Calcio. Pjanic figlio dei Balcani alla ribalta sulle orme di Savicevic

PJANICMiralem Pjanic e Valter Birsa. E, se vogliamo, Zlatan Ibrahimovic, che dicono non giochi per la Bosnia solo perché bloccato, a suo tempo, dalla mancanza delle raccomandazioni necessarie. E’ stata una settimana particolare per i figli dei Balcani. Tra chi è abituato a essere decisivo (Ibra), chi prova ad abituarsi a esserlo (Pjanic) e chi, invece, sta vivendo un magic moment inaspettato (Birsa). Tutti figli di una terra difficile, coacervo di identità diverse e spesso in conflitto tra loro. Slavi genio e sregolatezza, si ripete da anni. Il Genio vero i Balcani l’hanno prodotto qualche decennio fa: si chiama Dejan Savicevic, è montenegrino e non ha fatto in tempo a giocare per la sua nazionale da indipendente. In compenso, con il Milan degli invincibili ha vinto tutto.

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Non ha ancora vinto niente Miralem Pjanic, che da genio studia e si diletta, con quei due gol, che hanno steso il Napoli di Benitez, e la sua Roma in fuga. “Il pianista” è nato nel 1990, quando nella Jugoslavia che annaspava nel post-Tito iniziavano le dichiarazioni d’indipendenza: Slovenia, Croazia e poi Macedonia. I serbi non mandano giù quella croata, inizia la guerra. Tempo due anni, il conflitto si sposta in Bosnia, dove la popolazione è divisa tra musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi. Anche i bosniaci si sono dichiarati indipendenti a marzo, anche stavolta Milosevic non la manda giù. Miralem deve ancora compiere due anni, i genitori capiscono che restare lì non è proprio possibile e decidono di spostarsi con tutta la famiglia in Lussemburgo, lasciandosi alle spalle gli orrori di una guerra e di una pulizia etnica che avrebbero segnato l’Europa in maniera indelebile. Ai confini con la Francia, il piccolo Pjanic inizia a tirare calci a un pallone, approdando nel 2004 al Metz. Tre anni dopo, gioca 32 partite in Ligue 1, condite da tre gol. Il resto è storia recente: l’approdo al plurititolato Lione, proprio quando, però, il presidente Aulas ha deciso di chiudere i rubinetti, dopo anni di trofei e di vacche grasse. L’OL smette improvvisamente di vincere, ma questo non impedisce a Pjanic di mettersi in mostra, imparando a calciare le punizioni dal superspecialista Juninho Pernambucano e togliendosi lo sfizio di eliminare il Real Madrid dalla Champions 2010 con un gol al Bernabeu agli ottavi di finale. La corsa del Lione si fermerà in semifinale contro il Bayern Monaco, ultimo acuto di un club destinato a uscire lentamente dal giro europeo che conta. Miralem nell’estate del 2011 arriva in Italia, a Roma, sponda giallorossa, con la nuova dirigenza americana e lo spagnolo Luis Enrique in panchina. Seguono due stagioni deludenti, fatte di alti (pochi) e bassi (molti), soprattutto nella gestione Zeman. Il boemo non riesce proprio a collocare Pjanic, che vaga tra panchina e fascia destra del tridente, tornando titolare solo nella parentesi Andreazzoli, culminata con la disfatta romanista del 26 maggio. Finale di Coppa Italia persa contro la Lazio, gol decisivo di un altro bosniaco, Senad Lulic, qualcuno scrive anche che il suo compagno di nazionale avrebbe detto di essere felice per lui. Miralem finisce nell’occhio del ciclone dei tifosi giallorossi, il Dortmund lo vorrebbe, ma lui resta nella Capitale, dove, intanto, è arrivato Rudi Garcia, che non ne vuol sapere di privarsene e lo rende uno dei protagonisti della cavalcata delle prime otto giornate.

Nella stessa settimana della doppietta al Napoli, la prima in Italia, Pjanic si è tolto, però, una soddisfazione ben più grande. Vincendo in Lituania, la sua Bosnia-Erzegovina, scelta quando aveva 18 anni dopo aver iniziato nelle selezioni giovanili lussemburghesi, si è qualificata per la prima volta ai Mondiali. A fine partita, Pjanic è scoppiato in lacrime. Si sarà ricordato, probabilmente, di quella fuga, un giorno, dal suo paese. E avrà pensato, dopo vent’anni, che quella Sarajevo colorata di gialloblu, in fondo, non è mai stata così bella.

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Francesco Sannicandro

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