Il caso. La verità di Giuliano Sarti: «Portieri stranieri in serie A? Mediocri»

sarti2Fosse stato un calciatore di questa generazione, Giuliano Sarti sarebbe stato soprannominato il ‘Freddo’, come l’antieroe della fiction di Romanzo Criminale. Ma dato che quando lui difendeva i pali della Grande Inter di Herrera e Moratti padre l’unica banda della Magliana era quella musicale, si è dovuto accontentare di diventare il sinonimo del portiere minimalista. Quasi l’antesignano di Dino Zoff: solo il necessario, quando è necessario. La lucidità prima di tutto, mica come quel pazzo sconnesso di Giorgio Ghezzi, il ‘kamikaze’, con il quale cominciò la prima ‘dualità’ tra portieri italiani. Sarti, però, adesso fa notizia per altro.

«PORTIERI STRANIERI? MEDIOCRI» – Intervistato nei giorni scorsi da Radio Rai, l’ex numero uno interista – oltre a confessare l’inconfessabile (“Nello spogliatoio giocavamo con le figurine”) e ripercorrere episodi ormai mitologici del calcio che fu (leggi la pallonata di Jair prima della finalissima della Coppa Campioni contro il Real Madrid) – ha sentenziato: «I portieri stranieri in serie A sono mediocri. Tranne Handanovic e quello che ha preso il Napoli (lo spagnolo Pepe Reina ndr. Ma perché i giovani italiani non esplodono in quel ruolo che è ‘azzurro’ per definizione? «I ragazzi vengono preparati bene, acquisiscono sicurezza ed esperienza e si fanno tutta la trafila fino alle nazionali giovanili». Poi vengono abbandonati, anche perché non c’è nessuno che abbia voglia di puntare su portieri giovanissimi. Il calcio italiano ritorna indietro di quarant’anni, dimenticando la ‘lezione’ del sergente di ferro Luigi Radice che negli anni del Bologna lanciò in porta il giovanissimo (soprattutto per gli standard dell’epoca tra gli anni 70 e 80) Beppe Zinetti. Due pionieri, oggi archiviati.

BRKIC E PERIN GLI DANNO RAGIONE – La frase di Giuliano Sarti è stata profetica. O forse solo l’analisi lucida e accurata di chi, pure a ottant’anni, non ha perso la freddezza che lo contraddistingueva da calciatore. La prova di quanto ha affermato il mitico Sarti l’hanno data – nell’ultima giornata di campionato – due portieri, che più diversi non si può: Zeliko Brkic dell’Udinese e Mattia Perin del Genoa. Il primo ha regalato alla Lazio una rimonta impossibile grazie a una papera che manco lo stesso Sarti nella fatal Mantova. Il secondo – bistrattato e maltrattato dai criticoni a tutti i costi nelle prime giornate di campionato e nel torneo passato nel Pescara colabrodo – ha chiuso in faccia all’Inter le porte del pareggio giganteggiando come una saracinesca rossoblù. Ma gli episodi però contano poco: Perin sta crescendo, partita dopo partita, mentre Brkic non dà più sicurezze e se continua a giocare titolare è perché il suo secondo, il croato Ivan Kelava, è ancora peggio, almeno così giurano in terra friulana. Non era meglio far assaporare il palco della Serie A a un Nicola Leali, piuttosto che affidarsi al circo straniero?

SCONFITTA DEL MADE IN ITALY? – Non è che in Italia il ruolo stia perdendo di fascino. In fondo, che l’Italia sia stata la terra dei portieri, è una verità storico-sportiva difficilmente contestabile. La scuola dei ‘numeri uno’ è stata per anni un’eccellenza del made in Italy pallonaro. Che sta accadendo oggi? E’ che, al solito, la gerontocrazia di dirigenti e procuratori che popola il sottobosco del calcio italiano non vuol credere alle potenzialità dei ragazzi. Metteteci pure che il portiere è di solito un guascone e che in questo pallone fatto di buoni sentimenti, bacini e strizzatine d’occhi, un guascone vero (e non costruito) è scomodo. Un Albertosi, tanto per restare in tema, non potrebbe più rivolgersi a Sarti asserendo “Il titolare sono io”. E in tempi più recenti, il dualismo Zenga-Tacconi fatto di prestazioni straordinarie e smargiassate, sigarette, scappatelle e filmazzi autoprodotti, avrebbe scandalizzato i benpensanti del calcio globalizzato. Buffon pare un sopravvissuto, dopo di lui il buio del pensiero unico tra i pali, anche se…

 

Giovanni Vasso

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