Cinema. “Capitan Harlock 3D”: grafica fenomenale per un eroe dark

harlock__space_pirate_3d_presentato_a_venezia_4789La sera del primo gennaio era impossibile non essere già al cinema in trepidante attesa dell’inizio del film “Capitan Harlock”. Eppure la recensione ha richiesto una profonda riflessione. Questo per varie ragioni: principalmente perché commentare un anime è cosa ben diversa (ed assai più impegnativa) dal farlo con l’ennesima pellicola hollywoodiana. Specialmente se parliamo di Harlock alla sua ennesima “riscrittura”.

Innanzitutto (siamo alla parte più facile) dal punto di vista grafico l’opera è fenomenale: memorabili le battaglie astro navali e l’ “evoluzione” dell’ Arcadia e della sua ciurma, assai lontana dalla “banda” di macchiette umoristiche della “storica” serie: uno Yattaran così non l’avevamo mai visto. Gustose le “citazioni” dai precedenti Harlock, in tutte le varie serie, da quella classica a “L’Anello del Nibelungo”, rimescolate in modo in tale da comporre un quadro del tutto nuovo, nonché ad omaggi ai fumetti assieme a richiami espliciti a “Guerre Stellari” e ad altri classici della fantascienza, alla cultura giapponese, all’opera wagneriana ed alla mitologia.

Ma andiamo alla trama, che risucchia lo spettatore in un vero e proprio vortice di colpi di scena corrispondenti ad altrettanti, inaspettati, cambiamenti di prospettiva. Siamo lontanissimi dalle manichee produzioni statunitensi, dove supercattivoni talmente fetenti da essere grotteschi vengono pestati da superbuonissimi talmente puri da far ridere. Come è nella miglior tradizione nipponica, ogni personaggio ha una sua aurea di nobiltà, di eroismo, ha le sue ragioni per combattere. E, nel caso di “Capitan Harlock” anche il “buono” da subito designato, ha un lato tenebroso ed inquietante.

Harlock compare sulla scena come una figura leggendaria, un eroe di cui nemmeno si conosce l’età, quasi una divinità mitologica: come le antiche divinità, si muove avvolto in una nube (quella che copre perennemente alla vista l’Arcadia), la quale, all’inizio del film, “scende” sulla cima di un monte che il giovane Yama dovrà scalare per entrare nella ciurma di Harlock. Egli è il simbolo di speranza per un’umanità che vuole tornare sulla Terra, da cui è tenuta lontana dalla Gaia Sanction. Ad un tratto però, si scoprono carte diverse: la Terra azzurra e meravigliosa è in realtà un’illusione dietro alla quale si nasconde un pianeta desolato reso tale proprio da… Harlock! Il pirata diventa una figura maledetta la cui stessa immortalità diventa una sorta di punizione dovuta a quel suo antico “peccato”: la sua missione di “libertà” si rivela essere nientemeno che un piano per distruggere l’Universo e provocare un nuovo Big Bang (!!!), “liberando” così, con la propria morte, anche se stesso.

E’ solo il primo di innumerevoli cambi di fronte che vedono Harlock ed il suo antagonista il comandante Ezra della Gaia Sanction contendersi il ruolo di “buono” e di “cattivo” (anche se parlare di “buoni” e “cattivi” sembra qui oltremodo semplicistico). Ad ogni momento, si scopre una nuova verità dietro a quella fino a quel punto creduta, che si rivela essere illusoria. Al centro della girandola, il personaggio del giovane Yama (evoluzione del “vecchio” Tadashi), fratello di Ezra e membro della ciurma di Harlock, il vero protagonista della storia, il cui punto di vista è quello dello spettatore: il ragazzo oscilla incessantemente fra i due poli e solo alla fine sceglie totalmente il “pirata dello spazio”, diventandone un alter ego.

Forse qualche aficionado rimarrà sconcertato da una rilettura di Harlock molto più dark e nichilista rispetto “al pirata tutto nero” romantico e, a modo suo, ottimista. Ma come emerge da questo film, Capitan Harlock è prima di tutto un simbolo di libertà. Un simbolo che muore e rinasce continuamente e che deve continuare a vivere. Anche se non sempre è lo stesso. E con questo film, Harlock risorge anche per le nuove generazioni, per continuare a vivere ancora. E quando esci dal cinema viene davvero voglia di cantare a squarciagola: “Fammi volare Capitan senza una meta…”.

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Paolo Filipazzi

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