Idee (di Alain de Benoist). Mediterraneo mare di mezzo e culla di esuberanza vitale e lentezza

torre lapillo3Se si vuole parlare del Mediterraneo occorre, in primo luogo, dimenticare il Club Méditerranée e le solite litanie sugli incanti idillici della vite e dell’ulivo, la retorica nostalgica dell’età dell’oro greco romana, l’imbecillità motorizzata della Parigi-Dakar e i turisti da spiaggia in cerca di abbronzatura, gli spettacoli popolari e le località turistiche per i viaggi organizzati, l’esotismo a buon mercato. C’è anche un Mediterraneo tragico. Non è del resto un caso se la tragedia, come la filosofia, ebbe la Grecia per culla. La tragedia è lo scenario di una notte striata di lampi. Il sole più che illuminare abbaglia. È il regno di Dionysos, che è anzitutto il dio dell’esuberanza vitale. Ma occorre soprattutto smettere di vedere il Mediterraneo come un museo permanente del passato, una riserva di memorie e di testimonianze destinate ai letterati e ai turisti. Occorre vederlo come matrice dell’avvenire. Tutta la storiografia tradizionale ha raccontato la storia del Mediterraneo come quella di uno scontro perpetuo tra le sue rive, come se “il nemico” dovesse essere lo stesso da tutta l’eternità. Ma il Mediterraneo è il mare di mezzo (medi-terraneo). È uno spazio tra terre, il che significa che unisce altrettanto quanto divide. Distingue unendo quelli che sono, grazie a lui, costa a costa, l’uno di fronte all’altro come in uno specchio. È la Meridiana

Nel bel libro che ha dedicato al Mediterraneo Franco Cassano scrive: “il pensiero meridiano, è quel pensiero che si inizia a sentire dentro di sé là dove inizia il mare” (Il pensiero meridiano, L’Alba, 2005). Ma c’è mare e mare. Nel Sud, non si è mai molto lontani dal mare, ma il Mediterraneo è anche un mare in cui non si è mai molto lontani dalle coste. Il Mediterraneo è anche allo stesso tempo mezzo di mediazione e di meditazione. È in dialettica diretta con la terra. Qui la terra ed il mare si scontrano entrambi con un limite. L’una e l’altro si limitano reciprocamente. Da questa dialettica, che si sviluppa sotto lo sguardo dei dissoì e lògoi, degli dei che si affrontano, nasce il senso della misura. I greci erano un popolo marino, non un popolo marittimo. Quel mare non è l’oceano. Invece è quando il mare perde la sua dimensione che diventa oceano – cioè deserto liquido. Esistenza pura marittima, nomade, fatta di flusso e di reflusso, di esodi e di esili, di abbandoni senza ritorno. Sradicamento planetario. L’oceano sta al mare come l’hybris, la dismisura, sta alla phrônésis, la saggezza prudente – oppure ancora come l’Occidente sta all’Europa.

Smarrito nell’oceano, Ulysse mai non rivedrà Itaca. Cassano dice ancora che “il mare, come ogni libertà, presenta in essa il rischio del nichilismo e l’oceano è la soglia al di là della quale il mare perde la dimensione così come il nichilismo è il momento in cui il pluralismo diventa un relativismo incurabile, dove la coesistenza tra le differenze si trasforma in una estraneità ed in uno sradicamento universale”. “Il fondamentalismo del mare”, aggiunge Cassano, spinge al nichilismo e determina lo scatenarsi incontrollabile della tecnica: il mare “diventa con l’oceano un luogo senza rive, un’assenza di terra che si trasforma paradossalmente in una dipendenza integrale nei confronti della tecnica. Infatti, solo la tecnica può offrire delle forme – artificiali – di stabilità e di protezione in un mondo che è integralmente deterritorializzato e ha rinunciato a qualsiasi dimora ed a qualsiasi radicamento appunto perché si fonda sulla mobilità eterna del mare (…). Lo sviluppo senza freno della tecnica non è legato all’interazione della terra e del mare, ma alla dismisura oceanica, all’inseguimento del crepuscolo del sole, all’assolutizazione dell’Occidente”.

Alcuni esprimono oggi il desiderio che il Sud “si modernizzi”. Non è invece appoggiandosi al sud che si potrebbe affrontare meglio ciò che la modernità ha prodotto di più contestabile? Fare del Mediterraneo un tema del pensiero, sarebbe innanzitutto pensare il Sud alla luce della modernità di cui il Nord è troppo spesso stato vettore. Sarebbe appoggiarsi sullo spirito mediterraneo per trovare un margine di autonomia rispetto alla “megamacchina senza freni né conducente che porta il pianeta in una folle corsa in avanti. Citiamo ancora Cassano: “Il pensiero meridiano accumula e protegge tutte le forme di vita che ci permettono di difenderci contro questa secolarizzazione infinita che spezza tutti i legami; con Pasolini, esso cerca – anche nel sacro – la capacità di resistere alla reificazione mercantile come legge inesorabile del nostro futuro”.

Innanzitutto trovare nel Sud l’occasione “di pensare a piedi”, cioè prendendosela comoda. “Andare piano significa incrociare cani senza spingerli, è dare il loro nome agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portare dentro di sé dei pensieri lasciandoli affiorare a caso durante il cammino, come bolle che salgono in superficie, che scoppiano quando sono forti e vanno a confondersi con il cielo (…). È vivere ad un’altra velocità, più vicino agli inizi e alle fini, là dove si compie la più grande esperienza del mondo (…). Andare lentamente, è ringraziare il mondo, lasciare che il mondo ci colmi.

Gli uomini del Nord hanno potuto creare le loro culture soltanto affrontandosi contro un ambiente. Di questo gli è rimasta l’idea che l’esistenza umana è quella che si oppone al mondo, e che per vincere sugli ostacoli naturali occorre incessantemente ricorrere alla razionalità tecnica. L’universo dell’industrializzazione generalizzata, della crescita a tutti i costi, dell’efficienza meccanica, del calcolo tecnologico, dell’igienismo razionale, è un universo che ha assunto forma nel Nord. Persino l’individualismo viene oggi da quel nord che nonostante le sue radure e foreste ha dimenticato i valori organici della comunità, del clan, dell’onore e del disonore e anche della sensualità, che restano ancora valori chiave su tutto l’ambito mediterraneo. Da qui gli stereotipi che oppongono un “Oriente” mistico antiquato e superstizioso, di cui Edward Saïd ha dimostrato che è un’invenzione degli occidentali, a un “Occidente” razionalista, moderno ed emancipato.

“Il luogo dove è stato possibile dire nel modo più puro un sì al mondo è il Mediterraneo, conclude Franco Cassano. È qui che è conservato il segreto della Misura, di quell’accordo tra l’uomo e la natura che si trova nei miti e negli dei greci, nell’architettura della tragedia classica”. Il sud come ha ben visto Albert Camus, è l’amicizia con il mondo. La misura, non è media è giusto mezzo. È il posto dove i contrari si limitano l’un l’altro, dove le opposizioni si risolvono senza sparire. Camus diceva anche: “La misura non è il contrario della rivolta. La rivolta stessa è misura”.

Per Hegel l’Europa era una Grecia più grande. Nietzsche, ammiratore incondizionato dell’Islam e della “meravigliosa civiltà mora di Spagna” (“i crociati, scrive, combatterono contro qualche cosa davanti alla quale avrebbero fatto meglio a prostrarsi nella polvere”), faceva di Zarathoustra l’”amico del mare e di tutto ciò che è di specie marina”. Zarathoustra predicava ” il Grande Meriggio dell’uomo e della Terra”: “Arriva, è vicino, il Grande Meriggio “. Il Grande Meriggio risponde alla mezzanotte. La luce del nord, più che mai, ha bisogno della chiarezza del Sud.

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Alain de Benoist

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