L’intervista. Giuseppe Sansonna: “Zeman, dopo la Roma, può rinascere solo in provincia”

zeman4«Spero riparta da un club di provincia, con una società che ne sposi in pieno il progetto tecnico». È questo l’auspicio per il futuro di Zdenek Zeman espresso da Giuseppe Sansonna, scrittore barese, autore cinematografico che ha dedicato al tecnico boemo il docufilm «Zemanlandia» e due libri, «Il ritorno di Zeman» e «Un marziano a Roma», titoli che gli valgono la qualifica di «zemanologo» doc. Sansonna adesso è impegnato in una campagna di crowdfunding per una nuova iniziativa cinematografica, la realizzazione del film «Ultimo giro», sulla storia di Armandino, «una sorta di Mel Brooks incanaglito dalla vita».
Sansonna, come si spiega l’epilogo negativo dell’avventura alla Roma del boemo?
«Molto ha contato la gestione societaria: i dirigenti non hanno ben ponderato che Zeman non è mai cambiato. A sessantacinque anni era inimmaginabile che di colpo fosse diventato malleabile e disponibile per fare compromessi. Pretendeva una totale adesione atletica e tattica al suo credo da parte del gruppo: le condizioni erano le stesse richieste a Verratti nel Pescara. Non c’era nessuna agevolazione per bandiere come De Rossi o per giovani talenti come Lamela. Il club non l’ha supportato in questo cammino».
La scelta del portiere titolare, però, non può essere addebitata alla dirigenza.
«Zeman era consapevole che Stekelenburg fosse un portiere di livello internazionale, più attrezzato di Goicoechea, ma non poteva tollerare che in un anno e mezzo non avesse imparato l’italiano. La pretesa dell’allenatore, di avere un portiere in grado di comandare la difesa conoscendo la lingua, era sacrosanta…».
Cosa non ha trovato a Roma che invece aveva nelle ultime positive parentesi a Foggia e Pescara?
«In Puglia aveva vicino i suoi amici storici, con cui scrisse la leggenda della prima Zemanlandia. A Pescara ha vissuto una stagione esaltante, con un gruppo che compiutamente ha messo in pratica il suo credo, aderendo alla filosofia di gioco zemaniana. Non è un caso che il boemo avesse costruito un rapporto straordinario con la dirigenza degli abruzzesi, grazie al quale aveva una sintonia assoluta con i giocatori e l’ambiente».
Chi lo ha tradito? I giocatori, i senatori? La società o addirittura i tifosi?
«La società che lo ha scaricato pubblicamente e così una parte dei calciatori contro il Cagliari ha dimostrato di essere in linea con il club. Zeman pretendeva un lavoro atletico da parte di tutti, senza distinzione di gradi, e la dirigenza non lo ha supportato fino in fondo. Chiedeva a De Rossi di giocare come l’abnegazione di Tachtsidis».
La curva aveva accolto il ritorno del profeta di Praga con entusiasmo. Tutto finito?
«Le tifoserie sono forcaiole, cercano il capro espiatorio su cui riversare l’amarezza e la frustrazione quando i risultati non arrivano. Ma mi stupisce però che una tifoseria popolare e “povera” come quella giallorossa non abbia solidarizzato con un tecnico che chiedeva a giocatori milionari un lavoro atletico più accurato, mica di andare a lavorare in miniera… Zeman pretendeva questi sacrifici per dare spettacolo gol e vittorie ai tifosi romanisti».
Il suo calcio resta all’avanguardia o le pecche difensive lo rendono ormai superato?
«Col Catania la retroguardia si è fatta sorprendere, ma la stragrande maggioranza delle reti subite è legata a errori individuali, e cali di concentrazione. Basta rivedere il primo gol del Cagliari all’Olimpico. Che colpa può avere l’allenatore in questi casi? Di sicuro un certo atteggiamento tattico richiedeva ben altra applicazione».
Il futuro di Zeman. Oltre a dedicarsi al golf, da dove può ripartire?
«La mia speranza è che possa ripartire dalla provincia, dove avrà modo di ricreare l’alchimia di Pescara. Nei grandi club non trova lo stesso appoggio che può ricevere nelle piccole realtà. Il suo habitat ideale è la provincia».

*dal CorrieredelMezzogiorno.it del 7 febbraio 2013

Michele De Feudis

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