Ecco allora l’arioso piano regolatore, le architetture eleganti, i quartieri residenziali, per la borghesia e gli operai. E poi un ospedale, un palazzo di uffici pubblici, un cinema e “una scuola da tesi di laurea”. La cosa meno riuscita – forse per i trascorsi “rossi” del futuro duce – la Chiesa. La migliore, architettonicamente parlando, la Casa del fascio, purtroppo in stato di abbandono – nota Maggiani – “a causa di un veto di natura ideologica: come se i bolscevichi avessero schifato di riunire i soviet nel Cremlino o di far eseguire le musiche della rivoluzione al Bolshoi perché simbolo del potere zarista”. Perfino la tomba di Mussolini si salva, emanando meno esibizionismo del prevedibile. Unica nota “brutta” è la Predappio “edificata – testuale – dalla Repubblica sorta dalla Resistenza”. Ma questo evidentemente, aggiungiamo noi, è un altro discorso…
Ciò che ci preme sottolineare , al di là dello stupore di Maggiani, è che l’ariosità dei piani regolatori, la modernità coniugata con la tradizione, la bellezza delle città nuove, la funzionalità dei quartieri popolari, allora era la regola. E non per un caso. Maggiani parla di “ritegno”, termine ormai andato in disuso anche dietro la patente “democratica”. A noi piace parlare molto più semplicemente di senso dello Stato e della Nazione, di autentica volontà edificatrice e di “modernizzazione”.