo appello. Esclama stancamente , “Prima F… Giovanni La Morte.” Qualcuno ride. Non risponde nessuno all’appello. E un tratto di penna dà assente l’allievo. Entrati tutti. Chiuso il portone. Prima ora del primo giorno di scuola: è la ‘rabbia perfetta’  per i ragazzi . Ma, sul marciapiede, è rimasto un alunno. Mingherlino. Occhiali colorati. Un orecchino brillante sull’orecchio. Il suo zaino è rosso. Un collaboratore gli si avvicina e chiede “ Che fai qua? Perché non sei entrato?”. Lo studente osserva la faccia del  bidello;  e con calma  gli dice “Io non rispondo agli appelli. Sono La Morte. Giovanni La Morte. Decido io quando entrare!”

 

Renato de Robertis

Renato de Robertis su Barbadillo.it

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