La mostra. A Milano l’espressionismo astratto di “Pollock e gli Irascibili”

Hans Hofmann Orchestral Dominance in Yellow, 1954 Olio su tela
Hans Hofmann
Orchestral Dominance in Yellow, 1954
Olio su tela

La città di Milano ha accolto con entusiasmo la mostra “Pollock e gli Irascibili”, che ospita le opere di un gruppo di artisti ribelli, protagonisti di una rivoluzione che ha spostato l’epicentro dell’arte dall’Europa agli Stati Uniti e che ha segnato il passaggio dall’arte moderna a quella contemporanea. Il percorso espositivo narra con chiarezza e suggestione la nascita dell’Espressionismo Astratto nella New York degli anni Quaranta, partendo da Jackson Pollock, l’esponente che «ha cambiato il linguaggio della pittura», come spiega Carter E. Foster, conservatore Steven e Ann Ames dei disegni del Whitney Museum of Amercian Art e curatore della mostra insieme a Luca Beatrice.  «Altrettanto rivoluzionario nella metà degli anni Quaranta quanto lo furono Michelangelo e Raffaello nel Rinascimento, con la sua famosa ‘tecnica dello sgocciolamento’ spinse l’arte e l’atto di realizzarla – anticipando quasi la dimensione della performance – in una dimensione radicalmente nuova».

 

Dopo la svolta epocale di Pollock, non era più possibile tornare indietro, come ben compresero tutti i pittori d’avanguardia dell’epoca. Nelle parole di Willem de Kooning, altra figura importante dell’Espressionismo Astratto, Pollock fu colui che ‘ruppe il ghiaccio’ per la pittura”, come racconta Foster nel catalogo.  Oltre a Pollock la mostra dà rilevo agli altri protagonisti di spicco del Movimento – de Kooning, Barnett Newman e Mark Rothko – e agli esponenti di fama minore, quali Franz Kline, David Smith, Hedda Sterne, Clyfford Still e Bradley Walker Tomlin, svelando tesori inaspettati.  Per poter assaporare al meglio la mostra di Palazzo Reale è importante comprendere lo sconvolgimento culturale e la sperimentazione in atto a partire dal secondo dopoguerra, con un focus su opere come “Sulla strada” di Jack Kerouac o “Urlo” di Allen Ginsberg, icone della beat generation, senza dimenticare “Il giovane Holden” di S.D. Salinger. A tutto questo va aggiunto un pizzico di Miles Davis e l’immancabile John Cage, con la giusta dose di alcol, sigarette e inquietudine.

 

Nel 1950 il Metropolitan Museum di New York rende nota l’intenzione di voler allestire una mostra dedicata all’arte contemporanea americana, escludendo gli artisti del movimento Action Painting (Pollock, de Kooning, Rothko, Motherwell e Newman). Questi ultimi, insieme ad altri, per protesta, decidono di scrivere una lettera aperta rivolta al presidente del Metropolitan Museaum, Roland L. Redmond, presentata dal New York Times, in cui lamentano di essere stati tagliati fuori a causa dell’avversità nei loro confronti degli esperti chiamati a selezionare le opere. È il quotidiano Herlad Tribune a ribattezzare “Irascibili” i firmatari della lettera, che nel 1951 apparvero sulla rivista “Life” vestiti da banchieri nell’emblematico stacco di Nina Leen.

 

La mostra di Palazzo Reale si apre con Pollock, il genio artistico che ha spalancato le porte al concetto di performance, facendo diventare il corpo una competente di assoluta innovazione, con un approccio gestuale e irruente, nato da un mixage di surrealismo, cubismo, muralismo messicano e tradizione dei nativi americani. Quando nel 1930 si trasferisce a New York, conosce il pittore antimodernista Thomas Hart Benton, che lo illumina sulla pittura realista. Nello stesso periodo si avvicina a José Clemente Orozco, a David Alfaro Siqueiros e a Diego Rivera, assorbendo visoni che saprà rielaborare con modalità personalissime. Il suo percorso continua, con la stima e l’appoggio di Peggy Guggenheim, e nel 1945 viene sugellato dal matrimonio con la pittrice Lee Krasner, in qualche modo sua “crocerossina”. Poco dopo si trasferiscono a Long Island ed è qui che nasce la tecnica del dripping: “In piedi, nel più assoluto silenzio, e quasi danzando con ritmo incalzante, Pollock intinge un pennello o una stecca nei barattoli di latta, e fa volare schizzi di vernice fresca sull’ampia tela adagiata sul pavimento – una maglia nera, jeans senza orlo, risvolti, macchiati e lisi, la sigaretta sempre accesa, la barba di qualche giorno”, spiega Corinna Carbone nel racconto pieghevole realizzato per la mostra.

 

L’opera principale in esposizione è Number 27, dipinto da Pollock nel 1950, capolavoro dal ritmo musicale, in cui nulla sembra casuale e si alternano movimenti centripeti e centrifughi.  Come abbiamo anticipato, la mostra presenta anche lavori di Willem de Kooning, artista che rimane legato, seppur parzialmente, alla figurazione con una fusione di immagine e astrazione. Il soggetto femminile è tra i suoi prediletti, ma nel caso dell’esposizione di Palazzo Reale, si deve necessariamente fare menzione del paesaggio “Door to the River” del 1960, in cui il realismo è conciliato con i principi dell’Espressionismo Astratto, consentendo al colore di espandersi oltre il concepibile.

 

Gli specchi contemplativi di Mark Rothko – come li chiama Luca Beatrice – presentano tele in cui predomina lo spazio pittorico e in cui c’è una perfetta compenetrazione tra arte e architettura. Lo spettatore entra nel dipinto e percepisce un senso di intimità. Altro protagonista è Barnett Newman, grande teorico del gruppo degli Irascibili, che sviluppa quasi in maniera estrema i principi dell’Espressionismo Astratto, stendendo il colore in maniera uniforme e arrivando a pochi passi dal minimalismo: il suo è un punto di vista filosofico. “Il sé, terribile e costante, è l’oggetto della mia opera”, amava dire, tracciando le inconfondibili linee verticali, ribattezzate dalla critica “zip”.

Sarebbe necessario scrivere un libro intero per raccontare il viaggio espositivo di “Pollock e gli Irascibili”, l’avrete capito, ma preferiamo riassumerlo così: regala sicure emozioni anche a chi non è un intenditore d’arte, perché, come affermava Rothko, “un quadro non riguarda un’esperienza: è un’esperienza”.

Mara Elena Capitanio

Mara Elena Capitanio su Barbadillo.it

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