Il motivo? A spiegarlo ci ha provato Nando Pagnoncelli, direttore di Ipsos, secondo il quale una parte di responsabilità l’avrà la disaffezione verso la politica che ha contagiato evidentemente anche il Pd. Allo stesso tempo, però, contribuisce anche un certo abuso dello strumento (appena l’anno scorso si è votato per il candidato premier e poi per le “parlamentarie”), il fatto che – questa volta – la battaglia non viene considerata così aperta. A questo si deve aggiungere il fatto che a una parte consistente dell’establishment del Pd (la stessa che non ha mai eletto le primarie a mezzo politico per eccellenza) non dispiacerebbe un’affluenza più bassa, proprio in vista di indebolire la leadership del sindaco di Firenze in partenza. Più in generale, infine, Pagnoncelli si chiede poi se non sia il caso «di interrogarsi sullo strumento stesso delle primarie, perché appare piuttosto logorato».
Se a sinistra le cose stanno così a destra, invece, il tema delle primarie continua a suscitare entusiasmo. Fratelli d’Italia ne ha fatto addirittura materia di identità politica fin dalla separazione dal Pdl. E, in previsione del congresso nazionale, Giorgia Meloni ha già stabilito che con questo metodo saranno scelti dirigenti e candidati. Stesso discorso fatto da Flavio Tosi che si è già “prenotate” alla primarie del centrodestra come esponente della Lega Nord. E se per Forza Italia l’argomento non è di certo in cima all’agenda, lo scissionista Angelino Alfano, leader del Nuovo centrodestra, ha rilanciato la necessità che siano le primarie a stabilire il futuro candidato premier della coalizione.