Politiche. L’autoritarismo dolce di Monti declamato con l’accetta della tecnolingua

Ma quale cospirazione, ma quali verità celate: per capire davvero cosa c’è di pericoloso nel fenomeno Monti basta starlo a sentire. Le “prove” sono tutte lì, in bella vista. Il variegato fronte dell’antimontismo si è perso troppo spesso dietro a fumose teorie complottiste orecchiate malamente anziché leggere i fenomeni in trasparenza. Prendiamo, per esempio, il recente scontro del premier con la Cgil. Non ci interessa, ora, entrare nel merito, osserviamo il fatto in controluce, vediamo a quale strategia discorsiva fa riferimento Monti. Insomma, sentiamo come parla, che linguaggio usa.

La riforma del lavoro che abbiamo varato, ha detto il prof bocconiano, «non è andata avanti abbastanza» e questo «è colpa di un sindacato che ha resistito decisamente al cambiamento e non ha firmato accordo che gli altri avevano firmato. Va cambiata questa cultura». Poi, aggiustando il tiro: «Può un sindacato bloccare il processo di riforme economiche? Direi di no. Una volta in Italia sarebbe stato più che sufficiente, ma ora le cose si sono evolute».

Soffermiamoci su alcuni passaggi della neolingua montiana: la riforma non è andata avanti…il sindacato ha resistito al cambiamento…  va cambiata questa cultura…  ora le cose si sono evolute… Notato niente? Il punto è chiaro: Monti, molto semplicemente, non concepisce la pluralità delle opinioni, delle tradizioni, dei punti di vista politici. O meglio, non ne concepisce la contemporaneità. C’è solo chi sta più avanti e chi sta più indietro. Lui, per esempio, sta più avanti di tutti. Ne consegue che il confronto delle idee è solo uno spiacevole inconveniente da affrontare ostentando fastidio, perché in fondo non ci sono davvero idee da confrontare ma solo differenze di posizionamento su un’unica linea retta da far emergere. Le culture politiche altrui – per esempio quella di matrice socialista rispetto a quella di matrice liberale – non sono altri modi di vedere le cose ma solo retaggi di un passato che va cambiato.

A sentirlo parlare, Monti sembra un po’ il tecnico del televisore che avete chiamato per sistemarvi il digitale terrestre: è ovvio che voi stiate cercando qualcuno che vi risolva un problema, in fretta e senza tante chiacchiere, ché la sera c’è la Champions e non volete vedere la partita a scatti. Non chiamate diversi antennisti per sentirli mentre si confrontano in un civile dibattito proprio perché a una questione tecnica (parolina magica) corrisponde un’unica soluzione possibile. E certo potrebbe capitare di sentirvi dire che il vostro apparecchio va cambiato perché prima li facevano così ma ora le cose si sono evolute… Se il tecnico è capace, la sera stessa potrete vedere i vostri beniamini arrancare contro qualche squadra inglese. Tutto bene (più o meno) ma, insomma, da qui a fare del capace antennista l’uomo che deve guidare una nazione ce ne passa. E invece è proprio questo che ci hanno fatto insediando Monti al governo: hanno sostituito la ragion politica con la ragion tecnica. Cambia il linguaggio, cambia anche la sostanza, perché la prima è complessa, stratificata, pluralista, ricca di sfumature e chiaroscuri laddove invece la seconda è lineare, monodimensionale, univoca, omologante.

La tecnolingua del Prof spiega quindi meglio di tanti scoop complottisti l’inadeguatezza di Monti a qualsiasi scenario che non sia quello di un golpe soft, educato, sobrio, dove i dissidenti (i “populisti”, la “vecchia politica”) devono essere dolcemente estromessi dal consesso civile, lasciando il manovratore libero di agire poiché lui solo sa, lui solo può, lui solo è avanti. Per il momento l’idea di metterli semplicemente in uno stadio recintato dal filo spinato sembra esclusa, anche se la foto con Henry Kissinger ostentata orgogliosamente da Monti su Twitter potrebbe suggerire che l’opzione sia stata per lo meno vagliata attentamente. D’ora in poi, chiamiamolo Montichet.

 

Adriano Scianca

Adriano Scianca su Barbadillo.it

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