La polemica. La filosofia di Topolino e quel rivoluzionario conservatore di Disney

topolinoUn tempo lontano i fumetti erano ritenuti un sottoprodotto della letteratura popolare. Con gli anni sono diventati oggetto di crescente attenzione da parte della cultura alta compresa quella accademica. Tra i tanti intellettuali di livello che se ne sono occupati, spiccano Umberto Eco, Antonio Faeti e Giulio Giorello. L’ultimo dei tre ha mostrato una passione quasi specialistica per il mondo dei paperi e dei topi nati dallo spirito creativo di Walt Disney. Tempo addietro, in collaborazione con Pier Luigi Gaspa, ha pubblicato La scienza tra le nuvole per Raffaello Cortina editore. Quest’anno ha dato alle stampe, con l’apporto di Ilaria Cozzaglio, La filosofia di Topolino per i tipi di Guanda.

Ora, Giorello è per professione intellettuale un docente universitario di filosofia della scienza. E il suo saggio è una sorprendente discussione filosofica sul personaggio disneyano. Non un testo, cioè, da prendere come semplice divertissement, ma un’analisi a tratti decisamente impegnativa. Insomma, un libro da leggere con la dovuta attenzione. Che poi la sua interpretazione regga è altro discorso. In generale, va detto che a Giorello è capitato quello che capita a molti. E cioè l’emergere in lui della tendenza a fondere le diverse passioni, quelle culturali e quelle fumettistiche, quasi si trattasse di varianti degli stessi saperi. Finora questo era successo nel rapporto tra politica, ideologia e fumetto; con lui siamo ad un salto di qualità; ovvero all’ingresso della filosofia in termini specialistici. Si deve aggiungere che Giorello non è un pensatore generico e neutrale, ma ha un suo preciso orientamento. Egli è uno scientista e un neoilluminista. E, di fatto, il Topolino che esce dalle sue pagine è una sorta di esplicatore, in ambito fumettistico, delle sue teorie e visioni.

Non intendiamo qui discutere le idee filosofiche di Giorello, ma limitarci a verificare se la loro applicazione a Topolino sia fondata. A nostro parere non lo è. Intanto va osservato che Giorello si occupa soltanto del Topolino fumettato ignorando del tutto quello animato. In più, egli trascura il contesto disneyano, quasi che il personaggio sia stato concepito in totale autonomia. Non è così, naturalmente. Non si può dimenticare che Disney ha creato un vero e proprio universo dove ogni trama, vicenda e personaggio si lega agli altri. Nel complesso, occorre ricordare che Walt Disney era un conservatore- rivoluzionario con uno specifico interesse per la magia e il mondo altro. È questo il filo rosso che lega tutta la sua opera. Peraltro, dal nucleo centrale alle appendici fumettistiche e cinematografiche molto si disperde e si banalizza, ma il filo conduttore non viene mai meno; soprattutto non viene contraddetto. Aggiungiamo ancora, prima di entrare nei dettagli, che molti rimandi filosofici offerti da Giorello, in relazione alle varie storie di Topolino da lui esaminate, risultano spesso impresse con un adesivo che non tiene; insomma, si tratta di una costruzione che risulta a tratti artificiosa. E in effetti i capitoli più convincenti del libro sono quelli dove le citazioni filosofiche (e letterarie) sono offerte con mano lieve, senza la pretesa di individuare un nesso rigido con le storie indagate. In concreto, nel testo di Giorello e della Cozzaglio vengono esaminate 14 storie di Topolino appartenenti per lo più al periodo classico, di cui 12 disegnate dall’americano Floyd Gottfredson su testi, rispettivamente, di Ted Osborne, Merril de Maris, Bill Walsh; una dall’inglese Ronald Neilson e l’ultima dall’italiano Romano Scarpa.

La tesi di fondo del libro è che Topolino sia un «topo antimetafisico»; che sia, cioè, un pensatore critico incline al dubbio, che rifiuti il mondo occulto e magico e accetti quello della scienza. Il suo stesso essere un uomo (pardon, topo) d’azione andrebbe iscritto in questo contesto. Per suffragare la sua interpretazione Giorello scomoda tra gli altri Cartesio, Spinoza e Darwin. Vediamo la lettura di un paio storie. Prima: Topolino e il gorilla Cirillo del 1953-’54. Viene a vivere con Topolino un gorilla colto, intelligente ed elegante; gli manca soltanto la parola. Cirillo si innamora di un gorilla femmina rinchiusa in uno zoo, che inizialmente lo respinge. Il che lo farà ritornare provvisoriamente agli istinti primordiali della sua specie. Un’impresa eroica – salva gli animali dello zoo da un incendio – gli farà conquistare il cuore della bella. Cirillo torna se stesso per poi lasciare Topolino. La storia offre lo spunto a Giorello per un’ampia digressione sulle teorie di Darwin, non senza il contributo di un racconto di Kafka. Ma una cosa è Darwin, altra cosa la vulgata darwinista. Quest’ultima è presente anche nei documentari disneyani sulla natura. Ora, in generale, Giorello tende ad attribuire a Topolino quelle che sono soltanto sue convinzioni. In effetti, Topolino non espone alcuna teoria; è un protagonista passivo della vicenda. Gottfredson e Walsh non spiegano per nulla, come Cirillo sia giunto al suo stadio né quello che gli accadrà in seguito – e sì che le ipotesi possano essere assai diverse. In più, l’universo di Topolino è pieno di gorilla per nulla «evoluti», almeno non al livello di Cirillo. Ricordiamo il gorilla Spettro di Topolino e i pirati del 1932, rimasto allo stadio selvaggio. E poi il gorilla Geremia di Topolino e la mosca zeta zeta del 1951, intelligente ma meno «evoluto» e certo più credibile di Cirillo; che si tratti della variazione intermedia, dell’«anello mancante», tra Spettro e Cirillo? Seconda storia: Topolino e il deserto del nulla del 1952-’53. Topolino e Pippo si dirigono alla ricerca di uranio in una zona desertica che i cartelli indicano come «nulla». Finiscono nelle sabbie mobili e vengono salvati da un piccolo robot, Magneto. Scoprono così che la zona è controllata da presenze aliene che hanno costruito un esercito di robot, alla ricerca di un prezioso minerale, il blirio. Gli alieni sono due: la bella Dynamina che si innamora di Pippo e suo padre, ridotto a pura essenza contenuta in una struttura metallica. Completata la ricerca, distrutti i robot, gli alieni partono con Pippo e Topolino che riescono a fuggire con l’aiuto del sopravvissuto Magneto. Quest’ultimo però non resterà con loro. Giorello questa volta, sulla questione del nulla, scomoda Heidegger, realizzando una curiosa contraddizione. Perno del suo libro, si è detto, è la tesi che Topolino sia un «topo antimetafisico ».

Ma nulla e, aggiungiamo, nichilismo sono tipici temi metafisici. Non a caso ha titolato il capitolo: «La metafisica e il Topo». Peraltro il nulla in questione si rivelerà pieno, come lui stesso rileva. Infine, a proposito degli alieni, si appella a Keplero, Galilei, Newton e persino Kant. L’idea che possano esistere gli piace solo per invalidare la tesi dell’unicità della terra. Resta comunque il fatto che anche la fantascienza è, a suo modo, una dissonanza rispetto alla realtà materiale. In ogni caso, le digressioni filosofiche di questo capitolo sono le più pretestuose dell’intero libro.

Nell’epilogo del saggio, titolato «Il Topo antimetafisico», Giorello e la Cozzaglio dubitano di essere riusciti a dimostrare che Topolino sia un pensatore nel senso filosofico del termine. In effetti, ci sono scarsamente riusciti. Si può certo parlare di una «filosofia» di Topolino, ma soltanto se si dà un significato generico al termine. Ma loro si sono lasciati andare a considerazioni troppo specialistiche per apparire convincenti. Topolino è un topo d’azione capace di ragionare, ma non è certamente un intellettuale. Infine, il nostro topo non è «antimetafisico», comunque si intenda il termine. Come si è visto, nel corso della trattazione loro stessi hanno richiamato la metafisica filosofica; ora, in conclusione citano pure quella magica. Non si peritano di scrivere: «Walsh e Gottfreson gli faranno incontrare spettri più inquietanti e dotati di maggior spessore di quelli della Casa dei fantasmi del 1936 – persino spettri di pirati». E aggiungono che «il suo razionalismo già si è dovuto rassegnare, in terra di Irlanda, alla presenza (talora invisibile) del Pùka o dei folletti» e della «scarpa magica». Ma non è Topolino che si è «dovuto rassegnare», bensì loro. Anche se l’ammettono a denti stretti.

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*da Il Borghese di ottobre 2013

Alessandro Barbera

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