Il caso. Se l’architettura fascista di Predappio seduce anche lo scrittore anarchico Maggiani

Casa_del_fascio_a_PredappioIn questi  anni di “spaesamento culturale”, tutto è possibile. Anche di registrare opinioni non-conformi là dove mai ce le saremmo aspettate, segno evidente che, al di là di ogni faziosa retorica, certe verità si fanno strada. Su questa linea segnaliamo quanto ha scritto (sul quotidiano genovese “Il Secolo XIX” del 27 ottobre), Maurizio Maggiani, intellettuale sempre bene accreditato nei “salotti buoni”, malgrado il suo anarchismo dichiarato. In coda ad una  visita a Predappio, il paese natale di Benito Mussolini, dove si tiene una mostra dedicata al passato socialista del duce, Maggiani “scopre”, nel borgo abbarbicato sulle colline dell’Appennino forlinese, un’”altra” Predappio, “immagine materica – scrive – di ciò che il dittatore, forte del suo potere assoluto e di risorse illimitate, ha voluto fare di casa sua perché tornasse a sua maggiore gloria. E quello che ha edificato  è una bella cosa, è un fatto”.

Ecco allora l’arioso piano regolatore, le architetture eleganti, i quartieri residenziali, per la borghesia e gli operai. E poi un ospedale, un palazzo di uffici pubblici, un cinema e  “una scuola da tesi di laurea”. La cosa meno riuscita – forse per i trascorsi “rossi” del futuro duce – la Chiesa. La migliore, architettonicamente parlando,  la Casa del fascio, purtroppo in stato di abbandono – nota Maggiani  – “a causa di un veto di natura ideologica: come se i bolscevichi avessero schifato di riunire i soviet nel Cremlino o di far eseguire le musiche della rivoluzione al Bolshoi perché simbolo del potere zarista”. Perfino la tomba di Mussolini si salva, emanando meno esibizionismo del prevedibile. Unica nota “brutta” è la Predappio “edificata – testuale – dalla Repubblica sorta dalla Resistenza”. Ma questo evidentemente, aggiungiamo noi, è un altro discorso…

Ciò  che ci preme sottolineare , al di là dello  stupore di Maggiani,  è che l’ariosità dei piani regolatori, la modernità coniugata con la tradizione, la bellezza delle città nuove, la funzionalità dei quartieri popolari, allora era la regola. E non per un caso. Maggiani parla di “ritegno”, termine ormai andato in disuso anche dietro la patente “democratica”. A noi piace parlare molto più semplicemente di senso dello Stato e della Nazione, di autentica volontà edificatrice e di  “modernizzazione”.

Il Premio Strega Maggiani se lo faccia raccontare da un altro Premio Strega, Antonio Pennacchi, curioso viaggiatore per le città del duce, come recita un suo libro del 2003. Scoprirebbe che Predappio non è un esempio isolato.

Mario Bozzi Sentieri

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